Avvenire del 29/10/2008 p. 22
La Divisione specializzata Healthcare di Articolo 1 ricerca per case di cura private 60 infermieri. I candidati devono essere in possesso di laurea in Scienze infermieristiche o equipollenti e relativa iscrizione al Collegio professionale (Ipasvi), anche neo-laureati senza alcuna esperienza. Sedi di lavoro: Torino, Corno, Lecco, Genova, Rapallo, Bologna, Reggio Emilia, Lugo di Romagna, Cesena, Bari. Gli interessati sono pregati di inviare un dettagliato cv con foto tessera allegata, indicazione della posizione e sede di interesse ad: Articolo 1 -Via Zamboni, 1 - 40126 Bologna - Tei: 0515880474 - Fax: 0515880534 - E-mail: agostino, tantini @ articolo 1. it.
Infermieri, formazione in tandem con gli inglesi
Il Piccolo di Trieste del 29/10/2008 ed. Nazionale p. 26
Studieranno on-line con i loro colleghi inglesi gli infermieri di Trieste. Alla fine dello stage di tre settimane a contatto con la sanità britannica, il collegio Ipasvi ha infatti firmato una convenzione con l'Università dello Hertfordshire che permetterà l'utilizzo comune di una piattaforma di studio informatico e favorirà scambi scientifici tra studenti inglesi e infermieri triestini. Un'altra convenzione era stata siglata mesi fa con la facoltà di Scienze della formazione di Trieste, che darà collaborazione tecnica al Collegio per la piattaforma di e-learning. Questa sarà approntata entro la primavera 2009. La seconda fase prevede l'avvio della sperimentazione e del tutoraggio on-line. Contatti simili sono in programma con i servizi sanitari e le facoltà specialistiche di Slovenia, Croazia e Spagna.La delegazione Ipasvi che ha passato tre settimane a Londra, formata da un infermiere che ha vinto la borsa di studio e dal presidente Flavio Paoletti, ha visitato il «Nursing and midwifery Council», istituzione analoga al Collegio triestino, e il Guy's and St.Thomas Hospital di Londra, e ha incontrato i dirigenti del servizio sanitario inglese «avviando - così una nota - una comune verifica per lo scottante problema della carenza di infermieri specializzati e per un progressivo spostamento dell'assistenza dall'ospedale al territorio».L'Ipasvi ha promosso anche un incontro sull'evoluzione della deontologia degli infermieri, con oltre 280 operatori: tenuta anche una tavola rotonda sull' «analisi del contesto professionale e sociale per contribuire alla cura dell'intera comunità».
Trapiantato il cuore hi-tech dimenticato
Corriere della Sera del 29/10/2008 , articolo di Luca Angelini ed. MILANO p. 13
Donato al Poma dalla Fondazione Bam, è rimasto per 2 anni in magazzino L'intervento chiude la vicenda-beffa delle apparecchiature comperate nel novembre del 2006 e mai utilizzateMANTOVA - Il signor Giuseppe (lo chiameremo così, per rispetto della privacy), rischiava di non festeggiare il prossimo Natale. E non per modo di dire. A 76 anni, nemmeno il defibrillatore bastava più a non far perdere colpi al suo cuore malato. Cardiopatia dilatatoria postinfartuale, come recitava la sua cartella medica. Ne erano passati altri, come lui, nelle corsie della cardiochirurgia dell'ospedale "Carlo Poma" di Mantova. Cardiopatici, ma con più di 65 anni. Il limite oltre al quale, in Italia, il trapianto di cuore non si fa più. Un'alternativa, però, c'era. Ma è rimasta chiusa, per due anni, in un magazzino dello stesso ospedale. Due cuori artificiali (uno per l'intervento, l'altro di riserva, in caso di imprevisti), che la Fondazione Banca Agricola Mantovana aveva donato al "Poma" sborsando la bellezza di 160 mila euro.Era diventata, quella dei cuori artificiali «dimenticati», una sorta di pietra dello scandalo, l'ennesimo monumento agli sprechi nella sanità. Se ne erano occupati quotidiani locali e nazionali, ma niente. I cuori rimanevano nel magazzino. Motivo? «Per l'osservazione post-operatoria - spiega il professor Mario Zogno, il primario che ha portato la cardiochirurgia del "Poma" ai massimi livelli nazionali - servivano due letti di rianimazione in più e il relativo personale, cioè sei infermieri e un anestesista».Ma, si sa che, soprattutto gli infermieri, è ben difficile trovarli. Tant'è che, ad un certo punto, dalla direzione dell'ospedale pareva essersi decisa al gran rifiuto. «Cara Fondazione Bam - era la sostanza - non è che potremmo restituirvi i due cuori artificiali in cambio di altro materiale medico».Apriti cielo. La Fondazione aveva ribattuto che quei 160 mila euro doveva servire a portare l'ospedale cittadino a livelli d'eccellenza, mica a rifornirlo di garze e cerotti.Speriamo non l'abbiano detto, in questi due anni, ai tanti possibili beneficiari del trapianto passati dal «Poma» e poi trapassati, che la loro speranza era lì, inutilizzata, a pochi metri. Al signor Giuseppe, per fortuna, è andata meglio. Non perché siano arrivati infermieri e posti letto. Ma perché il professor Zogno proprio non la tollerava più, una situazione così. Già aveva dovuto farsi mandare un cuore artificiale nuovo dalla ditta tedesca che li produce, in cambio di uno dei due da revisionare. E, vagliata la situazione clinica del signor Giuseppe e avuto il consenso di pazienti e familiari, ha deciso di intervenire. Sette ore in sala operatoria, dalle 8 alle 15 di ieri. «L'intervento è andato bene, anche se adesso il paziente è in rianimazione, in prognosi riservata - dice il primario -. Se tutto andrà per il meglio, potrà presto riprendere una vita normale, solo portando con sé la cintura con le batterie, che hanno un'autonomia di 8 ore, e il computer che regola il cuore artificiale».Anche il direttore generale del "Poma", Luca Stucchi, dopo tante polemiche (iniziate ben prima del suo arrivo a Mantova) tira un sospiro di sollievo: «Questo è un giorno importante per l'ospedale. Abbiamo lasciato decidere, come giusto, ai medici quando e come intervenire, cercando di non farli sentire sotto pressione. Quanto ai letti di rianimazione, il solo problema è reperire il personale». Per fortuna del signor Giuseppe, una soluzione s'è trovata lo stesso.
160MILA euro: la cifra stanziata nel 2006 per donare i cuori artificiali al «Poma»
400 I PAZIENTI sottoposti all'impianto del ventricolo in Europa. Trenta in Italia
La Stampa del 29/10/2008 ed. SAVONA p. 53
FornaciTraffico in tiltin corso V. VenetoCome era previsto quella di ieri è stata una giornata da codice nero per il traffico nel quartiere delle Fornaci. La chiusura alla circolazione di auto e moto del tratto fra le vie Leoncavallo e Saredo, in direzione Vado, ha provocato disagi e code nelle ore di punta. Disagi destinati a proseguire fino a venerdì, data nella quale dovrebbero finire i lavori di risistemazione dell'asfalto. TribunalePatteggia 8 mesiper ricettazioneHa patteggiato otto mesi di reclusione per la ricettazione di uno scooter. Alessandro Panara, 30 anni, savonese, era difeso dall'avvocato Alessandro Stipo. Era stato fermato dai carabinieri in corso Vittorio Veneto.Vado LigureIl caso Ferrerodomani in ConsiglioE' convocato per domani pomeriggio alle 15.30 il consiglio comunale straordinario chiamato a discutere la variazione di bilancio dell'Istituzione servizi alla persona Isp, in merito all'ordinanza per la gestione straordinaria del centro socio-assistenziale Ferrero di Vado Ligure. Per le prossime ore sono attesi anche contatti diretti tra il commissario straordinario della Fondazione e il sindaco Giacobbe. L'ordinanza scadrà venerdì 31 ottobre. \Albisola SuperioreUn'interrogazioneper il distretto AslIl distretto dell'Asl2 Savonese di Albisola Superiore è stato tra i temi all'ordine del giorno del consiglio regionale. Matteo Marcenaro (Popolo delle Libertà) ha presentato l'altra giorno un'interrogazione secondo cui la carenza di personale infermieristico, nei mesi scorsi ha portato all'inadeguatezza dei servizi. L'assessore alla Salute Claudio Montaldo ha risposto: «Al momento dell'emergenza si era provveduto mettendo a disposizione del distretto un addetto amministrativo, in modo che l'infermiere in servizio dovesse dedicarsi solo a funzioni strettamente infermieristiche. Ora tutto è rientrato nella normalità». \
TRE MESI di sospensione dal lavoro.
