Avvenire del 26/11/2008 p. 22
La Divisione specializzata Healthcare di Articolo 1 ricerca 50 infermieri per case di cura private. I candidati devono essere in possesso di laurea in Scienze infermieristiche o equipollenti e relativa iscrizione al Collegio professionale (Ipasvi), anche neo-laureati senza alcuna esperienza. Saranno adibiti a tutti i reparti con preferenza di sala operatoria, cardio chinirgia, ortopedia, neurologia. Eventuali candidati extracomunitari devono essere in possesso di titolo di infermiere riconosciuto come equipollente dal ministero della Salute ed essere iscritti al Collegio professionale. Inoltre è richiesta una capacità linguistica idonea alla mansione. Si offre contratto di somministrazione di 6-12 mesi. Sedi di lavoro: Pordenone, Bergamo, Torino, Bologna, Bari, Taranto, Brindisi, Foggia, Palermo. I cv, con foto tessera allegata, indicazione della posizione e sede di interesse, vanno inviati ad: Articolo 1 spa Via Zamboni, 1 40126 Bologna Tei.: 0515880474 Fax: 0515880534 E-mail: agostino .tantini @ articolol.it.
Consiglio Ipasvi
Il Piccolo di Trieste del 26/11/2008 ed. Nazionale p. 32
A conclusione del mandato triennale del consiglio direttivo di Ipasvi, il collegio professionale che raggruppa oltre duemila infermieri, assistenti sanitari e vigilatrici d'infanzia della provincia di Trieste, vorrei porgere il mio più sentito ringraziamento alle centinaia di colleghi che ho incontrato in questi anni e che, insieme al consiglio, hanno collaborato per le molteplici iniziative realizzate dal 2006 ad oggi: penso alla realizzazione di un osservatorio per la revisione delle reti infermieristiche in Friuli Venezia Giulia, ma anche e soprattutto all'impegno per il riordino della professione e l'applicazione della nuova legge per la valorizzazione infermieristica, così come al recentissimo confronto sulla responsabilità professionale. Ma voglio anche ringraziare gli interlocutori degli enti e delle istituzioni - politiche, sanitarie, di impegno socio-assistenziale e di volontariato - che hanno creduto e credono alla trasparenza ed alle iniziative di Ipasvi, e che sono stati in questi anni referenti preziosi per proseguire in un comune terreno di impegno per la salute dei cittadini. Dal 28 al 30 novembre si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del consiglio direttivo del Collegio infermieristico nella provincia di Trieste e molti colleghi ci hanno chiesto di continuare sulla strada intrapresa anche per il prossimo mandato. L'impegno è sostanzioso, così come sono importanti gli obiettivi ancora da raggiungere per un assetto capace di accogliere in maniera ottimale le esigenze dell'utenza: traguardi che - lo dimostra l'esperienza di questo triennio - richiedono impegno quotidiano ed azioni concrete, ma anche la consapevolezza che, al di là degli approcci e delle soluzioni proposte, al di là di come potranno evolvere le linee d'indirizzo, l'importante è sentirsi sempre dalla stessa parte: quella dei cittadini e di chi, nelle corsie degli ospedali o al proprio domicilio, si affida quotidianamente alle nostre cure per la tutela della sua salute. Flavio Paolettipresidente del consiglio direttivo di Ipasvi Trieste
Sanitari del carcere senza stipendio
Il Resto del Carlino del 26/11/2008 ed. Ancona p. 5
MEDICI ed infermieri in servizio al carcere di Montacuto non percepiscono lo stipendio da quasi due mesi e le notizie in vista del Natale non sono confortanti. Intanto nel penitenziario del capoluogo di regione la popolazione carceraria cresce giorno dopo giorno e ha già raggiunto e superato i numeri del periodo successivo all'indulto del 2006. Con il passaggio delle competenze in ambito sanitario dal Ministero della giustizia ad un livello localistico, ossia sotto il controllo delle singole Asur, sono sorti alcuni problemi che solo il tempo potrà sistemare. Tra questi ci sono gli stipendi del personale medico e infermieristico fisso all'interno della struttura carceraria. Sono una ventina i professionisti che si trovano senza stipendio da settembre, 6 medici e 10 infermieri fissi