La Repubblica del 14/12/2008 , articolo di MICHELE BOCCI ed. Firenze p. 07
Pacchi di caffè nei reparti, furgoni con le vele, richiami. Per un seggio al Collegio Tre liste in lizza Il leader di Nursing up ha speso 13mila euro: "Sono risparmi"NELLA città delle primarie al veleno anche l'elezione per il consiglio del misconosciuto Collegio degli infermieri, o Ipasvi, una sorta piccolo ordine di quei professionisti sanitari, può diventare una battaglia all'ultimo voto a base di campagne elettorali spregiudicate. Lo stesso obiettivo che all'ultima tornata elettorale ha portato alle urne la miseria di 120 aventi diritto su 6mila per scegliere un'unica lista candidata, quest'anno sta diventando una disfida serrata tra tre gruppi. Tutto merito, o colpa a seconda dei punti di vista, di Filippo Festini, responsabile provinciale del sindacato nursing up. Ha deciso di candidarsi, con una dozzina di infermieri del Meyer (tra cui vari rappresentanti del suo stesso sindacato) e tre di Careggi, per prendere in mano l'Ipasvi ed ha investito una somma considerevole per portare più gente alle urne, e dunque vincere. «Ho messo da parte un po' di soldi guadagnati con il mio lavoro di professore e ne ho investiti circa 13 mila».Una somma enorme, se si considera a quale elezione è destinata, e secondo alcuni addirittura sottostimata dall'interessato.Festini ha comprato spazi pubblicitari sui giornali, ha messo furgoni con "vele" con su scritto il nome della sua lista "Dalla parte degli infermieri" fuori dagli ospedali, ha fatto volantinaggio capillare, ha messo su un sito internet con foto professionali e ha pure inviato in regalo pacchi di caffè per gli infermieri nei reparti degli ospedali Asl, Careggi e Meyer. Quest'ultima strategia elettorale gli ha procurato qualche guaio. Intanto in molti hanno mandato indietro le confezioni, poi la facoltà di Medicina si è un innervosita. Festini è professore al corso di laurea in scienze infermieristiche e alcuni colleghi hanno segnalato i metodi della sua campagna al preside Gianfranco Gensini.«Mi hanno parlato di metodologie con consone per un professore - spiega Gensini - Ho girato tutto al rettore che credo abbia inviato una segnalazione alla procura e avviato un procedimento disciplinare».A candidarsi sono anche altre due liste, una guidata dal presidente uscente Gianfranco Cecinati ("Costruire insieme, ottenere di più") e una dalla presidente precedente Angela Brandi ("Professione si-cura"), che per ieri sera aveva organizzato una serata promozionale in discoteca, altra strategia nuova per questo tipo di sfida. Sono stati presi in contropiede dai metodi di Festini e i suoi, non si aspettavano di dover fronteggiare una campagna elettorale di quel tipo. Tra le contestazioni fatte a quello che qualcuno con malizia definisce "un piccolo Berlusconi" c'è quell'incarico di sindacalista peraltro in una sigla considerata di destra. «Ma se vinco mi dimetto - assicura Festini - E poi non è vero che siamo di destra, io a suo tempo mi sono candidato al quartiere per la Margherita.Siamo per dare dignità alla professione, vogliamo tutelare i professionisti, preoccuparci delle condizioni di lavoro degli infermieri, vogliamo per l'Ipasvi un ruolo più incisivo». Pure troppo secondo i suoi avversari.Il Collegio è come un ordine e non si dovrebbe occupare, dicono, di questioni di carattere sindacale. Intanto anche oggi, primo giorno di voto, sono attese pagine pubblicitarie sul giornali, questa volta anche della lista "Costruire insieme, ottenere di più". Le urne restano aperte anche domani e martedì. Poi si conosceranno i vincitori. E si faranno tutti i conti dei soldi spesi.
FESTINI è il leader provinciale del sindacato degli infermieri Nursing up. Si è finanziato la campagna elettorale: volantinaggio, furgoni con le "vele", pacchi di caffè nei reparti
Sempre più stranieri (41 per cento), sempre meno ...
