Stop del 28/08/2008 , art di Barbara Dalla Libera N. 36 - 4 9 2008 p. 40
È in arrivo una nuova ondata di serie tv che ha per protagonisti camici e corsie di ospedale. Quasi sempre chirurghi, quasi sempre pronto soccorso. Ma agli indispensabili medici di famiglia chi ci pensa? E perché gli infermieri vengono messi in luce soltanto se hanno un flirt con il chirurgo di turno?
Roma, agosto Dopo il genere poliziesco-investigativo, quello delle fiction di medicina va per la maggiore in questo momento. Il capostipite del fortunato "medicai drama" è stato "E.R. Medici in prima linea", che ha dato fama e successo all'osannato George Clooney nei panni del medico pediatra Dottar Ross. La serie non si è ancora estinta e, con cambi di personaggi e diverse rivoluzioni arriva quest'anno alla sua tredicesima stagione. Sarà trasmesso su Raidue in prima serata, ma a fargli concorrenza troverà numerose altre serie sia in casa Rai sia nella concorrente Mediaset. Si contano produzioni nostrane e altre d'importazione: "Terapia d'Urgenza", del quale sarà protagonista su Raidue Sergio Muniz (intervistato per voi a pagina 8 e 9), la seconda serie di "Medicina Generale" su Raiuno, "Crimini Bianchi", sui casi di malasanità sarà invece cavallo di battaglia di Canale 5, il "Dr. House" tornerà, ma questa volta sul canale digitale terrestre Madiaset "Joy", e c'è poi "Chirugia d'urgenza", ancora in preparazione per Canale 5. Con questo fioccare di medici in prima linea c'era da aspettarsi che prima o poi anche i protagonisti della vita reale di corsia facessero sentire la loro. Alla notizia della lavorazione della fiction "Crimini Bianchi", che punterà i riflettori su casi di eclatante malasanità, sono partite le proteste dei rappresentanti di categoria. Luigi Frati, preside della facoltà di Medicina presso l'Università La Sapienza di Roma, afferma, «in nome dell'audience non si può ridurre la sanità alla stregua di un serial killer. Se lo fanno le reti commerciali nulla da dire, ma non accetto che le reti pubbliche si adeguino a questa falsa visione della sanità che disegna medici eroi o assassini». «A nessuno viene in mente di fare una trasmissione sul disastro alla metro di Roma di un anno fa, quando 40 persone gravemente ferite vennero ricoverate al San Giovanni e 30 al Policlinico. Un'emergenza che ha mobilitato tutto il personale dei due ospedali con ottimi risultati. Non si deve dimenticare che il medico nei casi di emergenza deve prendere una decisione entro 30 secondo e non sempre può salvare la vita del paziente», conclude. Alla sua protesta si unisce anche il rappresentante dei medici di famiglia, Mario Falconi: «Non se ne può più di vedere rappresentata un'unica realtà. La sanità non è solo emergenza, affanno. È fatta soprattutto di visite in ambulatorio, di scambi col paziente. I luoghi rappresentati in queste fiction non corrispondono alla realtà delle strutture ospedaliere, che nella maggioranza dei casi dovrebbero essere ammodernate. La spettacolarizzazione in nome dell'audience esagera la realtà." D'accordissimo, ma vuoi mettere la suspence che si respira nei pronto soccorso contro la flemma delle lunghe attese in una comune Asl? Non per niente anche la fortunata serie del "Medico in famiglia" (della quale vedremo la sesta edizione nel 2009) girava più attorno alle vicende del nucleo familiare dei Martini, che a quelle legate alla professione del medico generico interpretato da Giulio Scarpati. Ma le critiche alle serie tv arrivano anche dalla categoria ancor più bistrattata delle infermiere, «sono molto irritata», afferma con piglio Annalisa Silvestro, presidente della Federazione nazionale dei Collegi, «entriamo in scena solo se abbiamo una love story con il chirurgo o per recitare frasi banali e talvolta in dialetto, con la sigaretta in mano». S E.R. HA FATTO SCUOLA A sinistra, George Clooney nei panni del Dr. Ross quando faceva parte del primo cast del telefilm "E.R. Medici in prima linea". In alto, il più recente fenomeno del genere medical-drama: il Dr. House, interpretato da Hugh Laurie.ITALIANE E STRANIERE Sopra, il cast al completo del nuovo prodotto targato Rai "Terapia d'Urgenza", in onda sul secondo canale a partire da giovedì 28 agosto. Sotto, due protagonisti della prima serie di "E.R. Medici in prima linea": il dottor John Carter, interpretato dall'attore Noah Wyle, e l'infermiera Carol Hataway, interpretata da Julianna Margulies. La prima stagione della serie fu trasmessa in Italia nel 1996.