oltre a 5 cinque specialisti che però svolgono servizio saltuario a seconda delle necessità. "IL TIMORE è che per avere quello che ci spetta _- spiega attraverso una nota il gruppo dei sanitari coinvolti nel problema - se ne riparlerà col nuovo anno. Chi si è impegnato con dei mutui comincia ad essere in grossa difficoltà e di certo questo non è il periodo migliore per stringere la cinghia con il Natale alle porte. Dal 1° novembre è in atto una forma di agitazione dal servizio che comunque garantirà le emergenze, mentre non saranno garantite le visite giornaliere e le pratiche burocratiche. Questo stato di agitazione durerà fino a quando non si vedranno i soldi, a chi dover fatturare per ricevere i compensi e fino a quando non ci sarà un provvedimento concreto per ridurre la precarietà degli operatori sanitari. Non va dimenticato infine pure il problema della scarsità di personale degli infermieri". LA PROTESTA è stata segnalata già agli enti preposti, dall'assessorato regionale alla sanità all'Asur 7 e ovviamente alla direzione del carcere. Il passaggio di competenze, con decreto attuativo pubblicato il 30 maggio scorso, non è stato ancora digerito dalle istituzioni regionali. Intanto medici ed infermieri sono andati avanti nel loro lavoro, tutt'altro che agevole. Il numero dei carcerati ha superato quota 300 ed ogni mese i sanitari in questione effettuano circa 1.200 prestazioni. A queste si devono aggiungere le emergenze, con pazienti che necessitano trattamenti speciali magari da approfondire poi in ospedale. Infine ci sono da redarre le varie cartelle cliniche dei nuovi ingressi. p.cu.
Le nobili discendenti del cardinal Salviati:
«Noi non molliamo»
L Unita del 26/11/2008 , articolo di ADELE CAMBRIA p. 85
Conferenza stampa insieme alle suorine della Misericordia, alle infermiere e ai cappellani. Ripa di Meana fa appello al Papa e persino al concordato Il contenzioso STUDENTI MEDI Giornata di solidarietà con gli studenti di Rivoli e per sensibilizzare le istituzioni verso l'edilizia scolastica. Alle 17 manifestazione a piazza Venezia, di fronte a Palazzo Valentini.roma@unita.it D'argento, a tre bande, contromerlate di rosso. Così lo stemma dei Salviati, famiglia nobile fiorentina, ma che nella Roma dei Papi, e dei Cardinali, ebbero cariche eccellenti, ed anche una concreta vocazione a fare del bene. Come quel Cardinale Antonio Maria Salviati che, hanno raccontato ieri mattina Oliva Salviati e la figlia Polimnia - con tanto di documenti alla mano, testamento e lascito tradotti dal latino notarile del Seicento - blindò l'ospedale San Giacomo: «Con l'inibizione perpetua e assoluta a disporre di esso, e dei beni costituiti a vantaggio della sua pia funzione, diversamente dal fine esclusivo della cura degli infermi, cui il Cardinale l'aveva destinato». Quando Antonio Maria Salviati acquistò l'ospedale dai Colonna, ne quadruplicò l'estensione(oggi il complesso ingloba 35.000 mq.), fece realizzare i due vasti cortili, dedicò al clero residente un'ala dell'edificio, e, soprattutto, provvide l'ospedale di rendite: che la Confraternita dell'Arcispedale San Giacomo degli Incurabili utilizzava direttamente o faceva circolare «vendendo ai cittadini romani quelle che oggi chiameremmo azioni». ...La tentazione mi viene, guardando le due donne una più affascinante dell'altra, di immaginare un film diretto da Federico Fellini, sulla vicenda del San Giacomo. Infatti la sala non vasta detta del Valadier, a Santa Maria del Popolo, vede mescolarsi, alle tre rappresentanti della linea femminile Salviati - seduta tra infermiere e caposala in rivolta, c'è anche la madre di Oliva, Grazia Gawronska, che opera nel Consiglio d'Amministrazione del Bambin Gesù, fondato nel Settecento da un'ava svizzera, sconvolta dal constatare come i bambini malati, al San Giaco�?