Il Gazzettino del 11/12/2008 ed. VENEZIA p. IX
Sempre più stranieri (41 per cento), sempre meno donne (ma continuano ad essere l'80 per cento), sempre più preparati. E senza problemi a trovare lavoro. Per male che gli vada restano disoccupati tre mesi, ma il più delle volte gli infermieri hanno solo l'imbarazzo della scelta. E così sarà anche per questi nuovi 150 neo laureati infermieri professionali che ieri hanno partecipato alla cerimonia di accoglimento da parte dell'Ipasvi, il collegio degli infermieri professionali presieduto da Luigino Schiavon. Cerimonia importante perchè avvenuta nell'Auditorium del padiglione Giovanni Rama del nuovo ospedale dell'Angelo, alla presenza del direttore generale dell'Ulss 12, Antonio Padoan. Una presenza tutt'altro che formale, quella di Padoan, dal momento che nei giorni scorsi sui giornali era infuriata una polemica proprio sull'orario di lavoro degli infermieri. Che in ospedale macinano 29 ore settimanali e nei Distretti 23 ore. Padoan ha chiarito che gli infermieri - la parola deriva da infirmus, debole - il perno attorno al quale ruota la sanità visto che sono gli infermieri ad avere i contatti veri, umani, con i pazienti, cioè con i cittadini che si trovano in un momento di particolare debolezza e fragilità. "Credo che non ci sia nulla di più gratificante di un lavoro come il vostro, a contatto con la sofferenza e con la possibilità di rincuorare e aiutare anche solo con un sorriso" - ha detto Padoan e Luigino Schiavon ha insistito sull'orgoglio di essere infermieri, capaci di fare assistenza morale ed umana prima ancora che tecnica e scientifica. Anche se le scuole hanno preparato questi giovani come non mai, fornendoli di competenze che solo dieci anni fa sarebbero state inimmaginabili. Del resto l'università e la laurea breve certo non sono paragonabili alla vecchia scuola infermieri e il prof. Abatangelo dell'Università di Padova e la prof. Ortolani dell'Università di Udine hanno riconosciuto che anno dopo anno le tesi di laurea dei neo dottori infermieri sono sempre migliori. Ma Schiavon ha ricordato, sulla base di dati dell'Unione europea, che c'è bisogno di ancor più scuole di formazione degli infermieri e c'è bisogno di allargare la fascia di intervento perchè attualmente ci sono troppo pochi laureati e alcuni settori dell'assistenza sono nelle mani di lavoratori immigrati - basti pensare alle badanti - che spesso non hanno alcuna preparazione. E attenzione che l'immigrazione non risolverà i nostri problemi futuri - avverte Schiavon - perchè gli stranieri sempre più tornano ai loro Paesi d'origine. E questo spiega perchè sono spariti i polacchi, ad esempio, e sono in crescita gli infermieri provenienti da Paesi non extracomunitari. Gisele Beatrice ad esempio, 38 anni, un figlio di 12 anni, è del Camerun. Arrivata in Italia 8 anni fa, ha fatto tutti i lavori possibili e immaginabili e poi si è iscritta alla Facoltà di medicina. "Lavorando e studiando contemporaneamente. Ho fatto i salti mortali, ma adesso sono contenta. Proposte di lavoro? Ho già fatto un colloquio." E anche il marito, che l'ha accompagnata alla cerimonia di accoglimento era contento e commosso.
Barbara Tassan, 29 anni, di Marghera, laurea con 110 e lode e bacio accademico, è sicura di aver coronato il sogno di una vita. Figlia d'arte, "ma mio papà infermiere è stato in realtà il motivo per cui sono arrivata tardi a laurearmi, lui mi sconsigliava e invece sono convinta che sia un gran bel mestiere. E anche mio padre si è accorto che la nostra professione è cambiata in meglio."
Gli iscritti al primo anno di Università sono oltre 150 - 50 a Mestre, 55 a Portogruaro e 75 a Mirano. L'età media a Mestre è di 27 anni, a Mirano 23 e a Portogruaro 21 e vuol dire che in molti fanno altri lavori prima di decidersi a fare l'infermiere. Anche se lavoro se ne trova sempre, nonostante i tagli e i sindacati presenti alla cerimonia ricordavano che l'Ulss 12 è "sotto" di decine di unità e anche l'ospedale dell'Angelo avrebbe bisogno di una cinquantina di infermieri e di coprire i buchi lasciati dalle maternità, ma l'Ulss non ha approfittato nemmeno di un progetto da 1 milione di euro che l'Ue metteva a disposizione proprio per le sostituzioni maternità e part-time.
E il futuro? Schiavon non ha dubbi: "Il nostro referente principale resta il cittadino, al quale dobbiamo dare il massimo anche in periodi di vacche magre come questi. Dobbiamo lavorare con competenza e non dobbiamo far male." E Schiavon ha spiegato che nel codice deontologico del collegio degli infermieri professionali della provincia di Venezia - 5.536 infermieri - non c'è l'adesione a pratiche che portino alla morte. Dunque, niente eutanasia.
L'Ipasvi lancia l'allarme: mancano 60mila infermieri
ItaliaOggi Sette del 15/12/2008 p. 58
Tutta colpa della formazione. Se in Italia, specie al Nord, mancano 60 mila infermieri, lo si deve alla discrepanza tra il reale bisogno formativo e l'attuale programmazione delle università di medicina e chirurgia presenti in Lombardia. «Non riescono a provvedere neppure al turnover», spiega Giovanni Muttillo, presidente del Collegio interprovinciale Ipasvi di Milano-Lodi: «Abbiamo chiesto di aprire i bandi per 3.100 unità di personale: ci è stata assegnata una disponibilità di 1.795, che copre solo il 64% del fabbisogno formativo». «Alla base», continua Muttillo, «c'è un evidente errore nella programmazione, cui si aggiunge un problema di natura economica: chi viene a lavorare a Milano incontra enormi difficoltà ad affittare una casa a prezzi abbordabili. Ecco perché sono convinto che dovremmo riunire a uno stesso tavolo Università, Assessorato alla sanità, Provincia e Collegi dei vari ordini professionali per dar vita a una politica abitativa calmierata». Concorda Annalisa Silvestro, presidente nazionale Ipasvi: «Anche l'ultimo rapporto Ocse conferma la mancanza di 60 mila infermieri sull'intero territorio nazionale. Ma ci sono altre questioni sul tappeto. Intanto, c'è da mettere in conto che la professione di infermiere è declinata soprattutto al femminile (le donne sono circa l'80%) e gli altri ruoli (madre, moglie, figlia, nuora ecc.) sono determinanti e significativi, tanto che sempre più spesso è richiesto il part-time. Inoltre, è da abbattere lo stereotipo secondo il quale per fare l'infermiere non occorrano grandi competenze tecnico-scientifiche. Infine, c'è da ricordare che il riconoscimento economico non è certo incoraggiante». «Io auspico», conclude la Silvestro, «che il ministero del lavoro, salute e politiche sociali si faccia carico del problema nei suoi vari aspetti per mettere in atto efficaci azioni strutturali. Anche considerando che non possiamo dipendere all'infinito da infermieri di altri paesi, che prima o poi faranno ritorno a casa». Da parte sua, Muttillo non è per nulla ottimista. Tanto che proprio il 4 dicembre ha diramato una lettera alla stampa. «Strano paese il nostro», si legge nel comunicato (www.ipasvimi.it), «sono pochi i servizi pubblici che funzionano e che hanno un alto indice di gradimento nella cittadinanza; e, allora, solerti funzionari della res-publica che cosa fanno? Li sopprimono o, meglio, li sospendono momentaneamente. È quanto accaduto al Progetto di formazione on-line Ecce Infad. In due anni e mezzo di attività (1 giugno 2006-21 novembre 2008, data della sospensione) si sono iscritti circa 110 mila professionisti. Più del 30% del totale della popolazione infermieristica». La risposta delle istituzioni? Un silenzio assordante.