Iniezioni, stop di 7 giorni nell'ambulatorio dell'Asl
La Stampa del 29/08/2008 , articolo di PARIDE PASQUINO ed. SAVONA p. 63
Manca il personale, privilegiata l'assistenza a domicilio
SAVONA
Per una settimana niente iniezioni. Non ci sono abbastanza infermieri. Questo accade in via Collodi nell'ambulatorio di terapia iniettiva dell'Asl. E quei malati, anziani (spesso entrambe le cose) che necessitano diuna cura a base di punture? Devono rivolgersi al medico, oppure a un infermiere privato oppure ancora alla Croce rossa o alle pubbliche assistenze.Si tratta di uno stop di una sola settimana, ma i disagi sono parecchi perché, come si dice, le malattie non vanno in vacanza. Molte le lamentele anche se va detto che l'Asl ha dovuto chiudere l'ambulatorio per poter mantenere il servizio effettuato a domicilio dove molti sono i casi delicati.L'ambulatorio delle iniezioni prima si trovava all'interno dell'asilo delle Piramidi (sede della Quinta Circoscrizione) ma i locali sono stati chiusi perché dichiarati inagibili lo scorso giugno. Nell'impossibilità di trovare una nuova sede in locali del Comune, l'Asl ha accolto il servizio al terzo piano di via Collodi. In questi giorni, però, a causa della carenza di personale ha deciso di chiuderlo per una settimana dirottando tutte le risorse all'Adi (assistenza domiciliare). Dicono all'Asl: «In questo periodo i pazienti possono comunque accedere all'ambulatorio della Medicina di base che si trova sempre in via Collodi al secondo piano lato-ambulatori muniti di richiesta del medico di famiglia fatta su ricettario regionale contenente il nome del farmaco e la durata della cura. Il paziente deve avere naturalmente il farmaco con sé. L'ambulatorio è aperto dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 9».Diego Calcagno, sindacalista della Cgil settore funzione pubblica, spiega: «La situazione del personale è drammatica e questo spiega il fatto che sia stato necessario fare una scelta e privilegiare l'assistenza a domicilio di pazienti più gravi. Una scelta che comunque condividiamo. Quello che non si può accettare è che ci sia una politica sanitaria che da un lato lascia all'ospedale la cura dei pazienti in fase acuta con l'intenzione di voler potenziare l'assistenza sul territorio. Poi il fatto è che non si prevede una dotazione organica adatta. I distretti, tanto attesi, di fatto non esistono e sono solo un contenitore vuoto. Il personale destinato a questo servizio si limita a 20 infermieri di cui 8 part time e 5 con limitazioni fisiche, ci sono poi 5 operatori socio sanitari di cui un part-time e 2 con limitazioni fisiche. Aggiungiamo 3 persone in malattia, una in gravidanza tuttt non sostituite ed ecco spiegata la chiusura dell'ambulatorio».
Infermieri penalizzati stipendi ridotti perché si aggiornano
Il Messaggero del 28/08/2008 ed. FROSINONE p. 38
Il sindacato degli infermieri Nursind chiede che venga rivista la norma che penalizza chi decide di prendere permessi di formazione. «La richiesta cade nella fattispecie prevista per le penalizzazioni stipendiali». Una delle norme volute dal ministro Brunetta, per intenderci. « Nel ribadire la disparità di trattamento con i dipendenti delle strutture private e nel riconoscere la valenza della formazione continua quale strumento di aggiornamento delle conoscenze al fine di erogare un servizio al passo con le sempre più rapide conquiste scientifiche, chiediamo che i permessi per formazione siano esentati dalle penalizzazioni della legge». Il paradosso? Gli infermieri sono «costretti a subire delle penalizzazioni sullo stipendio per il solo fatto di adempiere al dovere imposto da una norma, quella sull'aggiornamento professionale obbligatorio».
Ancora gravi le condizioni del giovane infermiere:
resta in Rianimazione
Il Messaggero del 28/08/2008 ed. MARCHE p. 38
Rimangono gravi le condizioni di Massimiliano Vallesi, il trentaquattrenne infermiere territoriale di Sant'Elpidio a Mare vittima di un incidente stradale, avvenuto martedì scorso, a Lido San Tommaso. Vallesi è ricoverato nel reparto di Rianimazione Clinica di Torrette di Ancona dopo aver subito un intervento chirurgico effettuato subito dopo il suo arrivo in eliambulanza nel nosocomio dorico. Intanto la Polizia Stradale di Fermo sta ricostruendo la dinamica dell'incidente. Pare che l'infermiere quella mattina si stesse recando al lavoro con il suo scooter. Procedeva verso Porto Sant'Elpidio, città dove abita con la moglie ed i due bambini piccoli, quando all'incrocio con San Tommaso si è scontrato frontalmente con una Fiat Panda guidata da B.C, una donna residente a Fermo. L'impatto è stato violentissimo e Vallesi ha avuto la peggio. La donna , sotto shock, è stata ricoverata al "Murri" di Fermo da dove è stata dimessa nella stessa serata. Ieri, invece, alle 16 si sono svolti i funerali di Daniele Liberati, 31 anni, di Porto Sant'Elpdio e commesso alla Trony di Civitanova Marche deceduto dopo uno scontro tra la sua Honda 600 e una Subaru condotta da un giovane elpidiense. Il fatto è avvenuto intorno alla mezzanotte di lunedì nei pressi dell'ingresso del camping "Le Mimose" di Porto Sant'Elpidio. Il giovane stava tornando a casa dopo essersi incontrato con un amico. L'impatto con la Subaru è stato devastante. La moto pare si "volata, mentre Liberati sarebbe caduto rovinosamente a terra. Sulla dinamica stanno investigando i carabinieri. La Chiesa del Sacro Cuore, ieri pomeriggio, era gremita di gente, soprattutto coetanei del ragazzo. Tutto il quartiere Faleriense, dove il giovane abitava ha voluto rendergli l'ultimo saluto ed ascoltare le parole dell'omelia di Don Mario. La cerimonia funebre è stata commovente ma estremamente sobria. Due lunghi momenti di silenzio l'hanno caratterizzata. Alla fine, uno scrosciante applauso ha accolto la bara dello sfortunato commesso.D.Mar.