� mo, dormissero nei letti dei vecchi - una umanità varia e appassionata. Non solo medici, capeggiati dall' illuminato dottor Felice Occhigrossi, ma anche due suorine dell'Ordine delle Suore Ospedaliere della Misericordia, sfrattate anche loro il 31 ottobre: «a suon di mangano», mi sussurra la filippina Suor Aidlen, insegnante della scuola infermiere fondata nel 1933. E non manca uno dei tre cappellani rimasti provvisoriamente nel loro quartiere dell'ex ospedale, ma senza luce elettrica-dalle 20-e senza gas. E Padre Paolo, polacco, quando Polimnia legge la bolla di Papa Paolo V Borghese, che confermò ab aeternum le volontà del Cardinale Salviati, racconta di aver ricevuto dal segretario di Benedetto XVI la promessa di un interessamento del Vicariato alla vicenda. «Ma poi ci è stato detto che il Papa non aveva titolo per intervenire...». Coglie la palla al balzo Carlo Ripa di Meana, camicia rossa e cravatta verde: «Bisogna far pervenire un appello a Benedetto XVI, e costituire un gruppo di esperti, vaticanisti, giuristi, studiosi del Concordato, per riconsiderare tutta la questione». In quanto ad Olivia, dopo aver confermato che un parere dell'avvocatura dello Stato ha riconosciuto i diritti degli eredi Salviati sul San Giacomo, ove non fosse restituito alla sua funzione di ospedale, conclude: «Che i nostri amministratori ammettano l'errore, da parte mia intanto sostituisco il motto inciso sullo stemma di famiglia con un 'Non mollare'!»
Due nuove auto mediche per le emergenze
La Nazione del 26/11/2008 ed. Viareggio p. 7
P ASSA ATTRAVERSO il potenziamento del servizio delle auto mediche la riorganizzazione del 118 che a partire da gennaio presenterà alcune significative novità. «Un miglioramento del servizio di emergenza - assicura il dottor Andrea Nicolini, responsabile della centrale operativa del 118 - visto che il territorio sarà coperto meglio e con una maggiore efficienza». Proviamo a spiegare meglio. L'auto medica è già operativa per la zona nord della Versilia da circa un anno e mezzo. E con buoni risultati, garantiscono al 118. Da metà gennaio ne saranno previste due per tutta l'area sud della Versilia. La prima conseguenza è che spariranno i medici attualmente in servizio nelle singole associazioni del volontariato. «La gente - spiega il dottor Nicolini - non deve temere, perché i soccorsi arriveranno con maggior puntualità, senza correre il rischio di un uso sbagliato del medico che oggi, alle volte, è impegnato su emergenze in cui la sua presenza non era in realtà indispensabile. Lasciando così scoperta un'altra zona». Le auto mediche, ognuna delle quali avrà a bordo il medico di pronto soccorso e un infermiere professionale, partiranno una dall'ospedale Versilia e l'altra a Viareggio dall'ex Macelli. «In questo modo - spiega Giovanni Meniconi del 118 - saremo in grado di arrivare in tempi rapidi da una parte a Lido e al Marco Polo e dall'altra a Viareggio e Torre del Lago». E' stato calcolato che l'auto medica è in grado di arrivare dagli ex Macelli in piazza a Torre del Lago in 4 minuti e mezzo. L'auto medica è dotata di tutte le strumentazioni in dotazione a un'ambulanza di classe A, quella cioè specializzata anche per le emergenze cardiologiche. Quando l'auto medica giunge sull'incidente, il medico e l'infermiere sono già in grado di compiere l'intervento necessario. Poi con l'ambulanza possono decidere se trasferire o meno il paziente in ospedale. Le auto sono dotate di uno speciale navigatore satellitare in grado non solo di guidare medico e infermiere sul posto con facilità, ma anche di segnalare alla sala operativa dove si trova con esattezza l'auto medica in qualsiasi momento. L'operatore che raccoglie la telefonata di emergenza è in grado di inoltrare in tempo reale le informazioni di base al medico che sul display sa già prima di arrivare sul posto quale tipo di intervento lo attende. Le auto mediche sono dotate anche di una speciale strumentazione cardiologica capace di collegarsi direttamente con l'Opa di Massa o con Pisa. «Non è più necessario - spiega il dottor Nicolini - passare dal pronto soccorso. Con quei dati in mano, può essere portato nel centro specializzato permettendoci di guadagnare quei minuti preziosi non solo per salvare la vita all'infartuato, ma anche per garantirgli un'esistenza migliore, una volta risolto il problema».