È quanto l'azienda «Ospedali R...
Il Resto del Carlino del 29/10/2008 ed. Ancona p. 4
TRE MESI di sospensione dal lavoro. È quanto l'azienda «Ospedali Riuniti» avrebbe deciso di comminare agli infermieri sorpresi a prestare lavoro presso una casa di cura di Senigallia. Una sanzione che, se confermata, rappresenterebbe un provvedimento duro nei confronti della dozzina di operatori rei di voler rendere il proprio bilancio più idoneo alle aspettative di vita. Non si deve dimenticare che gli stipendi erogati dall'azienda anconetana sono tra i più bassi per quanto riguarda la sfera infermieristica. Una punizione da considerare esagerata, sia per il mondo sindacale ospedaliero, ma anche per i legali del gruppo di infermieri che hanno deciso di dare battaglia fino in fondo impugnando la decisione aziendale e volendo andare fino in fondo attraverso un ricorso. La decisione presa dall'azienda guidata da Gino Tosolini è arrivata alcuni giorni fa, ma se ne è avuta notizia soltanto ieri. Ora si attende il seguito di questa vicenda che ha messo in cattiva luce alcuni lavoratori sorpresi a passare il proprio 'tempo libero' svolgendo le funzioni di infermieri al di fuori dell'azienda di appartenenza. È importante specificare come questo personale non lavorasse in questa struttura assistenziale facendo venir meno le proprie mansioni presso l'ospedale di Torrette, ma al di fuori dell'orario di lavoro. Non è ancora chiaro se la sospensione preveda l'obbligo di frequenza al lavoro per i tre mesi o se gli infermieri debbano stare a casa e basta. Appare certo invece che per venire incontro alle loro esigenze, ma anche a quelle dei reparti, le sospensioni saranno spalmate sul lungo periodo. Almeno cinque operatori infatti farebbero parte dello stesso reparto e toglierli contemporaneamente dal lavoro rappresenterebbe un serio problema organizzativo. Tuttavia questi scenari devono essere ancora delineati in quanto il procedimento è in corso, siamo ancora soltanto alle battute iniziali con la richiesta aziendale, i prossimi passi saranno decisivi. Si potrebbe anche arrivare ad un accordo oppure si andrebbe a sfociare nel campo della giustizia del lavoro. Ricordiamo che tutta la vicenda è scoppiata alcuni messi or sono all'indomani di un blitz dei carabinieri del Nas in un casa di cura senigalliese per altre motivazioni. A seguito del blitz era stata coinvolta pure la guardia di finanza e ad andarci di mezzo erano stati gli infermieri.
Troppi pazienti al Pronto soccorso
Medici e infermieri chiedono aiuto
Libero del 29/10/2008 ed. Roma p. 47
Troppe persone in attesa di cure, pochi medici e pochi infermieri. Una situazione che al Pronto Soccorso del Policlinico di Tor Vergata è diventata "normale". Al punto da non riuscire a soddisfare le richieste dei pazienti. Il culmine è stato raggiunto pochi giorni fa, quando al Pronto soccorso "soggiorna vano" contemporaneamente 107 pazienti. Davvero troppi e troppa pure l'attesa, che ha spinto molti dio loro verso atteggiamenti aggressivi. Troppi pazienti, dunque, e poco personale. Soprattutto per il responsabile del Pronto Soccorso, il professor Alberto Galante. Che, armato di carta e penna, ha scritto e inviato una lettera, anzi due, al direttore generale Enrico Bollero, al direttore sanitario aziendale Isabella Mastrobuono, al direttore sanitario del presidio Giuseppe Visconti. «Non potendo ridurre la percentuale dei pazienti con patologie gravi, per diminuire la ressa in Pronto soccorso e quindi la lista d'attesa, è necessario aumentare la ricettività del Policlinico Tor Vergata ai ricoveri da Pronto Soccorso», scrive nella missiva avente per oggetto "disagio al Pronto soccorso", «riaprire l'ambulatorio delle cure primarie, attivare il box chirurgico e ortopedico». In un'altra lettera, quella che ha per oggetto "sovraffollamento del Pronto soccorso", viene spiegato il 22 ottobre, giornata in cui è stata registrata la massima presenza di pazienti, viene spiegato che per alcune visite è stato richiesto l'aiuto di altre unità. Questa situazione, che ha raggiunto il culmine tra il 22 e il 23 ottobre, da tempo è nel mirino dei sindacati. In particolare dell'Ugl, che più volte ha denunciato il blocco del turn over, indicato come la principale causa dell'attuale carenza assistenziale al policlinico. «Come sindacato stiamo facendo una campagna di protesta contro la Regione perché si registrano quotidianamente situazioni assurde», osserva Duccio Prosperi, dirigente nazionale dell'Ugl. «In alcune realtà, per esempio, sarebbero necessarie delle deroghe per assumere almeno un piccolo numero di infermieri in modo da compensare il fabbisogno dei cittadini. Come nel caso del Policlinico Tor vergata nel quale si sono verificati gli episodi incresciosi dei giorni scorsi», aggiunge il sindacalista. La speranza, quindi, è che la Regione guidata da Piero Marrazzo «lavori ad una deroga per risolvere il problema anche perché ai cittadini non si può dire: non ammalatevi». TIZ. LAP.