Protagonisti in corsia accanto a chi soffre
Avvenire del 29/08/2008 , articolo di NlCOLETTA MARTINELLI p. 9
«Noi infermieri, mastice di tutta la sanità» «Compassione con passione». Da Europa e America Latina le «ricette» di chi assiste con attenzione e professionalità i malati terminali
DAL NOSTRO INVIATO A RlMINI
La semplicità è figlia della maestria: il professionista sa illudere chi osserva, con i gesti disinvolti frutto della competenza, che quel che fa non sia difficile. E gli illusi guardano e dimenticano, rubricando quel ruolo come accessorio, convincendosi che i veri protagonisti siano altrove. È con un umorismo venato di amarezza che Cecilia Sironi - consigliere Consociazione nazionale delle Associazioni infermieri - fa l'anamnesi della professione infermieristica, con gli operatori relegati dall'immaginario collettivo al ruolo di comparsa nel mondo della sanità. Nulla più di utili gregari di medici e chirurghi, questi ultimi sì - i telefilm lo insegnano - protagonisti veri. E pensare che gli infermieri - oggi per diventarlo bisogna laurearsi - sono il mastice che tiene insieme tutta la struttura, la linfa che la rende palpitante. Non curano, assistono: rendono vivibile la vita del paziente ospedalizzato, prestano le loro mani perché i gesti quotidiani - così scontati per chi è sano, spesso inarrivabili per chi non lo è - siano compiuti, restituendo al corpo quella dignità che la malattia fa di tutto per sottrarr e s t i gli argomenti che hanno tenuto banco ieri, al Meeting di Rimini, all'incontro "Protagonisti delfassistenza". «Tutto è cominciato con la lavanda dei piedi, duemila anni fa, quando Gesù si e inginocchiato di fronte ai suoi, accudendoli con quel gesto di affetto semplice, gratuito. È stato il cristianesimo a rendere possibile l'esistenza della professione infermieristica, a rivalutare la cura del corpo insieme a quella dello spirito»: Marina Negri, dell'associazione Medicina & Persona, che modera l'incontro denuncia, lapidaria, che «la nostra professione non ha a livello sociale la stima che meriterebbe». Un'ingiustizia un'ingratitudine, comunque - che si fa più evidente ascoltando le storie raccontate da Esperanza De Urbieta che lavora ad Asuncion, in Paraguay, nella Clinica della Divina Provvidenza "San Riccardo Pampuri" dove assiste malati terminali, per colpa del cancro o dell'Hiv, e senza un soldo. Indigenti che non hanno possibilità di accedere alle cure non esistendo, in Paraguay, un servizio pubblico e costando le terapie e i ricoveri un patrimonio. Persone che mai come adesso, che stanno morendo hanno avuto qualcuno che si rivolgesse loro con tenerezza. Non la famiglia che li ha abbandonati né la società che non ha tempo né risorse da sprecare per loro: condannati dalla malattia e rifiutati dal mondo, nell'hospice fondato da padre Aldo Trento ad Asuncion vengono trattati come principi e regine anche se, tempo pochi giorni, saranno defunti. Come Cecilia, 40 anni, l'Hivnel sangue, gli occhi ciechi per colpa della malattia, eppure contenta. Non di morire - e chi potrebbe? - ma di avere qualcuno disposto ad accompagnarla fin lì, qualcuno che la lava, la pettina, la coccola come fosse un bebé con tutta la vita davanti. Cecilia confessa a Esperanza - mentre ogni giorno è peggiore del precedente ma comunque migliore di quello successivo - il suo unico cruccio: non sapere, morta lei, che fine farà la sua bimba di sei anni. «Me lo ha confidato - racconta De Urbiedo - e io ne ho parlato a padre Trento. Che ha accolto la piccola a Casa Betlemme. Ogni volta che poteva Cecilia si faceva portare da sua figlia e la vedeva felice, accudita, amata. Cosa che le ha consentito di andarsene in pace». L'assistenza è questo, farsi carico dell'altro nella sua interezza, senza separare i problemi del fisico da quelli del cuore, trovando soluzioni pratiche senza perdere di vista le esigenze dello spirito. «Nel nostro ospedale applichiamo un modello di assistenza integrale. Il che significa spiega Esperanza - che forniamo assistenza medica ma anche spirituale, infermieristica e sociale, psicologica, alimentare... Con uno sguardo completo, che tenga in considerazione tutto ciò che serve alle persone nell'ultimo momento della loro vita». E poi c'è Milziade, nato idrocefalo e per anni esibito ai semafori dai parenti per cavare qualche soldo dalla sua deformità: oggi si chiama Aldo, come suo papa. Padre Trento lo ha adottato e guarda suo figlio - che ha il cranio pieno di liquidi, il cervello ridotto a una lamina sottile, dolori lancinanti - ridere e giocare come può, come sa, come non ha mai fatto prima: «Allunga la manina - dice Esperanza - e vuole che tu la prenda». «La tecnica è indispensabile per aiutare chi è malato ma non è niente - interviene Emanuela D'Anna, caposala dell'Istituto Europeo di oncologia di Milano - se non ci si immedesima nel paziente". Compassione, con passione»,