Tamara Mannori e Matteo Vita vincono l'"Esculapio d'Oro"
Corriere Mercantile del 26/11/2008 p. 5
HIAVARI - Sabato sei dicembre, con una cerimonia che sarà ospitata nell'Antico Teatro Cantero, sarà consegnato l'Esculapio d'Oro messo in palio, per la 19ª volta dal "Comitato Assistenza Malati Tigullio Onlus". Un traguardo importante per questa manifestazione, una tappa che la dice lunga sull'attività benefica svolta dal presidente Giancarlo Mordini e dai suoi più stretti collaboratori. Basti pensare che in 25 anni di attività il Comitato ha distribuito quasi quattro milioni di euro destinandoli a varie iniziative. Che sono state: spese per malati, attrezzature ospedaliere, aggiornamenti tecnici, ricerca, borse di studio ed enti assistenziali. «Tutti noi non speravamo che sarebbe durato così a lungo e con tanto successo - ha ammesso Giancarlo Mordini -. Privilegiare il rapporto umano tra medico e malato, tra infermiere e malato era ed è lo spirito e lo scopo di questo premio. Credevamo e crediamo nell'uomo, siano convinti che ognuno di noi, al momento giusto, può trasformarsi e trasmettere il meglio di se. Ecco perché abbiamo istituito il Premio Esculapio d'Oro: per onorare il medico e l'infermiere che, tra tanti tutti meritevoli, sa mettersi nei panni del malato e aiutarlo nel suo difficile percorso con tutta la sua uiimanità e professionalità». La riprova di quanto affermato è che tutti gli anni vengono segnalati medici e infermieri che esaltano la buona medicina intesa come servizio e aiuto a chi si trova in difficoltà. «Siamo profondamente ottimisti, se non lo fossimo, il Comitato Assistenza Malati Tigullio non sarebbe nato e siamo grati a quanti, medici e infermieri, continuerano la loro nobile professione con la "P" maiuscola».
Ospedale, ferie vietate agli infermieri
Il Centro del 26/11/2008 ed. L aquila p. 20
Per la carenza di personale è difficile anche pianificare i turni - La Cgil: servono almeno 10 operatori socio-sanitari
GIULIANOVA. Pronto soccorso in difficoltà, ortopedia in affanno, personale infermieristico e medico costretto a non usufruire delle ferie perché si rischierebbe la paralisi. È la situazione che si vive all'interno del presidio sanitario di Giulianova, sicuramente sottodimensionato per quanto riguarda la pianta organica. L'allarme era stato lanciato già alcuni anni fa dalla Cgil funzione pubblica, che ieri con una nota è tornata a chiedere il potenziamento del personale "Oss", ovvero degli operatori socio-sanitari, figure di supporto agli infermieri.Secondo l'esponente della Cgil Tonino Marchetti sono necessari almeno dieci Oss per far fronte alle emergenze che quotidianamente si vivono all'interno dell'ospedale.«La situazione è preoccupante», spiega Marchetti, «c'è una difficoltà persino nell'organizzare i turni di lavoro. Per non parlare poi dell'impossibilità di mandare in ferie gli infermieri. L'operatore socio-sanitario è un addetto in grado di poter dare un valido contributo al sistema medico e paramedico, soprattutto per quanto riguarda la gestione di ferie e malattie».I reparti sotto pressione sono anche medicina e cardiologia e la Cgil teme che, per risolvere certe situazioni legate alla carenza di personale, la Asl possa accorpare o smobilitare intere divisioni. «Non è certamente questo il modo di risolvere la questione», ha aggiunto il sindacalista, «la carenza di personale di supporto è un problema ormai cronicizzato nel nostro presidio e, a volte, deliberatamente accentuato, poiché viene utilizzato lo stesso numero di operatori sanitari per l'apertura di nuovi reparti».Per la Cgil, con almeno dieci nuovi operatori socio-sanitari di supporto all'assistenza infermieristica la situazione potrebbe migliorare di molto. «In effetti si tratta di un numero non elevato», conclude Marchetti, «ma che consentirebbe di far fronte alle difficoltà senza creare disservizi, assicurando una migliore qualità dell'assistenza infermieristica ed evitando il protrarsi di situazioni "illegali" quali la copertura di turni lavorativi con poche unità, come accade spesso in alcuni reparti, vedi medicina e lungodegenza. Il nostro presidio è in una posizione strategica e merita un potenziamento del personale e della qualità diagnostica, senza sottovalutare l'aspetto della sicurezza».Lino Nazionale