per chiedere un ambulatorio medico a Mortizza
La Libertà del 29/10/2008 , articolo di Chiara Cecutta p. 15
Centocinquanta firme per un ambulatorio infermieristico. «Gli abitanti di Mortizza, Gerbido, Roncaglia e Bosco dei Santi, hanno bisogno di un ambulatorio infermieristico vicino a casa, poiché oltre all'aspetto logistico, la maggioranza dei residenti sono in età avanzata». Un desiderio, una richiesta d'aiuto, una reale necessità, ha spinto i due promotori della raccolta firme - Maurizio Groppi e Beppe Dossi - a rendere pubblica l'iniziativa. Avrebbero trovato anche il luogo, l'ex scuola di Mortizza, ed hanno già ricevuto l'adesione della Croce Bianca a collaborare, ma nulla ancora si è mosso. «Sull'esempio dei due ambulatori - osservano - sempre gestiti dalla Croce Bianca, situati nel Centro Civico Farnesiana, e in via Raineri, crediamo che anche le frazioni abbiano il diritto all'assistenza ed alla cura». Così nel mese di luglio, Dossi e Groppi hanno iniziato la raccolta delle firme. Un proposito condiviso anche dal vice presidente della Croce Bianca, Renzo Ruggerini: «Le prestazioni che offriamo alla cittadinanza, come ad esempio prelievi, iniezioni, misurazioni della pressione e del tasso glicemico, hanno un costo simbolico di un euro e soprattutto l'ascolto attento delle infermiere volontarie». Ruggerini dichiara di aver visitato i locali della ex scuola, sede di seggio «e di aver scoperto in una delle sale, un ambulatorio di un medico della mutua, inattivo da un anno». Servirebbe una rinfrescata alle pareti, una pulitura profonda di tutto l'edificio e la messa a norma di alcuni spazi, «con costi -aggiunge Ruggerini- che dovrebbero aggirarsi intorno a poche migliaia di euro». Giancarlo Migli e i consiglieri di minoranza, avendo appreso della raccolta firme, hanno chiesto il 7 ottobre che l'argomento fosse messo come ordine del giorno nell'agenda del quartiere. «Ma ancora non abbiamo notizie di tale richiesta». Angelo Bertoncini, presidente della Circoscrizione 4, ribatte fermamente l'affermazione: «Ho già spiegato a Migli che l'ordine del giorno scritto dalla minoranza non può essere inserito nell'agenda, perché, secondo regolamento, è fuori dalle competenze circoscrizionali». Intanto Dossi e Groppi attendono «da oltre un mese, un colloquio con il vicesindaco, Francesco Cacciatore».29/10/2008
"Il precariato fa male alla sanità"
La Voce di Romagna del 29/10/2008 ed. Rimini p. 29
Il Patto: "I progressi fatti lasciano l'amaro in bocca"SAN MARINO - Si parla molto di sanità nel corso di questa campagna elettorale. Progressi, infatti si sono registrati, lo ammette chiaramente anche l'altra metà della mela politica sammarinese, quella che fa capo al Patto per San Marino: "Un riconoscimento -dicono i 'pattisti'- che lascia comunque dell'amaro in bocca". Il riferimento è alla stessa chirurgia diventata ultimamente una sorta di fiore all'occhiello dell'Ospedale di Cailungo. Dicono fra l'altro: "Operazione ben fatta se non fosse per quell'accordo a tempo determinato che è stato stipulato". Ma è un discorso complesso, articolato e meritevole di approfondimento. Lo faranno i candidati del Patto, come anticipato già dal consigliere Dc Giancarlo Venturini, nei prossimi giorni. Il suo riferimento è pure al precariato, soprattutto quello infermieristico anche se molte altre sono le figure interessate a queste problematiche, sia mediche che non. L'Ais, associazione infermieri sammarinesi, ha avuto modo di diffondere un suo comunicato che, riassunto, precisa: "Nell'ottica della qualificazione e del miglioramento continuo della sanità sammarinese ed in particolare delle attività assistenziali e di cura non si può prescindere dall'attenzione costante alla formazione ed alla valorizzazione degli operatori coinvolti in questo delicato settore". Semplice: "La carenza di figure infermieristiche sottolinea Giancarlo Venturini (Pdcs) - costringe spesso a dover ricorrere a personale non sammarinese, con maggiori difficoltà di gestione". Questo in un contesto più generale, ma nello specifico? "La crescita della nostra sanità subisce anche la situazione del precariato di molti operatori già presenti. Una situazione che certamente non serve a stimolare nei giovani la volontà di impegnarsi a studiare e, poi, praticare questa professione". In passato molti hanno fatto riferimento alla situazione europea. Risposta lapidaria: "L'evoluzione di questa figura nel panorama europeo ha favorito l'istituzione di un profilo professionale ben delineato, derivante da un percorso formativo universitario, garantito dalla costituzione di Albi Professionali e dalla redazione di un codice deontologico. Per favorire l'accesso dei giovani alle professioni sanitarie, oltre a richiamare i valori di solidarietà e spirito di servizio, che le dovrebbero caratterizzare, è necessario recepire le nuove istanze internazionali anche nelle nostre strutture risolvendo altresì problematiche contrattuali che vanno dal riconoscimento dei titoli di studio all'istituzione, appunto, del profilo professionale, alla parificazione retributiva ed alla regolamentazione dell'ingresso in ruolo". Solito discorso, la ricerca di una professione che dia soddisfazioni non solo sul piano sociale ma anche garanzie di un lavoro sicuro ed equamente retribuito."Certamente, la prospettiva di un buon posto di lavoro, qualificato e professionalmente gratificante è un incentivo determinante all'accesso dei giovani ai corsi di laurea per le professioni sanitarie e un importante e proficuo investimento per il futuro dell'Istituto Sicurezza Sociale". Un discorso che il nuovo esecutivo non potrà rinviare ai "secondi cento giorni" di governo. Il Patto per San Marino, ieri sera, lo ha confermato in uno dei tanti dibattiti cui ha preso parte. Un argomento quello del precariato da risolvere anche in chiave efficienza operativa di tutti i settori della sanità e che, quindi, merita, un approfondimento. Giancarlo Venturini (Pdcs) interviene sulla sanità sammarinese
Intanto la Lega rilancia la battaglia sul concorso per infermieri stranieri
Messaggero Veneto del 29/10/2008 ed. Pordenone p. 1
La sanità pordenonese ha tenuto banco, ieri mattina, anche in consiglio regionale, dove i lavori si sono aperti con le risposte a interrogazioni e interpellanze. Quelle relative al Santa Maria degli Angeli sono state presentate da Danilo Narduzzi, Lega Nord, che ha chiesto maggiori informazioni sugli interventi edilizi, segnatamente sul trasferimento del centro direzionale dell'Azienda ospedaliera al terzo piano del padiglione C appositamente ristrutturato, e sugli altri interventi edilizi in corso d'opera nella cittadella di via Montereale. La seconda questione ha riguardato l'emanazione di un bando, sempre da parte dell'Azienda ospedaliera, per l'assunzione di tre infermieri riservando la selezione ai soli cittadini extracomunitari. Al quesito, in realtà, aveva già risposto il direttore generale, spiegando che ogni anno l'Azienda emana tre o 4 bandi per la selezione di infermieri tra i cittadini comunitari, ai quali gli extracomunitari non possono partecipare. Se il personale individuato non è sufficiente, si procede con i bandi per extracomunitari, a cui i comunitari non possono partecipare.