«La coperta resta sempre corta»
Il Gazzettino del 11/12/2008 ed. VICENZA p. III
Il sindacato aprezza lo sforzo del direttore generale ma denuncia comunque la carenza di personale(m.c.) «Apprezziamo lo sforzo del direttore generale dell'Asl 6 di Vicenza, Antonio Alessandri, di aumentare il numero di studenti che possono accedere al corso di laurea per infermieri, portato da 100 a 120, ma non possiamo pensare che questo intervento possa rivelarsi sufficiente a rispondere alla drammatica ed innegabile carenza di personale infermieristico». Con queste parole il segretario provinciale del Nursind di Vicenza, Andrea Gregori, ribatte al direttore generale dell'Azienda sanitaria del capoluogo, evidenziando anche la necessità di proporre delle soluzioni, non limitandosi unicamente ad esaminare i problemi passivamente. Sono i numeri a dire la verità: «Contro i 1900 pensionamenti di infermieri ogni anno», prosegue il segretario Andrea Gregori, «ci sono 1400 posti occupati, ma soltanto 850 nuovi laureati. Tutto ciò non determina una generica carenza di infermieri, ma la carenza di personale proprio dove la necessità e l'urgenza sono maggiori, cioè nelle corsie ospedaliere, dove il personale presta servizio 24 ore su 24». Il Nursind non si limita a puntare il dito, ma propone una soluzione: «È arrivato il momento di porre in atto un meccanismo di incentivazione selettiva. È necessario valorizzare e premiare il personale che impara a fare il proprio lavoro con serietà e dedizione, riducendo così l'importante fenomeno della mobilità, che vede i lavoratori fare esperienza all'Ulss n. 6 e poi andarsene per avvicinarsi a casa». La soluzione è rappresentata dagli Oss, gli operatori socio sanitari: «Coinvolgere gli Oss», conclude il segretario provinciale Nursind, «in un percorso professionalizzante, prevedendo delle agevolazioni interne, porterebbe in un tempo relativamente breve a risolvere questa soluzione attualmente destinata a non trovare risposta».
Turn-over infermieri, i laureati non bastano
Il Gazzettino del 11/12/2008 ed. VICENZA p. III
Celebrata al San Bortolo la festa del pensionamento: una settantina i dipendenti che lasciano. Alessandri ha fatto il punto sugli organiciUna settantina di dipendenti del San Bortolo ha celebrato, venerdì scorso, il traguardo del pensionamento. Una festa introdotta nell'Asl 6 di Vicenza nel 2003 dal direttore generale Antonio Alessandri, allo scopo di premiare coloro che si sono spesi per gli altri. Un'occasione, anche, per fare il punto sulle carenze di personale. Il bilancio, come sempre, è in passivo. Le uscite superano le entrate, in quanto sono in drastico calo gli infermieri che arrivano al termine del corso di laurea. «La sesta festa del pensionato», commenta il direttore generale dell'Asl 6 di Vicenza, Antonio Alessandri, «è stata davvero straordinaria ed abbiamo salutato i dipendenti uscenti con una torta da 120 per 60 centimetri». Un dolce per festeggiare, ma con un retrogusto decisamente amaro, perché cominciano a scarseggiare gli infermieri, una delle figure professionali centrali nelle dinamiche organizzative e funzionali della sanità. E neppure la consueta invocazione della preghiera del malato, molto probabilmente, servirà a dare soluzione a questo complesso problema, riconosciuto dagli stessi sindacati infermieristici. «Cerchiamo disperatamente di garantire il turn-over del personale infermieristico e tecnico», prosegue il direttore generale Antonio Alessandri, «ma non sempre ciò è possibile, in particolare per gli infermieri. I nuovi laureati, infatti, sono anno dopo anno sempre meno, mentre le esigenze aumentano, per le più sofisticate tecniche di trattamento e per l'accresciuta qualità del servizio sanitario».
Quello dell'infermiere è un percorso di formazione duro, la scuola, a numero chiuso, esiste soltanto a Vicenza e non più anche in provincia e le gratificazioni economiche, come ripetutamente lamentato dai rappresentanti della categoria, sono decisamente modeste. Tutti elementi, quindi, che disincentivano i giovani ad intraprendere questa strada, che appare più sconveniente che appassionante, nonostante l'aspirazione di fondo di volersi mettere al servizio degli altri. «Ci dispiace constatare che i nuovi laureati», conclude il direttore generale Antonio Alessandri, «non sono neppure sufficienti a garantire il turn-over. Ogni anno gli iscritti sono circa 120, ma alla fine del percorso rimangono una settantina di infermieri. Un numero decisamente modesto ed insufficiente a colmare le esigenze dell'intera provincia di Vicenza. Per i tecnici di radiologia, la cui carenza era diventata sistemica, abbiamo risolto il problema introducendo la specialità a Vicenza. Ma alle difficoltà si aggiungono il numero chiuso ed il blocco delle assunzioni, dei veri e propri ostacoli alla possibilità di garantire la qualità dei servizi».