Piano dell'ospedale: nuovi spazi e infermieri
Il Mattino di Padova del 26/11/2008 ed. Nazionale p. 22
Vertice Cestrone-Flor-Toniolo: «Gli assunti non coprono i pensionamenti»Gli ottimisti fanno il conto alla rovescia: «Patavium sorgerà tra dieci anni». Gli smaliziati aspettano un gesto concreto da parte della Regione sul nuovo polo ospedaliero. I pessimisti pensano che non vivranno abbastanza a lungo per vederlo compiuto. I pragmatici non si arrovellano con i «se» ed i «ma». Devono far funzionare l'ospedale che c'è e che sarà l'ospedale dei Padovani ancora per un bel po' di tempo. Ed ecco delineate le linee strategiche di sviluppo dell'azienda ospedaliera 2008/2012. Adriano Cestrone, direttore generale; Luciano Flor, direttore sanitario; Roberto Toniolo, direttore amministrativo, riuniti per parlare del futuro prossimo della sanità padovana. L'azienda deve fare i conti con la cronica carenza di spazi e di personale, oggi infermieristico, domani medico. Gli imperativi: nuovi edifici, ridistribuzione dello spazio che già c'è, riorganizzazione del personale.EDILIZIA. Entrati dalla porta e già usciti dalla finestra. Il destino dei 40 milioni di euro stanziati dalla Regione per l'azienda ospedaliera è già segnato. Integreranno il budget destinato all'Ostetricia, alle casette di via San Massimo, alle nuove sale operatorie e terapie intensive che sorgeranno nell'edificio prefabbricato che verrà piazzato nell'area ex-cucine, tra il Policlinico e il fronte-strada di via Giustiniani. Interventi per incrementare spazi e servizi: le casette di via San Massimo ospiteranno i pazienti che vengono da lontano e che necessitano di cure in day-hospital. Un turbinio di progetti per la nuova ostetricia. Ad aprile sarà pronto l'antidoto contro la carenza di spazio di divisione e clinica. Nuova struttura per sale operatorie e terapie intensive.PERSONALE. Emorragia di infermieri in atto e di medici alle porte. All'azienda dei primi ne mancano un centinaio. I nuovi assunti non riescono a coprire i pensionamenti. I soldi ci sono, i concorsi restano deserti. «E' il nostro collo di bottiglia - ha spiegato Flor - Ne perdiamo 70 all'anno». Se non ci sono infermieri non si possono assumere medici. Ed il rischio è quello di dover tagliare posti letto. Professori schierati per spezzare una lancia nei confronti dei propri ricercatori: «Se ne vanno in altri ospedali. Noi li cresciamo e poi non possiamo offrir loro un lavoro stabile». «Possiamo essere di fronte ad anni drammatici o ad una grande occasione per la sanità veneta - commenta Cestrone - L'obiettivo da perseguire è la riorganizzazione dei servizi, del personale».RETE DI SERVIZI. «Collaborazione tra azienda e territorio e tra città e Regione». Il direttore generale esorta ad uscire dall'ottica ristretta del benessere della singola azienda sanitaria. «Il nostro obiettivo deve essere il paziente. Sono anziani? Ecco l'intesa con il territorio. Da soli non andiamo da nessuna parte». Altolà allo spreco di risorse. Da Padova un segnale forte a non esitare a chiudere i battenti degli ospedali non necessari per ridisegnare una sanità padovana di ampio respiro, inquadrata nel Veneto.(Fabiana Pesci)
POMERIGGIO
Il Piccolo di Trieste del 26/11/2008 ed. Nazionale p. 30
l SLOVENO GRATUITO Oggi iniziano i nuovi corsi gratuiti di sloveno per principianti. I giorni e gli orari concordati rimarranno invariati. Disponibili alcuni posti. Info Ente Italiano per la conoscenza della lingua e cultura slovena, via Valdirivo 30, 2.o piano, dalle 17 alle 19. Tel. 040-761470 040-366557.l ALCOLISTIIN TRATTAMENTO
