Il Sole 24 Ore del 10/12/2008 p. 37
MAGISTRATURA
Legali fuori Albo, rinvio alla Consulta Sarà la Corte costituzionale a verificare la legittimità della legge che richiede, per l'ammissione al concorso per magistrato ordinario, che «gli abilitati all'esercizio della professione di avvocato siano anche iscritti al relativo Albo professionale». Lo ha deciso la I sezione del Tar del Lazio, giudicando su un ricorso proposto da cinque avvocati, non iscritti all'Albo perchè dipendenti pubblici o dipendenti di banca, che ritenevano di aver subito un'ingiusta discriminazione dal bando di accesso al concorso per esami a 500 posti di magistrato ordinario.
ENPAPI
Gestione separata, nessun rimborso Se il soggetto, per il quale viene richiesto il rimborso dei contributi dalla gestione separata all'Enpapi ha un trattamento pensionistico nella gestione separata, il rimborso non va effettuato. Lo precisa l'Inps con messaggio 27364 del 9 dicembre. Poiché il trasferimento delle somme equivale a una domanda di rimborso, spiega l'Inps, serve un'istruttoria adeguata, con cui evitare il trasferimento di contributi che in realtà sono di pertinenza della gestione separata. Si tratta di verificare che i contributi presenti nella posizione siano effettivamente versati per attività svolta in forma libero professionale, in qualità di infermiere professionale, assistente sanitario, vigilatrice d'infanzia, amministratore o componente di commissione o collegio dell'Ipasvi (Federazione dei collegi degli infermieri). (Ar.Ro.)
ASSICURAZIONI
Responsabilità civile,decreto in Gazzetta È stato pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 287 del 9 dicembre il decreto 191/2008 dello Sviluppo economico che disciplina il «diritto di accesso dei contraenti e dei danneggiati agli atti delle imprese di assicurazione esercenti l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile». Il riferimento è all'articolo 146 del decreto legislativo 209/2005 (Codice delle assicurazioni).
CONTABILITÀ
Convegno Ias di Assoholding Si terrà oggi, alle 15,15, nella sede di Confindustria, a Roma (Sala Pininfarina, viale dell'Astronomia, 30 ) il convegno di Assoholding su «Ias - dalla neutralità fiscale al principio di derivazione - effetti delle misure di contrasto alla crisi».
Allarme depressione «Under 18» a rischio
Avvenire del 10/12/2008 p. 13
Una ricerca San Raffaele Nostra Famiglia: disagi sociali e familiari possono mandare in tilt il sistema neuronaie di bambini e adolescenti .... Difficoltà psichiche per 111 per cento dei minoriA BOSISIO P A R I N I (LECCO) LUCIANO MOIA epressione. Una parola che fa sempre paura. Ma che si carica di interrogativi ancora più allarmanti se riferita a ragazzi e adolescenti. Purtroppo le statistiche non lasciano spazio ai dubbi. La depressione, veleno strisciante della nostra epoca, accompagna sempre più spesso anche le giornate dei minorenni. Secondo i dati diffusi in occasione della "Giornata mondiale della salute mentale" il 3 per cento dei bambini e l'8 per cento degli adolescenti soffre di questo disturbo. Già al di sotto dei 18 anni insomma più di un ragazzo su cento (l'il %) deve fare i conti con questo male impalpabile che, non sapendo definire in modo più preciso, chiamiamo depressione. Situazione tanto più inquietante perché, soprattutto nei giovanissimi, difficilmente diagnosticabile e spesso sqttostimata. Invece, in particolari situazioni, il disagio psichico di ragazzi e adolescenti andrebbe valutato seriamente con l'aiuto di uno specialista. Una ricerca realizzata recentemente dall'Istituto scientifico "E. Medea" - La Nostra Famiglia e dall'Università "Vita Salute" dell'ospedale San Raffaele ha messo a fuoco per la prima volta l'azione congiunta di fattori genetici e psicosociali. La ricerca, pubblicata su una delle più autorevoli riviste internazionali del settore, Thejournal ofChild Psichology and Psychiatry - e non ancora tradotta in Italia spiega in sostanza che, accanto a influenze fenetiche da tempo note, fattori ambientae socio-familiari possono risultare determinanti per