Friuli, più spazio agli infermieri che ai dottori
Il Gazzettino del 28/08/2008 ed. NAZIONALE p. 10
Nelle tre sedi dei corsi, organizzati a Udine, Pordenone e Mestre, 160 posti a fronte di 314 domande. L'università prevede 80 medici ma le richieste sono oltre 500
Udine NOSTRO SERVIZIO
Conto alla rovescia anche all'università di Udine per i test di ammissione ai corsi di laurea a numero chiuso che riguarderanno anche la Scuola Superiore che prevede 18 posti di cui 9 per la classe scientifico-economica, 7 per la classe umanistica e 2 riservati a studenti del corso di laurea specialistica a ciclo unico in medicina e chirurgia. Quest'ultima è la facoltà a numero chiuso per eccellenza e rispetto all'anno scorso, ha mantenuto inalterato il numero di posti accessibili per aspiranti medici e infermieri.
Il corso di laurea a ciclo unico in medicina e chirurgia prevede 80 posti e se nel 2007 le domande sono state 514, quest'anno le richieste sono già arrivate a quota 526, dato aggiornato al 22 agosto. Per i futuri fisioterapisti ci sono a disposizione 30 posti ma le domande, fino a qualche giorno fa, hanno già superato quota 300 avvicinandosi alle 328 in totale dello scorso anno. Più numerosi sono i posti per infermieristica che l'università ha ripartito su tre sedi: 80 a Udine, 30 a Pordenone e 50 a Mestre. Le domande di ammissione definitive nel 2007 sono state 200 per Udine, 57 per Pordenone e 56 per Mestre; quest'anno (il dato è ancora provvisorio) le richieste sono rispettivamente 168, 76 e 70. Gli infermieri sono merce rara precisa il rettore Cristiana Compagno e l'università in questo senso sostiene le esigenze della società.
Ben più arduo è l'ingresso al corso di ostetricia che prevede solo 20 posti, di cui 5 riservati a residenti di Trento, a fronte delle 81 domande già pervenute, in crescita rispetto alle 73 definitive dello scorso anno. 30 sono invece i posti previsti per i corsi in tecniche di radiologia medica per immagini e radioterapia e Scienza dello sport. Numerose le richieste per il primo, 112 nel 2007 e 97 quest'anno, più contenute per il secondo, 24 l'anno scorso e 11 nel 2008. Il corso in tecniche di laboratorio biomedico prevede 15 posti e le richieste finora sono già 50 a fronte delle 36 del 2007. C'è un alto gradimento per le discipline legate alle professioni sanitarie sottolinea il rettore ricordando che la facoltà di medicina è al primo posto in Italia c'è un forte orientamento verso un mercato del lavoro qualificato.
Per la facoltà di ingegneria il numero chiuso riguarda solo il corso in scienze dell'architettura con 150 posti disponibili, numero che supera le richieste sia dello scorso anno, ovvero 169, sia per il 2008/09 avendo già raggiunto 150 domande a più di due settimane dal termine di presentazione delle richieste. Fra i corsi più gettonati figura quello in scienze della formazione primaria (i maestri d'asilo): su 150 posti le domande sono già 369 e questo dato, non ancora definitivo supera le richieste del 2007 che sono state 320.
Anche alcuni corsi interfacoltà sono a numero chiuso: 50 posti per educazione professionale che conta già 67 domande contro le 84 del 2007, 60 posti per biotecnologie che l'anno scorso ha registrato ben 225 richieste che quest'anno sono già 182 e la presentazione scade il 5 settembre. Stessa scadenza per uno dei 70 posti a disposizione per il corso in scienze motorie, di cui 10 riservati a i residenti di Pordenone e anche in questo caso c'è il boom di domande: 166 nel 2007 e 143 al 22 agosto 2008. Questi numeri confermano l'attrattività dell'ateneo udinese dove i posti a numero chiuso vengono definiti in base alle strutture e risorse disponibili. Le facoltà spiega Compagno stabiliscono il numero di posti seguendo le direttive di un decreto regionale, considerando la disponibilità di docenti, ricercatori, aule e laboratori; sono corsi costosi ma creano laureati che possono essere subito assorbiti dal mercato del lavoro.