Questa sera alle ore 18.30, nella sala parrocchiale di Borgo San Sergio, piazza XXV Aprile 13, si riunisce il Club Insieme. Alla stessa ora, il Club Nike si riunisce nella sala parrocchiale di Prosecco n. 122. Le famiglie dei Club si rendono disponibili a fornire informazioni alle persone che fossero interessate a problemi alcol-correlati (tel. 040-370690 - cell. 331-6445079).l
AMICI DEL DIALETTO Oggi alle 18 nella Sala Baroncini in via Trento 8, conferenza di Livia Zanmarchi de Savorgnani dedicata a Guido Sambo.l ASSOCIAZIONEPANTA RHEI
Oggi alle 18 nel salone dell'associazione in via del Monte è in programma la proiezione di diapositive a cura di Tullio Conti «Gujarat, l'India giainista», una regione ricca di siti archeologici di straordinario valore e dalle bellezze naturalistiche straordinarie e uniche. Per informazioni: tel. 040-632420 cell: 335-6654597; e-mail: info@ascutpantarhei.org; sito internet: www.ascutpantarhei.org.l
UNIONE DEGLIISTRIANI
Oggi nella sala Chersi dell'Unione degli Istriani in via Silvio Pellico 2, alle 17 il prof. Roberto Spazzali presenterà il volume: «La piazzetta» di Francesco Hlavaty, sarà presente l'autore. Ingresso libero. Info allo 040-636098. l CONFERENZA INFERMIERE CRIL'ispettorato provinciale delle infermiere volontarie della Cri Italiana organizza una conferenza-incontro che si terrà oggi, con inizio alle 17.30, nella sala matrimoni, in piazza Unità d'Italia. Relatrice Antonietta Pasqualini dell'ispettorato regionale infermiere volontarie della Cri.l PROSENECTUTEAl centro diurno «Com. te M. Crepaz» ogni mercoledì alle 15.30 si tiene il laboratorio «Arte e mestieri». Bigiotteria, sartoria, piccoli lavori di riparazione e non solo. Al «Club Primo Rovis» di via Ginnastica, 47 alle 16.30: pomeriggio dedicati ai giochi.l
GIOVANIASSINDUSTRIA
Il Gruppo Giovani Imprenditori dell'Associazione degli Industriali della provincia di Trieste e Aiesec - Associazione Studenti in Scienze Economiche e Commerciali organizzano un convegno dal titolo «Possibilità di trasferimento tecnologico in un mondo globale» che si terrà oggi con inizio alle 18 all'aula Magna dell'edificio H3 dell'Università degli studi di Trieste, in piazzale Europa 1.
All'Opa grandissima professionalità
ma troppe carenze nella struttura
Il Tirreno del 26/11/2008 ed. Massa carrara p. 4
Vorrei denunciare le carenze che affliggono il rinomatissimo Ospedale pediatrico apuano. Mia moglie ed io abbiamo avuto bisogno di questa struttura in quanto avevamo la nostra bambina di 13 mesi con la febbre alta e problemi respiratori. Siamo arrivati a pediatria intorno alle 7 senza essere passati dal Pronto soccorso di Massa. Appena arrivati siamo stati accolti molto professionalmente da infermieri e dottori. Dopo i primi controlli ci hanno fatto accomodare in camera in attesa del giro visite che i medici fanno tutte le mattine. Il dottore è arrivato alla nostra camera intorno alle 10 e dopo aver verificato le condizioni della bimba (aveva febbre a 39 che non tendeva ad abbassarsi) il dottore ha richiesto un RX torace per valutare la complicanza polmonare. Prescrivendo poi alle infermiere che appena la bimba avesse fatto RX avrebbe dovuto iniziare una terapia antibiotica per mezzo di flebo. Il medico non ha fatto inserire subito la flebo perchè sarebbe stato particolarmente fastidioso fere l'RX alla bambina con un braccio bloccato dalla flebo.Abbiamo dovuto attendere che ci chiamassero dal reparto cardiologico del complesso. Alle 16,40 non si era ancora sentito nessuno alchè vedendo che la bambina continuava ad avere febbre sopra 39,5 ho perso la pazienza ed ho iniziato a dire alle infermiere che avrei chiamato i carabinieri. Il bello è che se nell'ospedale pediatrico apuano un bambino ricoverato al reparto Pediatria necessita o di una ecografia o di una radiografia deve essere condotto, attraverso scale e corridoi, dal secondo piano verso il blocco frontale dell'ospedale stesso dove nella maggior parte dei casi c'è sempre il tutto esaurito dovuto ai pazienti