Matteo Crestani
Operata, ora è un vegetale Il pm: infermiere distratte
Il Giorno del 13/12/2008 , articolo di MARIO CONSANI ed. Milano p. 14
Non si sarebbero accorte di un ematoma
di MARIO CONSANI - MILANO - ERA ENTRATA all'ospedale San Giuseppe per un intervento alla tiroide. Ne uscì in stato vegetativo permanente. Per l'accusa, colpa della negligente sorveglianza post-operatoria garantita alla paziente. Sul banco degli imputati, a rispondere di lesioni colpose gravissime, ci sono due infermiere del reparto di otorinolaringoiatria, che non si sarebbero accorte di un ematoma sviluppatosi nella signora a livello del collo. Presto l'accumulo di sangue si estese con effetto compressivo, provocando un arresto cardiaco e uno stato di sofferenza a livello cerebrale dal quale la donna, oggi 63 anni, non si è più ripresa. SUCCESSE NEL settembre del 2005. E al processo, che è stato aggiornato alla prossima settimana, su richiesta dei legali Marisa Zariani e Guido Camera sono stati chiamati in causa come responsabili civili anche l'ospedale e le due società che in questi anni si sono succedute nel controllo della proprietà, la Confraternita "Fatebenefratelli" e la MilanoCuore spa. G.C. entrò in clinica per essere sottoposta ad un intervento di «tiroidectomia totale», l'asportazione della ghiandola. L'operazione riuscì, ma nell'immediata fase successiva sorse un problema. Le si formò un ematoma a livello del collo, un effetto collaterale che se affrontato tempestivamente sarebbe potuto essere controllato e risolto. Invece, stando alla ricostruzione del pubblico ministero Silvia Perrucci, che si è avvalsa della consulenza tecnica di un esperto medico-legale, le due infermiere avrebbero omesso di «controllare e sorvegliare con diligenza e prudenza il decorso post-operatorio a far tempo dalle ore 19 e fino alle 23 circa». QUANDO finalmente un altro infermiere si accorse di quanto stava accadendo alla poveretta, era ormai troppo tardi. La donna venne immediatamente soccorsa dai sanitari, che si prodigarono al massimo per riuscire a rianimarla dopo l'arresto cardiaco. E ci riuscirono. Ma quei lunghi secondi in cui la donna era rimasta senza ossigeno avevano ormai provocato conseguenze irreversibili a livello cererbrale. «Encefalopatia post-anossica con quadro di sofferenza cerebrale diffusa», recita il freddo bollettino medico. La realtà è impietosa e non lasca spazio a speranza. G. vive da allora in stato vegetativo permanente.
Guai sessuali? Ci sono gli infermieri
Il Tempo del 15/12/2008 ed. Nazionale
Confidenza La riluttanza dei maschi a svelare i propri problemi può essere superataGiancarlo Calzolari Aumenta a tutti i livelli la conoscenza della gravità delle difficoltà legate alla sfera sessuale, un tempo tenute gelosamente nascoste, nell'errata convinzione che fosse possibile risolverle solo nella sfera individuale. Dal 17 al 19 dicembre si svolgerà presso l'Ospedale Forlanini di Roma il Convegno di Medicina Sessuale ed Andrologia per Infermieri, presieduto dal dott. Giuseppe La Pera. Durante il convegno verrà presentato il decalogo della prevenzione per la Salute Sessuale: in sostanza, le dieci regole d'oro che ogni uomo dovrebbe conoscere per far durare più a lungo la propria attività sessuale, per migliorare in modo naturale le proprie prestazioni e per vivere più a lungo serenamente la sessualità. Questo tipo di corso è rivolto agli infermieri perché l'infermiere è una figura importantissima nell'ambito dell'assistenza sanitaria ed è la persona con la quale ci si confida più facilmente e con il quale è più facile rivelare le difficoltà della propria vita intima. Accade, infatti, molto spesso che un uomo impieghi circa tre anni prima di raccontare al proprio medico di soffrire di disturbi sessuali sia perché l'argomento è imbarazzante sia perché alle volte si può avere soggezione della figura del medico. La figura dell'infermiere potrebbe riuscire ad intercettare questo bisogno delle persone e indirizzare in modo corretto i pazienti per poter non solo migliorare la qualità della vita, ma anche per poter fare una prevenzione primaria di molte malattie. Non bisogna dimenticare che i disturbi sessuali colpiscono una grande percentuale della popolazione: circa il 40 per cento degli uomini sopra i 40 anni soffre di disfunzione erettile. Un dato importante: circa il 12% di tutta la popolazione maschile dai 18 ai 69 ne è colpito. Il 30% degli uomini, infine, soffre di eiaculazione precoce. Gli italiani in Europa, secondo alcune ricerche, sono quelli che lo fanno meno di tutti circa 6 volte al mese contro una media di 9: naturalmente si tratta di un dato poco attendibile perché non sono molti gli italiani che parlano volentieri dei loro problemi. Resta, tuttavia, l'evidenza di una questione che probabilmente non è stata ancora affrontata direttamente e quindi risolta proprio a causa della difficoltà degli italiani di far conoscere certe problematiche.
Finti infermieri, c'è un precedente romano
Gazzetta del Sud del 13/12/2008 , articolo di Domenico Marino ed. COSENZA p. 43
Ieri pomeriggio sono giunte le prime ammissioni durante gli interrogatori di garanzia di alcuni indagatiC'è un precedente romano dell'inchiesta "Gutenberg", il blitz con cui i carabinieri dei Nas e del Comando provinciale hanno sgominato un'organizzazione capace di sfornare decine e decine di finti infermieri, abilitandoli con diplomi fasulli. Il Tribunale della capitale s'è occupato d'un caso simile a metà degli anni Ottanta, quando sul tavolo dell'allora giudice istruttore Augusta Iannini finì un voluminoso fascicolo riguardante proprio alcuni finti infermieri. E tra di loro c'erano pure persone arrestate mercoledì. In quella occasione il giudice romano archiviò la posizione degli indagati, non ritenendo sussistenti elementi accusatori necessari per il processo. «Perché il fatto non sussiste», motivò il togato.