l'insorgere di episodi di depressione giovanile. «Se è vero che questo problema in età evolutiva è legato ad alcuni dimensioni biologiche - spiega Massimo Molteni, neuropsichiatra infantile e responsabile della ricerca in psicopatologia dell'Istituto "Medea" - è altrettanto vero che la presenza di fattori ambientali, sommandosi al dato genetico, può essere all'origine del fenomeno depressivo». Ipotesi che apre la strada, sul piano sociale, a pesanti interrogativi. Infatti, viste le condizioni familiari e ambientali sempre più critiche in cui vivono troppi ragazzi, sarebbe facile pensare che i casi di depressione giovanile siano destinati ad aumentare. E che, inoltre, molte di queste situazioni, possano rischiare di rimanere a lungo sottotraccia, per esplodere poi con contorni ancora più preoccupanti. «Quando parliamo di condizioni socio-familiari - prosegue Molteni - ci riferiamo evidentemente al sensibile aumento delle disgregazioni familiari, alle separazioni e ai divorzi. Situazioni che, come attestano tante analisi italiane e straniere, si ripercuotono con effetti negativi sull'equilibrio dei figli. Una relazione familiare conflittuale che tende a mettere davanti le ragioni dell'individuo e non quelle della coppia - spiega il neuropsichiatra - finisce per risultare devastante sull'equilibrio psicologico dei bambini». Ma anche quando la famiglia regge, ci sono contesti sociali, ambientali, economici e culturali, di grande precarietà, che possono risultare al alto rischio. «Il bambino - riprende Molteni - è una persona in stato evolutivo e subisce molti stimoli dall'esterno, positivi e negativi. Deve quindi trovare nel suo ambiente familiare un primo schermo capace di filtrare i messaggi che arrivano dall'esterno e di renderli comprensibili. Se questo filtro salta, il bambino rimane indifeso». E qui scatta il rischio depressione. Se il bambino o l'adolescente hanno già una predisposizione genetica, l'insorgere di questo disturbo diventa purtroppo possibile. Distruttivi possono diventare anche gli stimoli che arrivano dai media e che vanno a sollecitare apparati emozionali fragili come quelli di un bambino. «Trasmissioni che parlano di omicidi, delitti, sesso banalizzato e altri argomenti a rischio - argomenta ancora l'esperto - sono purtroppo frequentissime. Se non c'è la possibilità da parte della famiglia di fare schermo e di decifrare questi messaggi, siamo davvero di fronte ad un rischio elevato. Soprattutto se venisse confermato che davanti alla tv, in presenza di un sistema neuro-biologico già fragile, gli stimoli negativi possono anche modificare i nostri circuiti neuronali. È sempre una questione di probabilità, ma il rischio di patologie in questo modo aumenterebbe in modo spaventoso». Il quadro potrebbe apparire desolante. Abbiamo costruito una società che ci consegnerà un numero potenzialmente crescente di ragazzini depressi, irritabili, sfiduciati, che hanno dentro di sé molti sensi di colpa e che finiscono per essere emarginati dai processi di apprendimento. «Purtroppo non e un rischio marginale. L'adulto - riprende Molteni - quando avverte dentro di sé una situazione di disagio, bene o male se ne accorge e va dal medico. Il ragazzino ha meno capacità di comprendere quello che gli sta succedendo, quindi si colpevolizza e tace anche con i genitori. Un ragazzino demoralizzato, triste, deconcentrato non si nota. L'episodio depressivo giovanile solitamente è a termine ma le esperienze negative (amicizia, bocciature, fallimenti) rimangono e diventano ferite non rimarginate». Ci sono anche esiti tragici in queste situazioni? «Nei casi peggiori la tendenza al suicidio esiste, ma per fortuna non è lo sbocco più immediato. La situazione più frequente è quella dei ragazzini che dicono "non valgo più niente" e che quindi rischiano di diventare giovani demotivati e senza mordente». Anche in questi casi l'arma vincente si chiama prevenzione. Che, tradotta in termini educativi, significa attenzione, rispetto, vigilanza, cura, prudenza, misura, tempestività, capacità di dosare i sì e i no.