Salute mentale, cure per pochi
Il Sole 24 Ore Sanita' del 28/10/2008 , art di Giuseppe Di Marco N. 42 28 OTT.-3 NOV. 2008 p. 17
Enorme il divario nel numero di psichiatri anche nei Paesi europeiDisturbi mentali, un problema frequente e troppo spesso trascurato. Tanto che nelle Nazioni più povere oltre il 75% delle persone che ne soffre non riceve cure, mentre nei Paesi sviluppati la percentuale di chi non si sottopone a trattamenti va dal 35 al 50%. Un'emergenza per la quale l'Oms ha rilanciato la necessità di interventi mirati in un nuovo programma d'azione, rivolto soprattutto ai Pvs. L'obiettivo è quello di rafforzare l'impegno finanziario, sia degli Stati che dei donatori, per colmare le grosse lacune dei sistemi sanitari nell'assistenza a chi soffre di disordini mentali, neurologici e da abuso di sostanze. Lacune che consistono molto spesso, specialmente nei Paesi più poveri, nella mancanza di risorse umane qualificate. Sotto questo profilo le disuguaglianze sono enormi. La carenza di psichiatri, infermieri, psicologi e operatori sociali è tra i principali ostacoli alle cure e all'assistenza nei Pvs, dove ci sono 0,05 psichiatri e 0,16 infermieri ogni 100mila persone a fronte dei 200 dei Paesi ricchi. Nei Pvs sono inoltre molto modeste le risorse economiche stanziate: si va dai 2 ai 4 dollari a persona. L'Oms ha individuato cinque ostacoli da superare per aumentare la disponibilità di servizi di salute mentale. Oltre all'inadeguatezza delle risorse umane, le altre barriere sono rappresentate da: l'assenza della salute mentale nell'agenda della Sanità pubblica (cui si lega la questione dei fondi); l'attuale organizzazione dei servizi; la scarsa integrazione con le cure primarie; la mancanza di leadership nella salute mentale pubblica. L'agenzia delle Nazioni unite, inoltre, nelle sue linee guida propone agli Stati di individuare le zone e le situazioni di priorità; creare reti di cooperazione tra agenzie Onu, istituzioni nazionali, donatori e Ong; verificare e rimuovere gli ostacoli a un efficace utilizzo delle risorse e soprattutto sviluppare strumenti legislativi e infrastrutture che permettano di attuare i programmi di intervento. In ogni caso è la stessa Agenzia di Ginevra a mettere in guardia: le linee guida non sono efficaci se manca la volontà politica degli Stati. Non a caso nel documento di presentazione del programma redatto dall'Oms si dedica ampio spazio agli interventi recentemente promossi, ricordando, per esempio, che nonostante l'approvazione nel 2002 del piano di azione globale per la salute mentale da parte della 55esima assemblea mondiale della Salute - piano che chiedeva agli Stati di aumentare i fondi per la salute mentale nell'ambito della cooperazione bilaterale e multilaterale - le risorse sono ancora insufficienti. Circa tre quarti degli Stati infatti non hanno un budget dedicato alla Salute mentale e, nei Paesi in cui esiste, in un quinto dei casi gli investimenti non superano l'1% del totale della spesa sanitaria. L'Oms ha inoltre sottolineato, in un rapporto presentato dal suo ufficio europeo e cofinanziato dalla Commissione Ue, che un grosso divario nell'assistenza per chi soffre di disturbi mentali si registra anche nel Vecchio Continente. Per esempio il numero di psichiatri per 100mila abitanti varia enormemente: si va dai 30 della Svizzera e i 26 della Finlandia ai 3 dell'Albania e a 1 in Turchia. La media dei 42 Paesi europei della Regione Oms è di 9 (in Italia sono 9,8; nella Ue a 15 membri, cioè senza i nuovi Paesi dell'Est, 12,9). Ancora più marcata la sproporzione nel numero di infermieri attivi nel settore: si va dai 163 per 100mila della Finlandia ai 3 della Grecia. L'Italia ne ha 32,9, dato superiore alla media (21,7). In generale pochi Paesi hanno un surplus di infermieri, mentre nella maggioranza degli Stati c'è carenza di personale. Per meglio comprendere queste cifre va detto che alcuni Paesi richiedono (e offrono) un periodo di formazione ad hoc per ottenere la qualifica di infermiere nel settore della salute mentale, mentre in altri vengono impiegati infermieri generici, formati poi durante il lavoro. Il rapporto dell'Ufficio europeo dell'Oms analizza anche la percentuale di budget o spesa sanitaria destinati alla Salute mentale. I dati vanno presi con una certa cautela dato che alcune componenti (come i rimborsi per i farmaci) sono difficili da determinare. In ogni caso le percentuali variano dal 13,5% di Inghilterra e Galles al 2% della Bulgaria. In Italia il dato (calcolato sul budget) è del 5%. Si tratta in realtà di un obiettivo, specifica l'Oms, che è stato finora raggiunto da poche Regioni. Infine un dato positivo, che rappresenta una crescita di interesse delle istituzioni sul tema: dal 2005 il 57% dei Paesi europei ha adottato nuove politiche sulla salute mentale o le ha aggiornate, mentre il 47% degli Stati ha introdotto o aggiornato nuovi leggi in materia.
Psichiatri e infermieri nel settore della salute mentale in Europa (x100mila ab.)
Percentuale del budget o della spesa sanitaria destinata alla salute mentale in Europa
Da Operation Smile un sorriso
per migliaia di bambini sofferenti
Osservatore Romano del 29/10/2008 p. 7
Bastano quarantacinque minuti per regalare un sorriso a chi non l'ha mai avuto. Ridare speranza a chi l'ha persa. Infondere coraggio e serenità a chi non ce l'ha. È il tempo necessario che serve ai volontari, medici, infermieri e altri operatori sanitari, di Operation Smile (impegnati in missioni umanitarie in oltre trenta Paesi del mondo) per guarire con interventi di chirurgia plastica ricostruttiva bambini affetti da malformazioni al volto, quali labbro leporino e palatoschisi, esiti di traumi e gravi ustioni. Operation Smile nasce negli Stati Uniti, grazie alla volontà e alla sensibilità di una coppia americana, William Magee, chirurgo plastico, e Kathleen Magee, infermiera. «Nel 1982, io e mia moglie fummo invitati in una missione medica nelle Filippine - racconta al nostro giornale William Magee, che ha compiuto fino a oggi circa settemila interventi - giunti lì trovammo più di trecentocinquanta bambini con gravi malformazioni al volto e un grande taglio nel labbro, stipati in una stanza a cinquanta gradi. I loro genitori chiedevano aiuto. Quel giorno ne furono operati soltanto quaranta, ne dovemmo mandare a casa circa duecentocinquanta. Eravamo tristi, sapevamo di non poter ritornare. Ma l'anno successivo - aggiunge il chirurgo - riuscimmo con un gruppo di amici a raggiungere nuovamente le Filippine e operammo altri centocinquanta bimbi sui quattrocento presenti quel giorno. L'anno successivo ne furono operati altri trecento, ma la lista di quelli che avevano bisogno era sempre più lunga. È così che ebbe inizio l'attività di Operation Smile». Nei Paesi in cui opera la fondazione ogni anno nascono più di centomila bambini con la labio-palatoschisi, ma migliaia rimangono non operati. «Correggere una labio-palatoschisi - spiega Domenico Scopelliti, direttore scientifico di Operation Smile Italia - richiede in media quarantacinque minuti. A oggi, sono circa centoventimila i bambini a cui la onlus ha restituito il sorriso. E vorremmo che tanti altri coetanei avessero la possibilità di avere un contatto con i volontari della nostra organizzazione». I bambini che nascono con questa malformazione sono spesso vittime di emarginazione e discriminazione fino a drammatiche conseguenze. Nei paesi dove Operation Smile realizza le proprie missioni umanitarie, un bambino su cinquecento nasce con questa patologia che comporta innanzitutto difficoltà ad alimentarsi e a esprimersi e, nei casi più gravi, è anche causa di problemi respiratori. Sono diverse e numerose le richieste di intervento che giungono da ogni parte del mondo ad Operation Smile: governi, istituzioni, chiese, fondazioni, organizzazioni umanitarie. «Lavoriamo a stretto contatto con i ministeri della salute di svariati Paesi - sottolinea Gianluca Biavati, vice presidente Europa, Medio Oriente e Africa di Operation Smile - con i quali sono stati sottoscritti protocolli d'intesa. Spesso, però, vi sono difficoltà economiche che solo grazie all'intervento di benefattori o all'organizzazione di eventi benefici vengono superate, ma spesso non bastano». Il prossimo 30 novembre, per esempio, al teatro Sistina di Roma ci sarà una serata di beneficenza per la raccolta di fondi. È in programma un musical dal titolo: «Poveri ma belli», con la regia di Massimo Ranieri. «In realtà - spiega Alessandra Corrias direttore di Operation Smile Italia - quello che abbiamo da fare è raccogliere più fondi e sensibilizzare maggiormente il mondo occidentale a questo problema». A volte, basta una piccola donazione per aiutare migliaia di persone sofferenti. «Quando cambia la vita di un bambino - spiega il dottor Magee - cambia anche quella dei genitori e dei loro parenti, ritorna il sorriso nei loro volti e tutti cominciano una nuova vita. Operiamo dodicimila bambini all'anno, di questi il sessantacinque per cento sono operati da medici locali formati da Operation Smile». I corsi di formazione vengono fatti in loco e in alcuni posti di eccellenza e di riferimento come Colombia, Brasile, Marocco, Giordania, Cina e Vietnam. Un notevole supporto al training formativo viene offerto dal dottor Scopelliti. «A oggi - spiega il direttore scientifico - abbiamo formato una trentina di persone. L'Italia è un Paese sia risorsa, cioè che raccoglie fondi per finanziare progetti e missioni, ma anche un Paese con oltre cento volontari, tra medici anestesisti, pediatri e infermieri che vengono inviati in giro per il mondo a restituire un sorriso a questi bambini sofferenti». E i numeri parlano chiaro: un bambino su millesettecento in Italia è affetto da labio-palatoschisi, uno su ottocentocinquanta negli Usa, uno su quattrocento in Asia. In Etiopia ci sono centocinquantamila pazienti affetti da questa patologia. «In Etiopia - conclude Magee - non ci sono infrastrutture mediche, i bambini nati con labbro leporino non vengono operati a differenza di altri Paesi, quindi il numero cresce di anno in anno. Siamo stati recentemente in un enorme ospedale di Addis Abeba e non posso spiegare l'impatto negativo che quel luogo ha avuto su di me. Quello era un posto dove la gente andava a morire e non per essere curata. Nessuno ha tutto nella vita, quello che è importante è essere modesti e dignitosi. Occorre capire ciò che abbiamo utilizzando i doni che Dio ci ha dato per aiutare la gente. Se tutti mettessimo insieme il nostro sapere e i nostri doni aiuteremmo sicuramente milioni di persone».