Lisa Zancaner
Ospedale, liste d'attesa infinite
Il Tempo del 29/08/2008 ed. Abruzzo Pe
Francesca Cucca S. OMERO All'ospedale Val Vibrata liste d'attesa infinite, personale allo stremo, Cup assediato dalle richieste. E così parte anche un esposto all'Ispettorato del lavoro, da parte del Comitato per la salute Val Vibrata.Un esempio su tutti: s i mesi per potersi sottoporre ad un ecodoppler. «Per non parlare dei quattro ospedali pubblici teramani ridotti a poliambulatori senza più specialisti.
Reparti senza primari e chiusi - scrive nella sua denuncia il Comitato per la salute - ambulatori con pazienti perennemente in attesa, con pronti soccorso affollati da decine di persone che aspettano inutilmente e per ore ed ore, il loro turno». Solo per gestire l'emergenza immediata servono 27 infermieri professionali e 16 operatori socio sanitari, 2 tecnici, uno di radiologia, l'altro di laboratorio. Medici: subito altri 15: tra questi i due primari di ortopedia e medicina .Pronto Soccorso: 4 medici più 18 infermieri e 6 operatori socio sanitari, questo per garantire la necessaria copertura 24 ore su 24. Chirurgia generale: 5 medici cui aggiungere 16 infermieri più 4 operatori sociosanitari .Ortopedia: oltre al primario 4 ortopedici, e 14 infermieri, cui aggiungere 2 ortopedici di riabilitazione, 4 fisioterapisti ed 1 infermiere. Medicina generale: oltre al primario, altri due medici, più 16 infermieri e 4 operatori socio sanitari.Cardiologia:, 4 operatori sociosanitari, Geriatria, 14 infermieri.Ostetricia e Ginecologia : 12 infermieri più tre operatori socio sanitari .Servizi: manca il personale amministrativo e tecnico per la copertura del Cup, del centralino, della farmacia, della portineria. «Chiediamo all'Ispettorato del lavoro - avverte il Comitato per la Salute - di accertare se nei reaprti dei quattro ospedali è garantita l'assistenza minima agli utenti prevista dalla legge, se i turni sono regolari ed i ripostri del personale medico e paramedico e tecnico sono garantiti».
Manca personale per la cura dei più piccoli
La Prealpina del 29/08/2008 ed. VARESE p. 11
Se l'attività funziona e bene nell'ospedale che cura le mamme e i bambini, rimane però la sofferenza determinata dal numero risicato di neonatologi e infermieri che si prendono cura dei piccoli appena venuti alla luce. Nella Neonatologia e nella Terapia intensiva, infatti, mancano almeno tre medici e quattro-cinque infermieri. Questo comporta, talvolta, la necessità di dividere le mamme dai loro piccoli, quando le situazioni da risolvere sono particolarmente delicate, con il trasferimento dei neonati. Casi limite, d'accordo, ma non impossibili. La terapia intensiva dell'ospedale "Del Ponte" ha un bacino di utenza particolarmente ampio, quello di tutta la provincia, dove ogni anno vengono alla luce 8.500 bambini, di cui soltanto la metà a Varese e a Cittiglio, cioè nei due presidi dell'azienda ospedaliera dove le mamme possono andare a partorire. Le ambulanze superattrezzate per i bambini prematuri o con problemi legate a particolari patologie, vengono trasportati a Varese da tutti gli altri ospedali. «Possiamo ospitare una ventina di bambini, di cui 5 in terapia intensiva - dice il primario Massimo Agosti - e purtroppo la sofferenza è sempre sulle risorse umane. Stiamo avviando all'attività nuove infermiere, dall'1settembre ne arriverà un'altra da Milano, qualcosa si sta muovendo e il dialogo con la direzione generale è buono». Anche quest'anno, comunque, sono stati pianificati alcuni "tagli" di posti letto, come del resto anche negli altri presidi dell'azienda ospedaliera, «ma nell'ambito di un accordo che non ha causato particolari disagi». Il direttore del dipartimento materno-infantile, il professor Pierfrancesco Bolis, ricorda che per quanto riguarda l'ospitalità alle mamme e per il numero di medici e di personale a disposizione in Ostetricia e ginecologia, «i 38 posti letto attuali sono di solito sufficienti e non abbiamo particolari problemi sul fronte numerico per quanto riguarda il personale». B.Z.