Gli infermieri eleggeranno il loro direttivo
La Provincia Pavese del 10/12/2008 ed. Nazionale p. 13
PAVIA. Da venerdì a domenica gli infermieri pavesi vanno alle urne per eleggere il nuovo consiglio direttivo dell'Ipasvi, il collegio provinciale infermieri (11 consiglieri, presidente, vice, tesoriere e segretario). Ecco i candidati: Elena Baglioni, Anna Maria Bergonzi, Daniela Bongiorno, Maria Luigia Botticini, Giuseppe Braga, Gabriele Ciancio, Raffaella Di Martino, Enrico Frisone, Jeannette Gerletti, Nunzio Giuseppe Greco, Giuseppe Duilio Loi, Enrica Maiocchi, Marco Marcomini, Barbara Miclini, Carmela Pagano, Attilio Quaini, Salvatore Quattrocchi, Annamaria Rampi, Ruggero Rizzini, Annamaria Tanzi. Revisori: Claudia Maria Cavallaro, Gabriele Ciancio, Raffaella Di Martino, Carmela Pagano.
Rizzato:
«La Regione taglia i fondi alle coop che si occupano di disabili»
Il Gazzettino del 09/12/2008 ed. VICENZA p. III
Il consigliere regionale del Pd critica i criteri introdotti per far quadrare il bilancio del Veneto(m.c.) La Regione riconosce 20milioni di euro alla caccia e taglia del tutto i fondi per le cooperative sociali che si occupano dell'inserimento dei disabili. «Il sociale rischia di collassare se la Regione Veneto non dispone finanziamenti a favore di questo settore fondamentale. Ed i maggiori rischi sono a carico delle cooperative sociali che si occupano del collocamento dei disabili: nel bilancio di previsione a loro favore non è stata riconosciuta alcuna risorsa, contro i 700mila euro riconosciuti quest'anno». Con queste parole il consigliere regionale Claudio Rizzato ha espresso delle osservazioni dopo l'incontro al San Bortolo con l'assessore regionale alla sanità, Sandro Sandri. «Il bilancio regionale, in discussione in questi giorni», spiega Claudio Rizzato, «taglia pesantemente le risorse per la sanità, al punto da rendere difficile il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza. Ma ad avere la peggio saranno le cooperative sociali, che per il 2009 non beneficeranno di alcun contributo. Aumenteranno, quindi, i giovani disabili inoccupati e, di conseguenza, il costo sociale a carico delle famiglie e della società. A questo, infine, si somma il fatto che la Regione non ha previsto finanziamenti alle Ulss per il sociale, con l'ipotesi di un taglio radicale dei servizi attualmente erogati nel territorio». Una situazione davvero grave, cui si aggiungono i problemi evidenziati dal segretario vicentino dell'Rdb-Cub, Germano Raniero, a colloquio ieri mattina con l'assessore Sandro Sandri. «La carenza di personale che vivono le Ulss vicentine», spiega Germano Raniero, «è al limite dell'interruzione di pubblico servizio. L'assessore regionale deve fare qualcosa, non semplicemente dimostrare la propria sensibilità». Tra gli altri argomenti in ballo: la privatizzazione del servizio di sterilizzazione, l'inquadramento degli oss specializzati e la carenza di infermieri. «Quanto alla sterilizzazione», prosegue Germano Raniero, «il servizio poteva restare al suo posto, in quanto era appena avvenuto il restauro dei locali. Gli oss, poi, attendono dal 2000, data in cui è stata emanata una legge che riconosce la figura professionale, l'inquadramento contrattuale. Infine, è il turno degli infermieri: occorre rivedere la strutturazione delle scuole, abolendo il numero chiuso e rendendole capillari nel territorio. Oggi, infatti, possiamo contare su un migliaio di infermieri sfornati dalle scuole, contro una richiesta di 1900 in tutta la regione». Il prossimo tre dicembre l'Rdb-Cub incontrerà il sottosegretario al ministero della sanità, Francesca Martini, cui riferirà tutte queste istanze, auspicando che, di concerto con l'assessore Sandro Sandri, non tardino ad arrivare valide risposte.