Ieri, intanto, nel Tribunale cittadino sono proseguiti gli interrogatori dei settanta falsi infermieri e presunti truffatori ai quali all'alba di mercoledì è stata notificata l'ordinanza di custodia cautelare in carcere (per due persone) e ai domiciliari (nei confronti degli altri sessantotto) vergata dal giudice delle indagini preliminari Loredana De Franco su richiesta del pm Francesco Minisci. A loro bisogna aggiungere altri due indagati per i quali il gip ha deciso solo l'obbligo di dimora. In mattinata è stata sentita Gemmina Montalto, una delle sessantotto finite ai domiciliari. La donna, difesa dall'avvocato Concetta Santo, s'è difesa chiarendo d'essere ben qualificata. L'infermiera ha sottolineato d'avere frequentato dei corsi di formazione, superato esami e in generale seguito più d'un canale formativo per specializzarsi e professionalizzarsi. Ieri pomeriggio, invece, sono stati interrogati altri infermieri i quali hanno fatto parziali ammissioni, rafforzando le tesi accusatorie. Nove, in particolare, avrebbero confessato indicando in Taraso l'uomo che gli aveva fornito i diplomi. Alcuni hanno raccontato d'avere pagato sino a quattordici mila euro per il finto titolo di studio. Incredibile la storia d'un infermiere in servizio nell'ospedale di San Marco Argentano, il quale ha candidamente ammesso di non avere fatto alcun stage. Ma gli è andata meglio nel pagamento: ha versato solo 9 mila euro.
Oggi toccherà a Damiano Taraso, il caposala difeso dall'avvocato Sergio Sangiovanni e considerato la mente del gruppo.
Ieri pomeriggio sono giunte le prime ammissioni durante gli interrogatori di garanzia di alcuni indagatiC'è un precedente romano dell'inchiesta "Gutenberg", il blitz con cui i carabinieri dei Nas e del Comando provinciale hanno sgominato un'organizzazione capace di sfornare decine e decine di finti infermieri, abilitandoli con diplomi fasulli. Il Tribunale della capitale s'è occupato d'un caso simile a metà degli anni Ottanta, quando sul tavolo dell'allora giudice istruttore Augusta Iannini finì un voluminoso fascicolo riguardante proprio alcuni finti infermieri. E tra di loro c'erano pure persone arrestate mercoledì. In quella occasione il giudice romano archiviò la posizione degli indagati, non ritenendo sussistenti elementi accusatori necessari per il processo. «Perché il fatto non sussiste», motivò il togato.
Ieri, intanto, nel Tribunale cittadino sono proseguiti gli interrogatori dei settanta falsi infermieri e presunti truffatori ai quali all'alba di mercoledì è stata notificata l'ordinanza di custodia cautelare in carcere (per due persone) e ai domiciliari (nei confronti degli altri sessantotto) vergata dal giudice delle indagini preliminari Loredana De Franco su richiesta del pm Francesco Minisci. A loro bisogna aggiungere altri due indagati per i quali il gip ha deciso solo l'obbligo di dimora. In mattinata è stata sentita Gemmina Montalto, una delle sessantotto finite ai domiciliari. La donna, difesa dall'avvocato Concetta Santo, s'è difesa chiarendo d'essere ben qualificata. L'infermiera ha sottolineato d'avere frequentato dei corsi di formazione, superato esami e in generale seguito più d'un canale formativo per specializzarsi e professionalizzarsi. Ieri pomeriggio, invece, sono stati interrogati altri infermieri i quali hanno fatto parziali ammissioni, rafforzando le tesi accusatorie. Nove, in particolare, avrebbero confessato indicando in Taraso l'uomo che gli aveva fornito i diplomi. Alcuni hanno raccontato d'avere pagato sino a quattordici mila euro per il finto titolo di studio. Incredibile la storia d'un infermiere in servizio nell'ospedale di San Marco Argentano, il quale ha candidamente ammesso di non avere fatto alcun stage. Ma gli è andata meglio nel pagamento: ha versato solo 9 mila euro.
Oggi toccherà a Damiano Taraso, il caposala difeso dall'avvocato Sergio Sangiovanni e considerato la mente del gruppo.