Knowledge working
lavoro, lavoratori, società della conoscenza
Harvard Business Review Italia del 28/10/2008 , articolo di FEDERICO BUTERA N. 10 OTTOBRE 2008 p. 99
Un recente libro dell'autore riporta i dati e i fatti della formidabile crescita dei lavoratori della conoscenza in tutto il mondo. Continua così la ricerca che viene condotta da tempo, si precisano le proposte e si avvia un Forum con imprese e istituzioni per seguire quello che probabilmente è il più grande cantiere dell'occidente: la trasformazione del lavoro e dei lavoratori nella società della conoscenza11 mondo del lavoro è popolato da figure che si distinguono profondamente da quelle dei mestieri artigiani, delle professioni liberali e delle organizzazioni industriali come si sono consolidate da decine e centinaia di anni. I quotidiani, le riviste, i romanzi, il cinema e la televisione ci offrono un campionario di lavori e di lavoratori che sembrano davvero mutanti rispetto al mondo del lavoro che la mia generazione ha conosciuto, esercitato, gestito, studiato. I «talenti» che le imprese si contendono a colpi di benefit, promesse di carriere, piani di formazione e, un po' meno, di stipendi sono giovani che hanno mostrato più marcate doti personali e potenziali di crescita, sia nella loro carriera scolastica, sia nelle sofisticate sessioni di assessment proposte dalle aziende: essi non hanno ancora una professione, ma solo un curriculum di studi spesso uguale a quello degli altri, il loro potenziale misurabile e il loro workplace within, ossia «il posto di lavoro che è dentro di loro», in gran parte ignoto a loro e agli altri, e in cerca di opportunità. I «cervelli» che si muovono su scala internazionale, invece, sono dotati di un notevole background teorico e tecnico e hanno già una storia e un loro progetto di ricerca o di professione, fanno parte di cosmopolitan colleges, sono contesi dalle università, dalle imprese multinazionali e dalle organizzazioni artistiche e sportive. Giovani scienziati, professionisti, artisti, manager e imprenditori: sono la classe creativa di cui parla Florida. Quando vanno via dal nostro Paese si configurano i casi della deprecata «fuga dei cervelli», ossia un saldo negativo dei flussi internazionali dei cervelli. Talenti e cervelli talvolta diventano delle star visibili, autorevoli, ben pagate, scienziati noti, artisti arrivati, professionisti e imprenditori famosi, manager di successo: sono le élite del lavoro di livello internazionale di cui parla Rifkin. Molti di loro, nella loro ascesa da talenti a cervelli a star, non seguono percorsi o carriere verticali, ma boundaryless careers, ossia carriere senza confine fra organizzazioni, settori e territori diversi: manager che si spostano dall'elettronica alla grande distribuzione, esperti di logistica che passano dal trasporto su ruote al retail, designer che si spostano dai mobili ai vestiti. Talvolta essi seguono addirittura protean careers (processi come quello del mitico Proteo che cambiava forma), quelle in cui le persone riapplicano e valorizzano in contesti e professioni totalmente diversi le loro conoscenze, abilità, potenzialità: in una parola, valorizzano il loro rilevante workplace within: professori che diventano manager, manager che diventano imprenditori, lavoratori dipendenti che costruiscono il proprio small business passando dall'elettronica all'enologia, dalla Pubblica Amministrazione ai resort turistici, persone che cambiano tipi di attività passando dall'ufficio contabilità alla narrativa. Questo processo di sviluppo di figure talentuose e coraggiose verso posizioni di successo riguarda però poche persone: al massimo il 5-10% della popolazione lavorativa (secondo le stime di Rifkin e Florida). Questo processo è altamente incerto, passa per un imbuto troppo stretto e non è neanche un reale professional dream che possa guidare la massa degli attuali o futuri lavoratori qualificati: quanti sognano di diventare amministratore delegato della Luxottica o della Sony, quanti pensano di diventare come Amartya Sen o Rita Levi Montalcini, Alberto Bombassei, Bill Gates, Carlo Emilio Gadda o Alessandro Baricco, Madonna o Bono? L'esercito dei lavoratori della conoscenza La creazione di figure che contribuiscano alla produttività, innovazione e competitivita del nostro Paese costituisce un processo cruciale, ma che registra troppe perdite e spesso uno spreco di potenzialità straordinarie che non vengono pienamente impiegate. Il nostro lavoro recente ci dice che queste élite, che sono oggetto di forte impegno gestionale delle aziende, dell'attenzione delle istituzioni formative e della gestione del mercato del lavoro, che conquistano l'attenzione del pubblico, emergono da un universo di gran lunga più vasto, che nei diversi Paesi occidentali oscilla, come minimo, fra il 33% (Spagna) e il 53% (Gran Bretagna) della popolazione lavorativa. A questo universo si dedica assai meno attenzione e risorse. Abbiamo da tempo chiamato questa grande categoria «lavoratori della conoscenza», secondo una definizione coniata da Peter Drucker. In essa sono inseriti innanzitutto lavori e lavoratori che le statistiche internazionali classificano come sdentisi, manager, professional, technician (si veda la tabella «I lavoratori della conoscenza nei principali Paesi»). Le statistiche che citiamo infatti non includono le aree delle vendite (perché le nomenclature alla base di queste statistiche non sanno distinguere il venditore di impianti tecnologici dal commesso); del service (perché non sanno distinguere l'operatore qualificato di assistenza tecnica dalla receptionist e dal custode, gli operatori qualificati di customer care dall'esercito di operatori di cali center, gli chef o i maitre di sala dai camerieri); della produzione (perché non sanno distinguere l'operatore della sala di controllo di un laminatoio dall'operaio di montaggi); dell'agricoltura (perché non sanno distinguere il vignaiolo esperto dal bracciante); dell'artigianato (perché non sanno distinguere l'imbianchino dal restauratore, l'artigiano ripetitivo dall'artigiano creativo). Esistono sì le differenziazioni per qualifiche, ma esse hanno spesso una logica retributiva e sindacale più che di contenuto. In una parola, anche nei casi in cui i processi di conoscenza conducono in definitiva alla produzione di oggetti e di servizi, abbiamo figure del tutto assimilabili a quelle di chi produce solo output immateriali: ma gli strumenti di analisi e classificazione del lavoro, al momento, non ci consentono di distinguerli con chiarezza e ci consentono solo di stimarli in un ulteriore 15 per cento. Quindi i lavoratori della conoscenza in Italia dovrebbero aggirarsi intorno al 57% della popolazione lavorativa. Tutti quanti (sia quelli che le statistiche internazionali identificano ed enumerano con certezza come lavoratori della conoscenza, sia quelle posizioni qualificate annegate entro masse molto eterogenee) hanno in comune la caratteristica di lavorare sull'immateriale, trasformando input di conoscenza in output di conoscenza con qualche forma e grado di novità, ossia generando scoperte, decisioni, servizi, soluzioni, coordinamento, disseminazione di conoscenze. Essi usano il proprio patrimonio di conoscenze esperte e tacite, e le conoscenze codificate delle organizzazioni in cui operano, avvalendosi sapientemente di tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Essi non producono direttamente merci, oggetti, artefatti, dati, ma conoscenze chiave, essenziali per produrre prodotti e servizi più efficienti e innovativi. Essi producono conoscenza per mezzo di conoscenza. In una società in cui il valore è generato dal differenziale di conoscenze contenuto nei prodotti e nei servizi, queste posizioni lavorative animano i processi di valorizzazione di un'economia terziarizzata, di una società della conoscenza. Essi operano nell'area in cui imprese, regioni, nazioni ricercano il proprio vantaggio competitivo rispetto a Paesi il cui costo del lavoro manifatturiero è frazione del nostro (Cina, India, Romania, Malesia, Vietnam). Lasciando temporaneamente fuori chef di cucina, venditori di sistemi di ICT, addetti a centrali elettriche, artigiani qualificati (che non sappiamo quantificare), in occidente rimane la quota del 33-53% della