Hospice, morire in lista d'attesa
L'informazione del 29/08/2008 ed. Parma p. 3
Otto posti alle Piccole figlie. La direttrice: più di così non possiamo fare
Che cosa sono Negli hospice le cure servono a ridurre i sintomi,i dolori e la sofferenza che la malattia provoca.Gli hospice sono strutture che ospitano malati terminali di tumore, ma se fossero più numerose dovrebbero accogliere anche chi è affetto da gravi casi di sclerosi o cirrosi,da malattie respiratorie o cardiache e che non rispondono più ai farmaci. Una pratica che,secondo alcuni studi americani,allungherebbe la vita dei pazienti grazie al potere delle cure palliative,trattamenti che rendono sopportabili e vivibili con dignità e senza dolore gli ultimi mesi di vita. Francesco Saponara ono mali terribili. Fisicamente e psicologicamente.I tumori,quando sono in fase terminale,ti avvolgono completamente.E non lasciano scampo.Secondo le statistiche nazionali i morti per tumori sono circa 130mila ogni anno e,di questi, almeno 100mila avrebbero bisogno di cure palliative nella fase terminale.A domicilio o in ospedale.Non sempre,però,è sostenibile assistere un congiunto. Per questo sono stati creati gli hospice:strutture ancora poco note,ma che "accompagnano" il paziente negli ultimi giorni di vita. Con amore e dedizione, medici e infermieri coccolano,è proprio il caso di dirlo,i malati e i loro familiari,spesso appoggiati da psicologi. Ma sono ancora troppo pochi,con liste d'attesa da brivido. Le strutture su tutta la Provincia sono quattro (per numero siamo primi in regione),ma "solo" 43 i posti contro i 55 di Bologna.Gli hospice ad oggi sono presenti in città alle Piccole figlie di via Po, a Langhirano,Fidenza e Borgotaro.Pochi per un territorio che ambisce a diventare il secondo polo sanitario in regione? In quella di via Po,gestita da suor Erika Bucher,ci sono otto posti letto,una lunga lista d'attesa e una quindicina fra medici,infermieri e assistenti.«Non possiamo fare di più - spiega suor Erika - le cure palliative sono ancora poco conosciute».E la colpa non è certo di chi,questi centri,li gestisce,ma di una cultura socio-sanitaria ancora molto indietro rispetto ad altri Paesi. Ma come si può accedere agli hospice? «Dietro richiesta del medico di famiglia o,se il malato è già ricoverato,attraverso i medici dell'ospedale».Nessuna priorità,né riguardo al reddito,né alla gravita dei malati.«Eccezion fatta per quei malati che con le cure cominciano a subire forti dolori».In via Po non si paga nulla,ma le spese sono ingenti,nonostante la struttura sia convenzionata con l'Ausl e la Regione (che ha finanziato la costruzione del centro).Le uscite sono coperte solo per il 70 per cento.La spiegazione è presto data.Nell'hospice diretto da suor Erika operano un responsabile medico esperto in cure palliative,una dottoressa, sei infermieri,altrettanti operatori sociosanitari,una psicologa «e un'assistente sociale,volontaria - precisa suor Erika con un po'di rammarico ma senza polemizzare - perché il Comune non ce l'ha fornito». Il centro è stato inaugurato il primo ottobre scorso,ma era in progetto sin dal '97 quando direttore dell'Ausl era Marino Pinelli «che sollecitò la costruzione dell'hospice».Per affrontare le ingenti spese e mantenere alto il livello qualitativo è stata aperta anche l'associazione "Amici delle Piccole figlie" che formano volontari e disponibili a incassare contributi economici. Le possibilità in provincia
Hospice, allarme posti
L'informazione del 29/08/2008 , articolo di Francesco Saponara ed. Parma p. 1
Quattro strutture, ma solo 43 lettiono luoghi per curare i malati terminali, gli hospice: strutture ancora poco conosciute ma che "accompagnano" il paziente negli ultimi giorni di vita. Le strutture su tutta la provincia sono quattro (per numero siamo primi in regione),ma "solo" 43 i posti disponibili contro i 55 di Bologna.Gli hospice ad oggi sono presenti in città alle Piccole figlie di via Po,a Langhirano,Fidenza e Borgotaro. Sono mali terribili. Fisicamente e psicologicamente.I tumori,quando sono in fase terminale,ti avvolgono completamente.E non lasciano scampo.Secondo le statistiche nazionali i morti per tumori sono circa 130mila ogni anno e,di questi, almeno 100mila avrebbero bisogno di cure palliative nella fase terminale.A domicilio o in ospedale.Non sempre,però,è sostenibile assistere un congiunto. Per questo sono stati creati gli hospice:strutture ancora poco note,ma che "accompagnano" il paziente negli ultimi giorni di vita. Con amore e dedizione, medici e infermieri coccolano,è proprio il caso di dirlo,i malati e i loro familiari,spesso appoggiati da psicologi. Ma sono ancora troppo pochi,con liste d'attesa da brivido. Che cosa sono Negli hospice le cure servono a ridurre i sintomi,i dolori e la sofferenza che la malattia provoca.Gli hospice sono strutture che ospitano malati terminali di tumore, ma se fossero più numerose dovrebbero accogliere anche chi è affetto da gravi casi di sclerosi o cirrosi,da malattie respiratorie o cardiache e che non rispondono più ai farmaci. Una pratica che,secondo alcuni studi americani,allungherebbe la vita dei pazienti grazie al potere delle cure palliative,trattamenti che rendono sopportabili e vivibili con dignità e senza dolore gli ultimi mesi di vita. Le possibilità in provincia Le strutture su tutta la Provincia sono quattro (per numero siamo primi in regione),ma "solo" 43 i posti contro i 55 di Bologna.Gli hospice ad oggi sono presenti in città alle Piccole figlie di via Po, a Langhirano,Fidenza e Borgotaro.Pochi per un territorio che ambisce a diventare il secondo polo sanitario in regione? In quella di via Po,gestita da suor Erika Bucher,ci sono otto posti letto,una lunga lista d'attesa e una quindicina fra medici,infermieri e assistenti.«Non possiamo fare di più - spiega suor Erika - le cure palliative sono ancora poco conosciute».E la colpa non è certo di chi,questi centri,li gestisce,ma di una cultura socio-sanitaria ancora molto indietro rispetto ad altri Paesi. Ma come si può accedere agli hospice? «Dietro richiesta del medico di famiglia o,se il malato è già ricoverato,attraverso i medici dell'ospedale».Nessuna priorità,né riguardo al reddito,né alla gravita dei malati.«Eccezion fatta per quei malati che con le cure cominciano a subire forti dolori».In via Po non si paga nulla,ma le spese sono ingenti,nonostante la struttura sia convenzionata con l'Ausl e la Regione (che ha finanziato la costruzione del centro).Le uscite sono coperte solo per il 70 per cento.La spiegazione è presto data.Nell'hospice diretto da suor Erika operano un responsabile medico esperto in cure palliative,una dottoressa, sei infermieri,altrettanti operatori sociosanitari,una psicologa «e un'assistente sociale,volontaria - precisa suor Erika con un po'di rammarico ma senza polemizzare - perché il Comune non ce l'ha fornito». Il centro è stato inaugurato il primo ottobre scorso,ma era in progetto sin dal '97 quando direttore dell'Ausl era Marino Pinelli «che sollecitò la costruzione dell'hospice».Per affrontare le ingenti spese e mantenere alto il livello qualitativo è stata aperta anche l'associazione "Amici delle Piccole figlie" che formano volontari e disponibili a incassare contributi economici.