La Libertà del 14/12/2008 , articolo di Ilaria Molinari p. 18
Il vescovo al convegno sulla dignità dei sofferenti. Cavanna: «Malati al centro»«Sì alla tecnologia, ma ad una condizione: che al suo fianco ci sia sempre l'uomo». Ieri il vescovo Gianni Ambrosio è intervenuto nell'ambito di un convegno sull'umanizzazione degli ospedali organizzato nella Sala Colonne del nosocomio cittadino. «L'uomo non deve mai dimenticare di essere chiamato alla relazione, elemento da non trascurare proprio nei luoghi di cura, ambiente dove nascono tanti interrogativi sulla vita - ha detto Ambrosio ieri mattina -. Anche l'esperienza è fondamentale. Dobbiamo lasciarci istruire dalla malattia, parte della realtà umana, e come tale capace di arricchire. L'esperienza concreta ci influenza e ci rende migliori. Il mio invito è quello di aprirci all'esperienza che coinvolge la vita, a stare attenti alle domande inespresse e a farle emergere. Anche solo un accenno è importante per proseguire nel nostro percorso di uomini». Ieri il vescovo è intervenuto all'incontro che ha riunito medici, infermieri e psicologi a discutere sul tema "Tecnologia avanzata e dignità del malato - Sensibilità e cultura per l'umanizzazione dell'ospedale". I lavori della mattinata sono stati aperti da Luigi Cavanna, responsabile dell'Oncoematologia del Guglielmo da Saliceto. «Facciamo in modo che il malato si senta bene anche in corsia», ha detto prendendo spunto dalla frenesia che ha contagiato l'intera società moderna. Il tempo è poco, è stato ricordato, anche quello che i medici hanno da dedicare al dialogo con i malati. E allora, che i minuti di interazione siano di qualità, che i pazienti si sentano bene, a proprio agio, anche in ospedale. Perché il loro benessere psicologico vale tanto quanto una terapia. Cavanna ne è fortemente convinto. «Il compito di medici e infermieri è quello di risolvere i problemi - ha spiegato -. L'informazione deve sempre essere corretta, sincera, mai plateale per non aggiungere ulteriori problemi a quelli che il malato, nella sua condizione, deve affrontare». Più volte Cavanna ha insistito sulla questione del "disorientamento" del paziente. «È da evitare in ogni modo, il malato è il soggetto centrale dell'intera organizzazione ospedaliera. Tempi e spazi sono variabili proprio per favorire l'umanizzazione. Il tempo - ha spiegato Cavanna -, è l'elemento più importante. Chi cura non deve mai far sentire la sua corsa». Anche Maurizio Arvedi, responsabile del Pronto Soccorso ha parlato di una sorta di confusione a cui spesso i pazienti sono soggetti. «Oggi l'ospedale è un concentrato di tecnologia e sapere, ma questo significa anche saper essere chiari. Molti problemi - ha aggiunto -, nascono dal fatto che il paziente è confuso, non capisce e il linguaggio tecnico non aiuta. Nel reparto di urgenza ci troviamo spesso di fronte a disagi non descritti nei manuali ma ugualmente presenti nei pazienti che arrivano. In quel momento sono fondamentali la rassicurazione, la chiarezza e la sincerità». Il convegno di ieri è stato moderato da Fabio Fornari, responsabile della Gastroenterologia, ed è stato realizzato grazie alla collaborazione di Amop, l'associazione malato oncologico piacentino. Tra gli intervenuti anche Gabriele Cremona, infermiere coordinatore nel reparto di Oncologia. «Ogni giorno vediamo quanto è importante per i malati poter avere vicino i propri cari o, in mancanza di essi, i volontari - ha spiegato -. Non ci sono regole particolari per raggiungere l'obiettivo del benessere psicologico del paziente. A volte basta anche qualche piccolo accorgimento, un momento di incontro particolare, una saletta in cui fermarsi a chiacchierare o a guardare insieme la televisione. Sono piccole cose che fanno una grande differenza nei degenti». 14/12/2008
Il vescovo al convegno sulla dignità dei sofferenti. Cavanna: «Malati al centro»«Sì alla tecnologia, ma ad una condizione: che al suo fianco ci sia sempre l'uomo». Ieri il vescovo Gianni Ambrosio è intervenuto nell'ambito di un convegno sull'umanizzazione degli ospedali organizzato nella Sala Colonne del nosocomio cittadino. «L'uomo non deve mai dimenticare di essere chiamato alla relazione, elemento da non trascurare proprio nei luoghi di cura, ambiente dove nascono tanti interrogativi sulla vita - ha detto Ambrosio ieri mattina -. Anche l'esperienza è fondamentale. Dobbiamo lasciarci istruire dalla malattia, parte della realtà umana, e come tale capace di arricchire. L'esperienza concreta ci influenza e ci rende migliori. Il mio invito è quello di aprirci all'esperienza che coinvolge la vita, a stare attenti alle domande inespresse e a farle emergere. Anche solo un accenno è importante per proseguire nel nostro percorso di uomini». Ieri il vescovo è intervenuto all'incontro che ha riunito medici, infermieri e psicologi a discutere sul tema "Tecnologia avanzata e dignità del malato - Sensibilità e cultura per l'umanizzazione dell'ospedale". I lavori della mattinata sono stati aperti da Luigi Cavanna, responsabile dell'Oncoematologia del Guglielmo da Saliceto. «Facciamo in modo che il malato si senta bene anche in corsia», ha detto prendendo spunto dalla frenesia che ha contagiato l'intera società moderna. Il tempo è poco, è stato ricordato, anche quello che i medici hanno da dedicare al dialogo con i malati. E allora, che i minuti di interazione