Sos del personale maper i vertici Asl «nessun pericolo»
La Nazione del 10/12/2008 ed. La Spezia p. 12
IL GRIDO di allarme, e non certo il primo, sulla carenza di personale nel Blocco Operatorio del «San Bartolomeo» era arrivato dagli stessi infermieri, messi con le spalle al muro dal trasferimento di urologia dal Felettino a Sarzana senza, dicevano, una organizzazione adeguata sia nei tempi che nei numeri. Una denuncia ripresa da sindacati, Comitato Sanità e Tribunale del Malato. Ma per la direttrice sanitaria dell'Asl 5 Decia Carlucci «quanto riferito dagli interlocutori non corrisponde allo stato di fatto». La riorganizzazione degli ospedali spezzini, avviata con il trasferimento di Urologia, per la dirigente «è infatti finalizzata ad un miglioramento funzionale con ottimizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strutturali». E precisa che «è peraltro assolutamente improprio citare in termini negativi la riduzione di posti letto della Chirurgia, considerato che la definizione di una area funzionale chirurgica (chirurgia generale e urologia) con un numero di posti letto rapportati ad un ottimale indice di occupazione delle due specialità rappresenta invece una positiva innovazione che garantisce anche una utile flessibilità dei posti letto complessivi». In pratica i quindici posti persi tra chirurgia e ortopedia del San Bartolomeo, che corrispondono ai 14 di urologia arrivati dal Felettino, per la direzione Asl sono solo un'ottimizzazione dell'attività ospedaliera. E per la direttrice medica è «improprio» anche «il riferimento alla inadeguatezza dell'organico del personale infermieristico considerato che la dotazione attuale è perfettamente congruente con i modelli gestionali che caratterizzano i blocchi operatori». E «il carico medio di lavoro (4/5 interventi al giorno per sala) non è assolutamente eccedente lo standard compatibile con l'organico assegnato». Tradotto: di cosa si lamentano gli infermieri che sono nel numero previsto dai parametri e non fanno più lavoro di quanto devono? A regola d'arte, secondo Decia Carlucci, anche la formazione degli infermieri di Sarzana per l'attività urologica: l'Asl ha preferito «attuarla, nella fase di avvio, con affiancamento da parte del personale che operava al Felettino»: «meno dispersiva e più efficace». Insomma la direzione aziendale esclude «ogni e qualsiasi situazione di rischio impropriamente rappresentato». Intanto il trasferimento ha ridotto le sedute di urologia da 5 a 4: sono calate le richieste o si allungheranno i tempi d'attesa? E l'affiancamento sembra sia possibile solo in rari casi: quasi sempre sarzanesi e spezzini lavorano in contemporanea ma in sale operatorie diverse.