popolazione misurata con certezza dalle statistiche internazionali: essi sono più numerosi di tutti gli operai e gli impiegati d'ordine messi insieme; operano nelle industrie, nei servizi, nelle Pubbliche Amministrazioni. Solo pochi di loro sono talenti, cervelli, star: sono semplicemente manager, medici, infermieri, insegnanti, impiegati e quadri di alto livello dell'industria e dei servizi, ricercatori e progettisti, designer, funzionari pubblici, etc. Sono il grande aggregato centrale del mondo del lavoro. Da tutte queste occupazioni (e non solo dalle «teste d'uovo» e dalle star) dovrebbero scaturire l'innovazione, la produttività, la flessibilità, la gestione del cambiamento. Ma i nostri dati non certificano l'avvento della società della conoscenza. Infatti non sempre l'organizzazione del lavoro della conoscenza (nella dimensione ristretta 0 estesa che abbiamo citato) è soddisfacente e tale da sostenere produttività e innovazione continua: soprattutto nella Pubblica Amministrazione, nei servizi tradizionali, nelle piccole imprese prevalgono processi poco compresi e mal definiti, inadeguate interfacce con i sistemi, sistemi di coordinamento e controllo arcaici, ruoli agiti distanti dai ruoli formali, team non ottimizzati, networking inadeguato, sistemi di gestione delle persone di altri tempi e, soprattutto, culture oscillanti tra la prescrittività e l'arbitrio. Pensiamo alla cura meticolosa con cui venivano analizzati i contenuti di lavoro e organizzati processi e coordinamento nelle organizzazioni classiche: è cominciata la società della conoscenza ma non ancora lo studio e la progettazione delle organizzazioni della conoscenza. Capire il lavoro della conoscenza 1 lavoratori della conoscenza, così internamente differenziati per domini conoscitivi, per specializzazione, per livelli di qualificazione formale e sostanziale, per condizioni occupazionali, presentano però alcuni rilevanti tratti e problemi comuni, e sono oggetto di politiche organizzative e istituzionali comuni. Proveremo a riassumerli brevemente. Il contenuto del lavoro della conoscenza. Che cosa c'è in comune fra il lavoro e i lavoratori di un ospedale, di una scuola, di un centro di ricerca e sviluppo, di una direzione finanziaria, di una catena alberghiera? La prima risposta è: il carattere immateriale dei processi di conversione e la produzione di conoscenza nuova a mezzo di conoscenza, ossia la natura del lavoro della conoscenza. • La natura mentale del lavoro: cognizione, decisione, attenzione, emozione. • La varietà delle conoscenze impiegate (sapere cosa, sapere come, sapere dove). La distribuzione delle conoscenze fra sistemi (conoscenze incapsulate nelle procedure o residenti nei codici) e persone (conoscenze esperte e tacite). La complessa interazione persona/computer (pensiamo ai casi di un consulente finanziario o di un pilota di aereo). La comunicazione (rapporti face to face, comunità di pratiche, social networks). • La cooperazione in parte fissata dall'organizzazione e in parte generata dalle persone (gli «schemi di gioco» in parte date e in parte create dal team). La comunità (professionale, sociale, politica) all'in• terno delle organizzazioni della conoscenza. Fino alla metà dell'Ottocento, i processi cognitivi e psichici (l'anima umana) erano competenza delle religioni e della letteratura. Agli inizi del Novecento i processi di lavoro vengono proceduralizzati e «staccati» dal lavoro vivo. Un'analisi della complessità del lavoro della conoscenza nell'industria era stata svolta negli anni Sessanta da Trist, Gouldner e Crozier. Più avanti inizia lo studio del lavoro immateriale: Latour studia i laboratori e il Consiglio di Stato, Barley i tecnici di laboratorio, Weick il lavoro dei pompieri, Van Maanen il lavoro di un posto di polizia o di Disneyland. Ma sono rari gioielli, che non hanno creato un filone sistematico di studi. Bagnara descrive alcuni caratteri e problemi comuni ad esempio di figure di creativi e innovatori (si veda il riquadro «Contenuti del lavoro e identità »). L'organizzazione del lavoro. Lottimizzazione dell'organizzazione del lavoro nelle situazioni in cui i processi di lavoro sono difficilmente rappresentabili sono basati su modelli di cooperazione, conoscenza, comunicazione, comunità, di nuova concezione anche se difficili da mettere a fuoco. Categorie come team spirit, motivazione, creatività, leadership invece sono categorie assai evocative, ma non spiegano l'organizzazione e non consentono di gestire bene. I segreti di un team sportivo di punta sono stati studiati a fondo e commentati come casi specifici, ma non quelli di un ufficio pubblico o di un reparto di ingegneria di produzione, che da quegli esempi potrebbero imparare. Spicca il contrasto fra la rigorosa e meticolosa organizzazione del lavoro nelle fabbriche e nei servizi routinizzati, su cui ha poggiato il fenomenale salto di produttività della società industriale e la non sistematica attività di analisi e progettazione del lavoro della conoscenza, oggi che esso è così importante per la competitivita internazionale. Occorre analizzare e progettare le reti di impresa e di persone e potenziare fenomeni chiave per l'innovazione, come la «propagazione». (Si veda il riquadro «L'organizzazione della filiera della conoscenza»). Occorre scoprire nuove strutture di regolazione dei processi di conoscenza, dei ruoli e dei comportamenti ottenuti non per prescrizione, ma per impiego condiviso di ogni tipo di conoscenze, oggi diffuse nelle organizzazioni della conoscenza più evolute, ma poco note, (si veda il box «Lorganizzazione di un reparto di terapia intensiva»). Ruoli e professioni. Lidentificazione e progettazione di ruoli, mestieri e professioni per i lavoratori della conoscenza è oggi una priorità. La diffusione dalla metà degli anni Novanta del modello delle competenze non sempre è stata utile: la meticolosa identificazione delle competenze ha talvolta rappresentato il mondo del lavoro della conoscenza come un caleidoscopio di frammenti che non si riuniscono mai in insiemi significativi per le organizzazioni e le persone. Solo in pochi casi si definiscono nomi, percorsi, regole, sistemi di riproduzione delle professioni, soprattutto delle professioni strategiche. Esse sono ad esempio Figure che stanno cambiando funzione, ad esempio capi intermedi che devono trasformarsi da controllori di persone a coach. Specialisti che sono nel corso di diventare professionisti con conoscenze interdisciplinari e competenze sociali e di tipo organizzative/gestionali: ricercatori, progettisti di prodotto e servizio, progettisti di processo, esperti finanziari, ecc. Professioni consolidate ma «liminali», ossia sia figure professionali con alta rilevanza sociale, ma con scarsa specificità di dominio (come ad esempio le professioni sociali), sia professioni poco definite o poco regolate (come consulenti, esperti di comunicazione, web designer, professionisti del design, operatori qualificati del turismo, ecc). Professioni emergenti solo nominalmente, ossia figure nuove che affrontano problemi cruciali ma che sono ancora indefinite, come ad esempio il risk manager, l'esperto di risparmio energetico, il change manager, il manager of innovation, l'esperto di sviluppo locale, l'esperto di internazionalizzazione delle imprese, ecc. Professioni in bilico fra professionalizzazione e degrado, come operatori di cali center, operator di front office, addetti a attività turistiche. Professioni consolidate ma a basso livello di attrattività, come artigiani, infermieri, manutentori, ecc. Mobilità, formazione e selezione. Come avviene il processo di mobilità, formazione e selezione di queste figure? Da questa massa dovrebbero emergere i talenti, i cervelli, le star. Ciò avviene attraverso un processo di supporto e valorizzazione o attraverso processo di selezione naturale, seminato da troppe e ingiustificate perdite? Alcune istituzioni attivano programmi di politiche attive del lavoro (ad esempio, università, scuole) e alcune organizzazioni in tutto il mondo stanno generando esperienze utili e spesso straordinarie su questi temi. Ma la circolazione e la valorizzazione di queste esperienze è insufficiente. Nel nostro Paese, la riflessione complessiva sulle politiche su questa popolazione