del reparto cardiologico, tra adulti e bambini.Ci sono anche altre carenze. Come prima cosa tutti i bambini appena nati dalle sale parto (che si trovano al 2° piano) vengono trasferiti al 1° piano attraverso l'ascensore di uso pubblico con tutti i problemi di igiene che si possono immaginare per un neonato. Come prassi il bambino che necessita di cure ospedaliere deve passare prima dal Pronto soccorso dell'ospedale SS.Giacomo e Cristoforo nella maggior parte dei casi solo per farsi fare un foglio per poi andare di corsa verso l'Opa.Esperienza personale di mia figlia in preda ad uno schock anafilattico e il medico del Pronto soccorso al telefono con l'Opa per sapere le dosi per l'iniezione di cortisone. Io vorrei sapere perchè se l'ospedale è chiamato Pediatrico ci devono essere così tanti disagi per un bambino?Vorrei comunque anche segnalare la grande professionalità e umanità dimostrata tutte le volte dai medici e dagli infermieri dell'Opa che riescono in qualche caso a sopperire alle carenze strutturali.L.L. (pubblichiamo solo le iniziali per motivi di tutela dei minori)
Auto mediche per 24 ore al giorno
Il Tirreno del 26/11/2008 , articolo di GIORGIO BILLERI ed. Lucca p. 15
Il servizio al via a gennaio con una postazione fissa agli ex Macelli - A bordo infermiere, medico e materiale per la rianimazioneVIAREGGIO. Mezzo milione di euro sul tavolo, per arrivare ad aumentare di almeno il 25-30% la capacità di «copertura» del territorio comunale. La scommessa dell'Asl si chiama auto medica e decollerà ufficialmente nel mese di gennaio, quando saranno due i mezzi completamente attrezzati, con medico e infermiere specializzato a bordo, disponibili 24 ore su 24 per le emergenze e i casi più gravi. Un supporto più veloce ed efficiente rispetto alle ambulanze, mezzi capaci di muoversi con maggiore agilità nel centro cittadino ma anche per raggiungere frazioni fino ad oggi abbastanza penalizzate come Torre del Lago. Mezzi che saranno gestiti completamente dal 118 e che avranno una base operativa nuova di zecca, nell'immobile restaurato degli ex Macelli.Una rivoluzione copernicana per Viareggio, che arriva sulla scorta del successo dell'esperimento a Querceta e più in generale nella Versilia Nord. «I dati di quel presidio - spiega il responsabile del 118, il dottor Andrea Nicolini - parlano di una riduzione del 25-30 per cento delle cosiddette attivazioni improprie del personale medico, ovvero di interventi di scarsa importanza e portata. Con l'arrivo dell'auto medica invece saremo noi direttamente a valutare caso per caso e decidere quando e dove spedire il mezzo. In questo modo anche le ambulanze potranno dedicarsi ad altri tipi di intervento».Ma come sarà organizzato questo nuovo servizio? Intanto sono stati reperiti 12 infermieri dall'ospedale Versilia, tutti con specifica formazione alle spalle sulle tecniche di soccorso e rianimazione. Al loro posto l'Asl ha assunto altre 12 persone che andranno a lavorare in ospedale. I mezzi - di proprietà dell'Asl - saranno ubicate all'ospedale Versilia e nell'area degli ex Macelli. I vantaggi? La rapidità anzitutto: basti pensare che oggi un'ambulanza che parte dall'ospedale per raggiungere Torre del Lago può impiegare anche un quarto d'ora, con questa nuova organizzazione passeranno al massimo 5 minuti. Stesso discorso per zone come il centro cittadino o il Marco Polo. Ogni mezzo (che costa sui ventimila euro) sarà attrezzato con gli strumenti per la rianimazione ma, per motivi di spazio, non disporrà della barella: in quel caso arriveranno le ambulanze di rinforzo».Nella palazzina degli ex Macelli sarà spostato anche il centro di formazione cardio-polmonare e sarà garantita la presenza di medici e infermieri 24 ore su 24. Non solo: sull'auto medica sarà montato anche il cosiddetto protocollo Stemi, arrivo in Versilia dal 1° aprile. «Si tratta di un dispositivo - spiega Nicolini - che in caso di infarti acuti consente di eseguire un elettrocardiogramma anche per strada o a casa per inviare poi i dati in tempo reale all'Utic, che decide se trasferire direttamente il paziente ai centri cardiologici di Massa e Pisa «bypassando» il pronto soccrorso del Versilia.Questo pomeriggio il responsabile del 118 avrà un incontro alla circoscrizione di Torre del Lago per spiegare i vantaggi di questa nuova organizzazione. Nicolini ha voluto anche rispondere a chi reclamava una maggiore presenza del personale medico sulle ambulanze gestite dal 118.