In corsia si ammalano gli infermieri
Corriere del Mezzogiorno del 10/12/2008 ed. LECCE p. 8
Uno su due ha il mal di schiena, i letti non hanno rotelle
OSTUNI - Un reparto ospedaliero in cui si dovrebbero curare i pazienti e invece si ammalano gli infermieri. E' la realtà certamente singolare dell'unità di ortopedia dell'ospedale di Ostuni. La struttura, frequentata in gran parte da degenti non autosufficienti, non dispone di letti con rotelle e sono i quattordici infermieri del reparto a dover provvedere a qualsiasi tipo di spostamento. Così, dopo mesi di sollevamenti per i trasferimenti in radiologia o in sala operatoria, il risultato è di sette infermieri con patologie, anche gravi, alla schiena e alla colonna vertebrale, probabilmente riconducibili agli eccessi di carico a cui si sono sottoposti. «E' davvero incredibile - sottolinea Arcangelo Sardiello, coordinatore Cgil, che tutela gli interessi degli infermieri di Ostuni che un ospedale, in particolare un reparto di ortopedia, non abbia letti adeguati a pazienti anziani o vittime di fratture e problemi vertebrali. Per raggiungere le stanze dove si effettuano i controlli clinici, i malati devono essere sollevati e spostati dal letto alla barella di altezza diversa: queste operazioni sono pericolose per gli stessi pazienti, perchè ne potrebbero aggravare le lesioni ossee, ma anche per gli infermieri, costretti a questi continui sollevamenti, anche quattro volte al giorno per ogni paziente». Dei quattordici dipendenti, più quattro ausiliari che prestano servizio nel reparto, in cinque hanno già manifestato gravi patologie dorso-lombari, tanto da ottenere una prescrizione e l'esonero da ulteriori sollevamenti, mentre per altri due si sono resi necessari esami specifici. Quasi il 50% degli infermieri di ortopedia hanno subito danni fisici; gli altri, che adesso devono accollarsi tutti i sollevamenti, temono la stessa sorte se si continuerà a non rispettare i limiti massimi di carico: 25 chili per gli uomini e 15 per le donne. Si è già mobilitato anche il direttore dell'unità operativa di ortopedia chiedendo, a più riprese, un intervento al direttore del-l'Asl di Brindisi, Rodolfo Rollo, senza ricevere però alcun risposta. «Non bisogna sottovalutare - ribadisce Sardiello - che questa inadempienza sta provocando danni agli infermieri ma può anche rappresentare un pericolo per i pazienti: in caso di caduta o di spostamento brusco, ci sarebbe anche la possibilità di aggravare il loro quadro clinico. Il direttore Rollo deve intervenire al più presto per risolvere questa gravissima situazione di rischio quotidiano per gli infermieri e per i malati. In caso contrario il sindacato si mobiliterà per salvaguardare la salute di questi lavoratori ». Agli infermieri non resta che sollevare, ancora una volta, la questione sperando in una risposta da parte dell'Asl.Francesca Cuomo Spostamenti Per eseguire i controlli clinici i malati devono essere sollevati e spostati dal letto alla barella L'ingresso dell'ospedale di Ostuni
L'Utap con Country hospital che piace tanto alla Martini
Il Giornale del Medico del 09/12/2008 , articolo di Francesca Giani N. 23 17 NOVEMBRE 2008 p. 2
Sta già lavorando l'Utap in provincia di Verona che ha ricevuto il plauso del sottosegretario alla Salute, Francesca Martini, ex assessore alla Sanità del Veneto. Istituita in un exospedale dismesso di Valeggio sul Mincio, la struttura è stata additata dalla Martini - in un comunicato all'indomani dell'inaugurazione di inizio novembre - come un modello da seguire. Andiamo a vedere come è organizzata. «L'Utap ha un bacino d'utenza di limila persone» spiega Maria Chiara Cressoni, referente della struttura, «e coinvolge tutti i nove medici di Mg di Valeggio, legati da un rapporto di esclusività. Scelta che, devo dire, non costituisce assolutamente un limite per l'utenza. Il nostro paese si trova in una zona pianeggiante e non è particolarmente disperso: solo il 10% della popolazione infatti risiede nelle frazioni che comunque sono molto vicine e ben collegate con i mezzi». L'assistenza viene garantita dalle 8 alle 20 nei giorni lavorativi e dalle 8 alle 10 il sabato e nei prefestivi, con la presenza di almeno due Mmg nelle 12 ore. La struttura è anche sede di un punto di Ca e conta