Iniezioni fai da te? Esercitatevi con una mela
Ok - La salute prima di tutto del 28/08/2008 N. 9 SETTEMBRE 2008 p. 38
«Il medico ha prescritto una serie di punture intramuscolari a mio marito, che però non ha molto tempo per andare in ambulatorio. Vorrei aiutarlo e fargliele io a casa: qualche consiglio per evitare problemi?» Livia R. (Capua) Praticare un'iniezione intramuscolare richiede competenza e concentrazione ed è un compito di medici e infermieri. Chi non ha le conoscenze specifiche deve farlo solo in caso di necessità ad amici o parenti e dopo aver ricevuto le corrette istruzioni. Un'iniezione fatta male può provocare dolore ma anche vanificare l'effetto del farmaco e, in alcuni casi, procurare danni. Per fare pratica ci si può allenare con un frutto: quello che per consistenza ricorda più il corpo umano è la mela . o Sempre meglio il sedere Il medicinale è contenuto in un flaconcino, dal quale si aspira con la siringa: serve mano ferma per non toccare con l'ago le pareti esterne della confezione né altre superfici che possono contaminare la punta o renderla meno affilata, e quindi dolorosa. Alcuni preparati sono contenuti in due flaconi (uno col liquido e un altro con la polvere che contiene il principio attivo): si aspira il liquido, si buca la guaina del contenitore con la polvere e si inietta, quindi si aspira la soluzione e si procede come per i farmaci già pronti. Il nostro paziente dovrà stendersi a pancia in giù con i muscoli delle gambe rilassati. Il posto migliore è il sedere e la sede più sicura e agevole per i non professionisti è il quadrante superiore esterno della natica, dove è minore il rischio di incontrare vasi sanguigni e terminazioni nervose. Se la siringa contiene aria va eliminata per evitare che provochi complicazioni: lo si fa tenendola con l'ago verso l'alto e premendo lo stantuffo finché dalla punta uscirà una goccia di liquido (il meno possibile). L'ago non entra tutto Dopo aver disinfettato la zona scelta con del cotone imbevuto di antisettico (che va lasciato agire per una trentina di secondi), ecco il momento clou. L'ago va inserito il più perpendicolare possibile, molto lentamente e non del tutto. Poi, bisogna tirare indietro lo stantuffo e controllare che non entri del sangue nella siringa , il che significherebbe che si è all'interno di un vaso capillare. Se così fosse, bisogna sospendere l'iniezione (e ripeterla con una nuova confezione di medicinale), perché i farmaci possono danneggiarsi a contatto con il sangue e comunque non devono entrare direttamente in circolo, ma richiedono un assorbimento graduale. Se invece non siamo stati così sfortunati, il più è fatto. Non resta che spingere delicatamente lo stantuffo (circa dieci secondi per un millilitro) e poi estrarre l'ago con un gesto rapido ma senza strappi . Infine, si tiene premuta la zona per mezzo minuto, per fermare la piccola uscita di sangue. Francesco.Fanari @ ok.rcs.it Testo raccolto da Giorgio Cesarini Francesco Fanari infermiere È nato nel 1962 a Milano, dove ha conseguito la laurea magistrale in scienze infermieristiche all'Università degli Studi. Sempre nel capoluogo lombardo è coordinatore didattico di sezione all'Azienda ospedaliera Fatebenefratelli e oftalmico e docente di scienze infermieristiche all'Università degli Studi. Sotto i tre anni bambini dall'infermiere Se il nostro paziente è un bambino ci vogliono delle precauzioni in pi'. Anzi, la prima regola ƒ che se il piccolo ha meno di tre anni la puntura gli vada fatta solo da personale qualificato . «Il suo corpicino è ancora delicato, la massa muscolare praticamente inesistente e un'iniezione risulta troppo complessa perch' a farla sia un parente o la vicina di casa», spiega l'infermiere Francesco Fanari. «Nel caso di un bambino pi' grandicello bisogna prima di tutto fare in modo che sia rilassato e sereno. Per evitare che possa muoversi in maniera scomposta lo si può lasciare in braccio alla mamma mentre si fa l'iniezione : lei non solo potrà coccolarlo ma anche tenerlo ben fermo. Date le dimensioni ridotte del gluteo di un bambino è bene inserire l'ago per non pi' di duetre centimetri».