siano di qualità, che i pazienti si sentano bene, a proprio agio, anche in ospedale. Perché il loro benessere psicologico vale tanto quanto una terapia. Cavanna ne è fortemente convinto. «Il compito di medici e infermieri è quello di risolvere i problemi - ha spiegato -. L'informazione deve sempre essere corretta, sincera, mai plateale per non aggiungere ulteriori problemi a quelli che il malato, nella sua condizione, deve affrontare». Più volte Cavanna ha insistito sulla questione del "disorientamento" del paziente. «È da evitare in ogni modo, il malato è il soggetto centrale dell'intera organizzazione ospedaliera. Tempi e spazi sono variabili proprio per favorire l'umanizzazione. Il tempo - ha spiegato Cavanna -, è l'elemento più importante. Chi cura non deve mai far sentire la sua corsa». Anche Maurizio Arvedi, responsabile del Pronto Soccorso ha parlato di una sorta di confusione a cui spesso i pazienti sono soggetti. «Oggi l'ospedale è un concentrato di tecnologia e sapere, ma questo significa anche saper essere chiari. Molti problemi - ha aggiunto -, nascono dal fatto che il paziente è confuso, non capisce e il linguaggio tecnico non aiuta. Nel reparto di urgenza ci troviamo spesso di fronte a disagi non descritti nei manuali ma ugualmente presenti nei pazienti che arrivano. In quel momento sono fondamentali la rassicurazione, la chiarezza e la sincerità». Il convegno di ieri è stato moderato da Fabio Fornari, responsabile della Gastroenterologia, ed è stato realizzato grazie alla collaborazione di Amop, l'associazione malato oncologico piacentino. Tra gli intervenuti anche Gabriele Cremona, infermiere coordinatore nel reparto di Oncologia. «Ogni giorno vediamo quanto è importante per i malati poter avere vicino i propri cari o, in mancanza di essi, i volontari - ha spiegato -. Non ci sono regole particolari per raggiungere l'obiettivo del benessere psicologico del paziente. A volte basta anche qualche piccolo accorgimento, un momento di incontro particolare, una saletta in cui fermarsi a chiacchierare o a guardare insieme la televisione. Sono piccole cose che fanno una grande differenza nei degenti». 14/12/2008
Infermieri, a Trieste il soggiorno è a scadenza
Metropoli del 14/12/2008 N. 41 p. 19
ELISA COZZARINI A TRIESTE le norme sul trattamento giuridico degli infermieri extracomunitari sono interpretate in modo restrittivo e scorretto, secondo l'Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione), Uil e Cgil. In pratica, a differenza che in quasi tutta Italia, è consentito un solo rinnovo del permesso di soggiorno, al massimo per due anni: così gli infermieri, dopo quattro anni di lavoro, sono costretti a tornare al proprio Paese per rifare il visto. Anche se il datore di lavoro è disposto a stipulare con loro un contratto a tempo indeterminato. Nel 2002, data la carenza di infermieri in Italia, la legge BossiFini ha aggiunto questa categoria a quelle dei lavoratori che, secondo l'articolo 27 del Testo unico suU'immigrazione,sono fuori dal sistema delle quote. Amanda Alvarado, peruviana, è arrivata a Trieste proprio quell'anno, assieme a dieci connazionali. «Da allora - racconta - sono dovuta tornare in Perù già due volte, mentre conosco colleghi che lavorano a Firenze, Milano, Trento, e non hanno più questo problema». In effetti, all'inizio l'autorizzazione al Molti per evitare le lungaggini burocratiche preferiscono trasferirsi in altre regioni soggiorno non poteva avere validità superiore ai due anni, e, alla scadenza del permesso c'era l'obbligo del rientro temporaneo in patria per ottenere un nuovo visto d'ingresso. Nel 2004, però, il regolamento attuativo del Testo unico ha stabiLa restrizione si applica anche se l'azienda è disposta ad assumere a tempo indeterminato lito che un infermiere deve avere lo stesso trattamento giuridico degli altrilavoratori extracomunitari, purché non cambi tipo di attività. Per il rinnovo del permesso, quindi, non serve una nuova autorizzazione al soggiorno e dunque non bisogna tornare a casa. «Ma a Trieste non funziona così- prosegue Alvarado -. L'ultima volta sono stata in Perù a marzo, per rifare tutti i documenti. Ho perso ben tre mesi per questioni burocratiche. Così perdo anche i requisiti di continuità di soggiorno necessari per prendere la cittadinanza». Un infermiere professionale immigrato in Italia deve farsi riconoscere il titolo dal ministero della Salute e chiedere l'iscrizione al Collegio provinciale. A Trieste, su 203 stranieri, 78 sono comunitari. Fra gli extracomunitari, i più numerosi sono croati e serbi; 13 sono sudamericani, di cui dieci peruviani. Un ulteriore ostacolo per chi opera nel capoluogo friulano è che l'Ufficio provinciale del Lavoro non rilascia autorizzazio ni al lavoro a tempo indeterminato, rendendo così impossibile, per i privati che gestiscono strutture come le case di riposo, assumere extracomunitari a tempo ind e t e r m i n a t o . «Non sorprende - sottolineano l'Asgi e i sindacati - che molti, invece di ritornarenelPaesed'origineperunanuova procedura d'impiego, si trasferiscano in altre regioni». All'Azienda ospedaliera di Trieste, dal 2002, sono stati assunti 120 infermieri extracomunitari. Di questi, 35, allo scadere dell'incarico, dovendo rientrare inpatria, non sono più tornati, anche se in linea di massima Ù datore di lavoro avrebbe rinnovato il loro contratto.