sono insufficienti, con l'eccezione forse della formazione, componente necessario ma non sufficiente. La Germania, per esempio, ha scuole per i tecnici superiori (le Fachhoschule) che sono non solo ottime, ma sono anche integrate con modalità di organizzazioni del lavoro tecnico-professionale ottimizzate nelle imprese, ruoli e carriere verticali e orizzontali razionali ma flessibili di tipo para-professionale. I sistemi di gestione. Nel nostro volume lo stato delle più importanti iniziative di gestione dei lavoratori della conoscenza nelle grandi imprese internazionali è stato esaminato in una vastissima indagine di Ruggero Cesaria. I molti casi presentati rivelano una realtà contraddittoria e in continuo mutamento: i knowledge worker hanno prevalentemente relazioni contrattuali deboli; si afferma il broadbanding e si trasformano i sistemi retributivi; i sistemi di istruzione sono in ritardo; la eccessiva mobilità danneggia le performance dell'impresa quanto la poca mobilità e molto altro. Le grandi imprese internazionali hanno avviati programmi e cantieri di profonda modifica dei sistemi professionali e dei sistemi di gestione (si veda, nel box dedicato, l'esperienza di Microsoft). La qualità della vita di lavoro. La qualità della vita di questa enorme massa di lavoratori è molto variabile: retribuzione, orari, sviluppo professionale, integrità psicologica sono spesso molto differenziati: talvolta di grande privilegio e soddisfazione (come scrive Rifkin) e talvolta invece quanto meno critiche. In ogni caso essi vivono condizioni di lavoro molto nuove. Lidentità professionale di molti di questi lavoratori è incerta: ha luogo per loro quella corrosion of character, quel depauperamento della personalità di cui parla Sennet: questo è tanto più grave nei casi (presenti nella nostra grande categoria del 33/52% di laureati sottoccupati, professional e tecnici precari, manager dalla situazione occupazionale instabile e oscillante fra professione e appartenenze, insegnanti insoddisfatti, funzionari pubblici poco impegnati o fannulloni, esperti aziendali turbati da scarsa identità e dal glass ceiling (il tetto di vetro di una carriera attesa e non realizzabile). Valorizzare il potenziale e ridurre le criticità Indichiamo di seguito alcune proposte per valorizzare il potenziale di questa trasformazione in atto e ridurre le criticità, a) Descrivere e imparare dai casi eccellenti. Vi sono esperienze molto nuove di progettazione del lavoro e delle professioni in aziende grandi e medie (si vedano i box su ST Microelectronics e Loccioni). Vi sono esperienze istituzionali di grande pregio (le Fachhochschule citate e il progetto di IFTS italiano, solo parzialmente realizzato). La redazione e diffusione dei best case italiani e internazionali è la prima fra le raccomandazioni che emergono dalla ricerca. Occorre disporre su questi casi a) di una fotografia approfondita ma comunicabile che descriva le nuove forme di organizzazione e ruoli; professioni e sistema professionale; persone e caratteristiche delle popolazioni; b) di una comprensione delle interazioni fa queste dimensioni; e) di una storia di come è stato aperto e gestito il progetto: problemi e obbiettivi di partenza, inizio del progetto, modalità di realizzazione, risultati in termini di produttività/innovazione e qualità della vita di lavoro delle persone. Ora occorre attivare su larga scala una ricerca su questi temi: raccontare il lavoro e le sue trasformazioni è un programma che non può essere rinviato e che deve dar luogo a casi, articoli, libri, fiction, etc. A quando, per esempio, libri sul lavoro della conoscenza come La chiave a stella di Primo Levi, in cui tutti abbiamo capito il ruolo, la professione, la persona e il loro contesto di un montatore di tralicci? A quando altri film come The company di Altman, che descrive le professione e l'organizzazione di un compagnia di ballo? b) Per le organizzazioni: sviluppare progetti di nuovi sistemi professionali capaci di sostenere la produttività e innovazione e di sostenere l'identità delle persone. Sulla base anche dei casi di successo e delle ricerche sul campo, incoraggiare imprese e pubbliche amministrazioni a: Progettare e sviluppare processi di lavoro, organizzazione del lavoro, professioni della conoscenza, con nuovi modelli e nuovi metodi. Sviluppare comunità professionali e di pratica senza confini e social networking, anche avvalendosi dalle potenzialità delle tecnologie del web 2.0. Sviluppare programmi di formazione che potenzino capacità di cooperazione intrinseca, conoscenza condivisa, comunicazione estesa, per ciascun contesto e in ogni organizzazione del lavoro. Introdurre nuovi sistemi di identificazione, classificazione e professional placing, basati sull'individuazione di un limitato numero di professioni di base (broad profession) più che su un grande numero di job e task molto dettagliati. Attivare processi collaborativi tra istituzioni, organizzazioni e sistemi educativi, per dare nuova forma alle carriere. Attivare processi di partecipazione al miglioramento e all'innovazione. c) Per le istituzioni, i governi, i sistemi educativi: adottare un approccio che valorizzi tutti i lavori e i lavoratori della conoscenza. Sviluppare un sistema unitario di rilevazione delle professioni e mestieri (broad professions) e un sistema unitario di informazione e valutazione dei risultati dell'università e della scuola. Sviluppare nuove forme di formazione, di alternanza scuola lavoro, di life-long education. Supportare carriere senza confini. Favorire lo sviluppo di una economia e società della conoscenza, dopo quella della produzione materiale. Gli operai e gli impiegati d'ordine, che avevano preceduto i lavoratori della conoscenza come categorie centrali, erano stati al centro delle politiche e delle istituzioni della società industriale: sistema salariale, relazioni industriali, sistema di welfare, sistema di formazione professionale, sistema culturale, sistema politico. Nulla di tutto ciò è ancora avvenuto per i lavoratori della conoscenza: sembra quasi che le istituzioni «non li vedano» come aggregato. Per analizzare, progettare e classificare le professioni esistenti e in via di formazione la Fondazione Irso ha sviluppato un modello di analisi (si veda il box relativo alla Fondazione Irso) che sta applicando in ricerche e progetti con imprese e istituzioni. Esso è basato su tre cardini: il ruolo, la professione, la persona, sulle loro interazioni e sulle dimensioni di contesto in cui sono inserite (organizzazione, mercato del lavoro, struttura sociale). Il taylor-fordismo era riuscito a definire risorse organizzative e gestionali che hanno assicurato il più grande salto di produttività della storia, fornendo una visione e strumenti unitari per gestire lavoro e lavoratori di acciaierie, fabbriche automobilistiche, ferrovie, macelli, supermercati, trasporti, etc. Ora la sfida è più complessa: più complessi i processi, più complesse le persone, non è possibile alcuna best way of organizing. Un quadro interpretativo unitario del mondo del lavoro e dei lavoratori della conoscenza può consentire il superamento di visioni frammentate di mondi differenziati e incomunicanti. La scuola, i sistemi di regolazione del mercato del lavoro, la cultura del management, i nuovi paradigmi organizzativi, le tecnologie per supportare produttività del lavoro della conoscenza e qualità della vita dei lavoratori della conoscenza possono costituire infrastrutture fondamentali per sostenere e supportare cantieri specifici, nelle singole organizzazioni e nelle singole istituzioni. Queste sono materie di vaste opere di collaborazione fra imprese, organizzazioni pubbliche e istituzioni, dove nuove infrastrutture siano prima testate su progetti pilota e dove progetti pilota propongano apprendimenti utili per la progettazione delle infrastrutture. Lavoro e lavoratori della conoscenza in sintesi possono e devono diventare la materia di un grande cantiere, di una nuova grande «città che sale».Federico Bufera è Ordinario e coordinatore del Corso di laurea in Scienze dell'Organizzazione all'Università di Milano Bicocca, presidente della Fondazione Irso [Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi) e direttore di «Studi Organizzativi».