la presenza di personale infermieristico e di studio. «Il modello di riferimento» continua la Cressoni «è quello dell'Utap integrata, in cui è la Asl a mettere a disposizione sede e personale. Per la sua gestione l'accordo ha previsto la costituzione di una associazione giuridicamente riconosciuta tra i Mmg coinvolti». Ogni medico dispone di uno studio e un ambulatorio, ma nella sede ci sono anche due ambulatori infermieristici, uno sportello di segreteria, sale d'attesa e uno spazio dedicato ai tirocinanti della scuola di formazione in Mg. Un aspetto fondamentale la condivisione di linee guida e procedure uniche di gestione della struttura e del paziente. «Tra i punti che abbiamo voluto uniformare anche la gestione del paziente in carico a un altro Mmg. La nostra filosofia la prevede solo in caso di bisogno non differibile. Questo per preservare il rapporto fiduciario con il proprio Mmg». Altro elemento, la condivisione della cartella clinica. «Abbiamo anche un'agenda informatizzata in cui i Mmg e il personale infermieristico e di studio tengono traccia di contatti, esigenze, triage di ogni paziente». Nonostante l'Utap abbia mosso da poco i suoi primi passi, sono già molti i progetti in cantiere. «Innanzitutto un Ospedale di comunità, con dieci posti letto. Il progetto è già stato deliberato dalla Regione. Poi l'integrazione in rete con la Asl per la visualizzazione di dati e referti di esami. In prospettiva la gestione di alcune patologie». Soddisfatta Fimmg Verona. «Abbiamo lavorato molto per sostenere l'Utap» commenta Lorenzo Adami, segretario Fimmg provinciale, «fondamentale per riorganizzare le cure primarie».
Infermieri con diploma fasullo, 72 arresti
Sgominato in Calabria un traffico di lauree «a pagamento»: costavano tra gli 8 e i 10 mila euro
COSENZA - Settantadue persone sono state arrestate dai carabinieri perché accusate di truffa in quanto avrebbero acquistato il titolo di studio di infermiere. I provvedimenti restrittivi, di cui 70 ai domiciliari e due in carcere, sono stati emessi dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cosenza, Loredana De Franco, che ha accolto la richiesta del sostituto procuratore Francesco Minisci.
LE INDAGINI - Dalle indagini è emerso che le persone coinvolte nell'inchiesta avrebbero acquistato il diploma di laurea da infermiere pagandolo somme tra gli 8 e i 10 mila euro. Tra gli arrestati, secondo quanto si è appreso, c'è anche il presunto organizzatore della truffa che avrebbe avuto contatti con l'università Sacro Cuore di Roma. Gli arrestati svolgevano attività di infermiere in strutture sanitarie pubbliche e private. In alcune circostanze è emerso, dalle indagini dei carabinieri, il possibile coinvolgimento di interi nuclei familiari che svolgevano tutti la stessa attività professionale. Le persone coinvolte nelle indagini avrebbero conseguito il titolo di studio dopo il pagamento di denaro e senza aver svolto nessuna attività didattica. Gli arresti sono stati eseguiti in diverse città della Calabria ed anche a Roma.
Arrestati in 72, comprarono il titolo
TgCom del 10/12/2008
Infermieri, finti diplomi a Cosenza
Lavoravano da infermieri ma senza diploma perché quello che avevano in tasca era falso. Lo avevano comprato pagandolo dagli 8 ai 10mila euro. Ora i carabinieri hanno messo fine ad uno scandalo senza precedenti nel settore sanitario di Cosenza, arrestando 72 persone. In manette con l'accusa di truffa è finito anche il presunto organizzatore del raggiro, che avrebbe avuto contatti con l'università Sacro Cuore di Roma.
Dalle indagini è emerso che le persone coinvolte nell'inchiesta avrebbero acquistato il diploma di laurea da infermiere pagandolo somme tra gli 8 e i 10 mila euro. Gli arrestati svolgevano attività di infermiere in strutture sanitarie pubbliche e private. In alcune circostanze è emerso, dalle indagini dei carabinieri, il presunto coinvolgimento di interi nuclei familiari che svolgevano tutti la stessa attività professionale.
Le persone coinvolte nelle indagini avrebbero conseguito il titolo di studio dopo il pagamento di denaro e senza aver svolto nessuna attività didattica. Gli arresti sono stati eseguiti in diverse città della Calabria ed anche a Roma.
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