ELISA COZZARINI A TRIESTE le norme sul trattamento giuridico degli infermieri extracomunitari sono interpretate in modo restrittivo e scorretto, secondo l'Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione), Uil e Cgil. In pratica, a differenza che in quasi tutta Italia, è consentito un solo rinnovo del permesso di soggiorno, al massimo per due anni: così gli infermieri, dopo quattro anni di lavoro, sono costretti a tornare al proprio Paese per rifare il visto. Anche se il datore di lavoro è disposto a stipulare con loro un contratto a tempo indeterminato. Nel 2002, data la carenza di infermieri in Italia, la legge BossiFini ha aggiunto questa categoria a quelle dei lavoratori che, secondo l'articolo 27 del Testo unico suU'immigrazione,sono fuori dal sistema delle quote. Amanda Alvarado, peruviana, è arrivata a Trieste proprio quell'anno, assieme a dieci connazionali. «Da allora - racconta - sono dovuta tornare in Perù già due volte, mentre conosco colleghi che lavorano a Firenze, Milano, Trento, e non hanno più questo problema». In effetti, all'inizio l'autorizzazione al Molti per evitare le lungaggini burocratiche preferiscono trasferirsi in altre regioni soggiorno non poteva avere validità superiore ai due anni, e, alla scadenza del permesso c'era l'obbligo del rientro temporaneo in patria per ottenere un nuovo visto d'ingresso. Nel 2004, però, il regolamento attuativo del Testo unico ha stabiLa restrizione si applica anche se l'azienda è disposta ad assumere a tempo indeterminato lito che un infermiere deve avere lo stesso trattamento giuridico degli altrilavoratori extracomunitari, purché non cambi tipo di attività. Per il rinnovo del permesso, quindi, non serve una nuova autorizzazione al soggiorno e dunque non bisogna tornare a casa. «Ma a Trieste non funziona così- prosegue Alvarado -. L'ultima volta sono stata in Perù a marzo, per rifare tutti i documenti. Ho perso ben tre mesi per questioni burocratiche. Così perdo anche i requisiti di continuità di soggiorno necessari per prendere la cittadinanza». Un infermiere professionale immigrato in Italia deve farsi riconoscere il titolo dal ministero della Salute e chiedere l'iscrizione al Collegio provinciale. A Trieste, su 203 stranieri, 78 sono comunitari. Fra gli extracomunitari, i più numerosi sono croati e serbi; 13 sono sudamericani, di cui dieci peruviani. Un ulteriore ostacolo per chi opera nel capoluogo friulano è che l'Ufficio provinciale del Lavoro non rilascia autorizzazio ni al lavoro a tempo indeterminato, rendendo così impossibile, per i privati che gestiscono strutture come le case di riposo, assumere extracomunitari a tempo ind e t e r m i n a t o . «Non sorprende - sottolineano l'Asgi e i sindacati - che molti, invece di ritornarenelPaesed'origineperunanuova procedura d'impiego, si trasferiscano in altre regioni». All'Azienda ospedaliera di Trieste, dal 2002, sono stati assunti 120 infermieri extracomunitari. Di questi, 35, allo scadere dell'incarico, dovendo rientrare inpatria, non sono più tornati, anche se in linea di massima Ù datore di lavoro avrebbe rinnovato il loro contratto.
Oltre 300 persone celebrano i 100 anni del Corpo Infermiere
Giornale di Sondrio - Centro Valle del 13/12/2008 p. 43
VILLA DI TIRANO (gms) Oltre 300 persone, tra volontari e simpatizzanti della Croce rossa, hanno partecipato alla cerimonia in ricordo di tutte le crocerossine valtellinesi, nella ricorrenza dei 100 anni d'istituzione del Corpo Infermiere volontarie. La manifestazione si è svolta domenica scorsa a Villa di Tirano alla presenza delle autorità civili e militari, dei rappresentanti delle forze dell'ordine oltre agli alpini del gruppo locale. «La giornata è stata un successo - racconta l'ispettrice delle infermiere volontarie valtellinesi, Maria Grazia Pereda - ci siamo ritrovati nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo, dove don Remiglio Gusmeroli ha ricordato il sacrificio e la preziosa opera di volontariato che le infermiere offrono ogni giorno alle persone bisognose. Il parroco ha anche intonato l'inno del nostro Corpo nazionale e l'ha commentato». La funzione è stata allietata dalle voci del coro dei bambini di Villa. Dopo la messa sono state deposte due corone di fiori nel cimitero comunale in onore di Maria Bonisolo Fattori e Adele Bonisolo Carignato, entrambe infermiere Cri scomparse nel dopoguerra. Al termine della cerimonia è stato organizzato il pranzo benefico presso il ristornate Hostaria Tona, sempre a Villa di Tirano. Toccanti i discorsi di presentazione letti da Gianluigi e Mariangela Bonisolo, che hanno voluto questa iniziativa, oltre a Carlo Milvo, presidente dell'Unitre Tirano, Giovanni Fustella, presidente della Cri provinciale e del capitano Claudio Gala che ha consegnato la medaglia Unuci alle infermiere presenti. All'importante manifestazione hanno partecipato anche i rappresentanti delle componenti provinciali di Croce rossa. Nell'occasione sono stati ringraziati gli alpini che, coordinati dal capogruppo Luciano Gotti, hanno curato tutta l'organizzazione della bella manifestazione.
VILLA DI TIRANO (gms) Oltre 300 persone, tra volontari e simpatizzanti della Croce rossa, hanno partecipato alla cerimonia in ricordo di tutte le crocerossine valtellinesi, nella ricorrenza dei 100 anni d'istituzione del Corpo Infermiere volontarie. La manifestazione si è svolta domenica scorsa a Villa di Tirano alla presenza delle autorità civili e militari, dei rappresentanti delle forze dell'ordine oltre agli alpini del gruppo locale. «La giornata è stata un successo - racconta l'ispettrice delle infermiere volontarie valtellinesi, Maria Grazia Pereda - ci siamo ritrovati nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo, dove don Remiglio Gusmeroli ha ricordato il sacrificio e la preziosa opera di volontariato che le infermiere offrono ogni giorno alle persone bisognose. Il parroco ha anche intonato l'inno del nostro Corpo nazionale e l'ha commentato». La funzione è stata allietata dalle voci del coro dei bambini di Villa. Dopo la messa sono state deposte due corone di fiori nel cimitero comunale in onore di Maria Bonisolo Fattori e Adele Bonisolo Carignato, entrambe infermiere Cri scomparse nel dopoguerra. Al termine della cerimonia è stato organizzato il pranzo benefico presso il ristornate Hostaria Tona, sempre a Villa di Tirano. Toccanti i discorsi di presentazione letti da Gianluigi e Mariangela Bonisolo, che hanno voluto questa iniziativa, oltre a Carlo Milvo, presidente dell'Unitre Tirano, Giovanni Fustella, presidente della Cri provinciale e del capitano Claudio Gala che ha consegnato la medaglia Unuci alle infermiere presenti. All'importante manifestazione hanno partecipato anche i rappresentanti delle componenti provinciali di Croce rossa. Nell'occasione sono stati ringraziati gli alpini che, coordinati dal capogruppo Luciano Gotti, hanno curato tutta l'organizzazione della bella manifestazione.
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