II sistema di gestione di Microsoft» La Microsoft è stata tra le prime grandi imprese a fare i conti con le esigenze di un grande numero di lavoratori della conoscenza. Microsoft ha offerto ai lavoratori della conoscenza una proposta basata su diverse leve organizzative e gestionali: gli headquarter di Seattle sono stati pensati come un campus universitario, sia nell'architettura che nell'incoraggiamento a seguire orari atipici di lavoro; ci si è sforzati di far crescere alcuni valori condivisi che, mantenendo il lixvello necessario di controllo del processo di sviluppo, hanno consentito alle persone di avere elevati livelli di autonomia; vi è parziale sovrapposizione tra vita lavorativa e vita sociale/familiare; sono stati accettati comportamenti e investimenti non immediatamente orientati agli obiettivi di business; si è cercato di ridurre il trade-off ira responsabilità manageriali e professionali: tutti i manager (compreso il CEO) mantengono un collegamento con l'attività professionale lavorando come sviluppatori part-time (Cusumano & Selby); iil processo di sviluppo è stato pensato in modo da consentire a gruppi di grandi dimensioni di lavorare con le stesse logiche dei piccoli team; i dipendenti a più elevate prestazioni sono premiati con stock option per rinforzare il legame con il business; si è lavorato sulla gestione dei conflitti individuali: un processo intensivo di autoselezione garantisce un'e^ levata integrazione tra individuo e organizzazione; la specializzazione individuale è integrata in un frami work collettivo; la conoscenza dei dettagli di sviluppo è affidata a più di una persona (per evitare «prime donne»); il processo di sviluppo prodotto è controllato da program manager anziché da super-programmatori che potrebbero altrimenti acquisire troppo potere; Microsoft anziché seguire l'idea dell'appropriazione e patrimonializzazione della conoscenza, ha quindi cercato di sostenere il processo di knowing, pur a fronte delle forti contraddizioni sociali, istituzionali e organizzative che rischian> di impedirne lo sviluppo. [Ruggero Cesaria) <
Contenuti del lavoro e identità» I lavoratori della conoscenza costituiscono un mondo variegato di identità in trasformazione. Una parte di loro si distinguono in innovatori e creativi. Entrambi hanno in comune alcune caratteristiche: lavorano con la mente, poco con le mani, sono essenzialmente urbani, usano le tecnologie della comunicazione e dell'informazione in modo intenso, continuo e ubiquo, devono esercitare attenzione per selezionare una massa esorbitante di informazioni disponibili, hanno bisogno di apprendere, cercano di aggiornarsi continuamente, devono dimenticare le conoscenze obsolete Vivono il lavoro come una continua sfida professionale e personale. Non conoscono la distinzione tra identità personale e identità professionale. Un fallimento professionale è anche un fallimento personale. Per i creativi e gli innovatori, la tensione è uno stato continuo della vita.Cosa succederà al benessere psicofisico di queste persone a lungo termine è una incognita. Per adesso, si sa che riposano male. Durante la notte, rimuginano sui problemi non risolti, su un'idea che non viene. Appena arriva la soluzione di un problema, subito si passa ad un altro rovello. [Sebastiano Bagnara) <
L'organizzazione della filiera delia conoscenza» Per innovare, bisogna che, nella filiera, ciascuno faccia bene il mestiere che sa fare; e che ricorra agli altri per tutte le altre cose che non sono core per lui, su cui non investe e per cui non ha abilità particolari. Questo vuoi dire che qualsiasi processo che genera valore ha dietro di sé una filiera di persone, e quindi anche una filiera di innovazioni collegate. La chiave di accesso all'innovazione destinata ad essere premiata dal mercato, insomma, non è tanto il singolo atto che ha creato una discontinuità, ma è il processo di propagazione della conoscenza e anche delle idee di innovazione, che sta a monte e a valle di quell'atto. Un processo attraverso cui una buona idea trova nuovi usi e nuovi utilizzatori. Ogni piccolo passo della propagazione è un'occasione per innovare. Cosi nasce, e si dilata, lo sciame degli usi e dei valori indotti. (Enzo RullaniJ <
L'organizzazione di un reparto di terapia intensiva» In uno dei migliori reparti americani di terapia intensiva medici e infermieri di diversa specializzazione e seniority si danno una doppia e integrata organizzazione: il round del mattino, in cui essi esaminano insieme il caso clinico predisponendo ogni cosa per l'operazione e la terapia, condividendo di fronte al letto del paziente conoscenze scientifiche, operative e contestuali, e il fly, la fase in cui tutti i sanitari del round sono in sala operatoria a fronteggiare incertezze e varianze, che essi risolvono attivando leadership multiple a seconda del problema e utilizzando una forte dose di sensemaking, ossia di modi di capirsi. Lo specialismo e le gerarchie professionali non sarebbero sufficienti a ottenere lo straordinario livello di performance che raggiungono, senza una comunità animata dal sensemaking. (Sara Albolino) <
I cosmopolitan network di ST Microelectronics» I cosmopolitan network dei tecnici e degli ingegneri della ST Microelectronics di Agrate, che vivono nel contesto dell'altissima tecnologia, lavorano ogni giorno con colleghi che stanno dall'altra parte del pianeta usando tutti i dispositivi esistenti di ICT e dialogando con esperti di ogni disciplina per realizzare prodotti fatti di HW, SW, meccanica, media, design etc, come ad esempio i terminali mobili. La ST ha creato anche una comunità reale su un territorio che attrae knowledge worker da tutto il mondo sullo stesso territorio, creano una opportunità per altre imprese di avvalersi di talenti internazionali e di aumentare la loro competitivita internazionale. (Sebastiano Di Guardo) <
Flexsecurity alla Loccioni» La flexsecurity di carriere senza confini di tecnici e ingegneri che lavorano nella ditta Loccioni per un anno o per dieci anni e che, quando vanno via, poi rimangono in un network esteso che alimenta conoscenze, business e socialità, un great piace to work. Questo è stato uno dei fattori che il fondatore identifica come un dei fattori centrali ha fatto crescere l'azienda da piccola azienda di subfornitura a media azienda che opera su prodotti innovativi e su un mercato internazionale. (Maria La Placa) <
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