SALVE SONO SAM IL SIMULATORE MEDICO ARTIFICIALE
Airone del 28/08/2008 N. 329 SETTEMBRE 2008 p. 123
Meglio ribadirlo: quando si ha bisogno dell'intervento di un'ambulanza in V Italia, come nel caso di un malore o di un incidente, bisogna sempre chiamare il 118. Solo così può essere infatti attivata la catena del soccorso, che parte proprio nel momento in cui si compone il numero nazionale per le emergenze sanitarie. Ma cosa succede dal momento della telefonata? Per scoprirlo siamo andati all'Ospedale Niguarda di Milano, dove ha sede la Centrale operativa 118 del capoluogo lombardo. Codici verdi, gialli e rossi Spiega Giovanni Sesana, responsabile della Centrale di Milano: «Quando una persona chiama il 118 per richiedere l'intervento di un'ambulanza, un sistema computerizzato localizza il luogo dell'evento e individua il mezzo più competitivo da inviare. Una mappa mostra le ambulanze disponibili in quel momento e viene inviata quella che può arrivare nel minor tempo possibile. A questo punto gli operatori, affiancati da medici e infermieri, stabiliscono quale "codice" assegnare all'evento: sarà verde se la persona coinvolta non corre alcun pericolo di vita; "giallo", se un parametro vitale (stato di coscienza, respiro o circolo) è compromesso; "rosso", se l'emergenza è massima. Il codice attribuito determina la scelta del mezzo da inviare. In alcuni codici gialli e nei codici rossi, insieme all'ambulanza (Msb), può essere inviato anche un mezzo di soccorso avanzato (Msa): l'automedica, l'autoinfermieristica (solo in alcune regioni d'Italia) o l'elisoccorso (disponibile in tutte le regioni, ma non in ogni provincia) . L'elicottero entra in azione sia nel caso di eventi minori, che si verificano però in zone difficili da raggiungere "sulle 4 ruote", come le isole o le montagne, sia negli interventi di particolare gravita. Mentre infatti l'equipaggio delle ambulanze è composto da soccorritori "semplici", a bordo dell'Msa ci sono un medico e un infermiere esperti in area critica che hanno a disposizione strumenti sofisticati come i farmaci, i respiratori o gli ecografi». Non tutte le telefonate al 118 si concludono però con l'invio dell'ambulanza: mediamente le chiamate che arrivano alla Centrale operativa di Milano sono 1.800-2.000 al giorno, gli invii dell'ambulanza circa 800 e quelli dell'Msa 50-60. Arriva in 8 minuti A questo punto i mezzi di soccorso arrivano sul luogo dell'evento. Quanto tempo impiegano? «Nei codici gialli e rossi le ambulanze devono arrivare entro 8 minuti in città ed entro 20 minuti in area extraurbana», precisa Sesana. «I soccorritori al loro arrivo procedono alla prima valutazione del orico e pratico: oltre ai fondamenti di anatomia e di fisiologia, vengono insegnate le tecniche di rianimazione cardiopolmonare, di ventilazione, di immobilizzazione... L'equipaggio minimo su un Msb è composto da 3 soccorritori certificati 118, al quale si può aggiungere un allievo o un quarto soccorritore». Viene poi trasportato, sempre in c o dice verde, giallo o rosso in un Pronto Soccorso scelto dalla Centrale Operativa in base alle condizioni del paziente e alla disponibilità della rete ospedaliera». Non è detto che ogni struttura abbia infatti a disposizione tutte le specialità (traumatologia, cardiologia, pediatria...), o che ci siano posti disponibili nei reparti. In ospedale un infermiere professionale attribuisce un nuovo codice di gravita al paziente (triage): in Pronto
ISTAN E L' AM E COSTA 50.000 EU
nella versione femminile, può: 50.600 euro, per l'esattezza. Cosa lo Tutto, per la prima volta al mondo, grarende tanto straordinario (e costoso)? zie a un telecomando. Sa parlare, piangere, sudare, vomi• Questo gioiello tecnologico portatile, l'evoluzione del nostro Sam, si chiama iStan e viene utilizzato per formare gli aspiranti medici, infermieri e dentisti dell'Università di "ortsmouth, nel Regno Unito. Viene "fcipito di liquidi organici e, a diBiza, gli viene impartito l'ordine di sanguinare, o di fare la pipì. Altri prodigi di iStan? Le sue pupille si reI stringono o si dilatano, gli viene la -"•* d'oca, le sue gambe si frattura-
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