«Il medico da solo non può fare niente - puntualizza - uno degli eventi sanitari più drammatici e con i quali ogni servizio di emergenza deve quotidianamente fare i conti è l'arresto cardiaco extra ospedaliero. La mortalità per questa evenienza è la più alta rispetto a tutte le altre patologie e questo non solo in Italia, ma a livello internazionale. Ciò è dovuto a vari fattori tra cui i più importanti sono la gravità della patologia che ha portato all'arresto cardiaco e il tempo trascorso tra lo stesso e l'inizio della rianimazione cardio polmonare che deve avvenire il più precocemente possibile. Per iniziare una rianimazione è necessario avere a disposizione personale addestrato a questa procedura, ma non necessariamente personale medico. Il medico deve invece entrare in gioco nella fase immediatamente successiva alla rianimazione cardio-polmonare, quando cioè, in termini tecnici, il paziente deve essere stabilizzato e accompagnato in ospedale per le successive cure. L'obiettivo che tutti si devono porre non è quindi quello di aumentare il numero dei medici sulle ambulanze del 118, già sufficiente a garantire adeguata copertura del territorio, ma incrementare il numero di persone in grado di effettuare una rianimazione cardio polmonare. A questo scopo l'Aslha già da tempo deciso di incrementare l'attività formativa, al fine di divulgare il più capillarmente possibile la capacità di eseguire rianimazione cardio polmonare, non solo ai soccorritori, ma anche a semplici cittadini che non fanno del sanitario la loro abituale professione. Questo deve essere l'obiettivo per ridurre i tempi di inizio di una adeguata rianimazione e salvare una vita».
Pazienti maltrattati «Infermieri a processo»
L'Arena di Verona del 26/11/2008 p. 15
La vicenda dei pazienti maltrattati è approdata nelle aule del Tribunale Si tratta solo di alcuni episodi, si sono difesi davanti agli investigatori. Sarà anche così ma ciò non ha impedito al pm Maria Beatrice Zanotti prima di aprire un'inchiesta e poi di chiedere il rinvio a giudizio a carico di tre persone per maltrattamenti e violenza privata. I tre indagati sono gli infermieri che lavoravano a Marzana nella struttura sanitaria dell'Ulss 20 che cura i malati di mente. In dicembre, i sanitari si troveranno davanti al gip Laura Donati per rispondere di quelle accuse. Di fronte ai tre, difesi dagli avvocati Montagnoli, Avesani e Maruzzo, non ci saranno le parti offese delle loro presunte angherie perchè nessuna tra le vittime nè i loro famigliari, si sono costituite parti civile. I tre infermieri sembrano orientati a chiedere il patteggiamento della pena e spegnere così le luci sulla vicenda. L'accordo sulla sanzione, in ogni caso, impedirebbe ai pazienti, vittime delle violenze, di ottenere qualsivoglia risarcimento dei danni se non aprendo un contenzioso civile. Nell'inchiesta, non sarebbe stata coinvolta l'Ulss 20 in quanto gli elementi raccolti non avrebbero fatto emergere responsabilità dei vertici della struttura sanitaria. I particolari sulle violenze, verificatesi a Marzana, trapelano con il contagocce. I fatti sarebbero iniziati nel 2003 e si sarebbero protratti per un paio d'anni. Le violenze sono emerse dopo che alcuni colleghi degli indagati hanno fatto partire le denunce. Sarebbero stati loro ad assistere alle aggressioni che avrebbero interessato alcuni pazienti. Non trapela, però, il numero preciso degli episodi e, soprattutto, il numero delle vittime di quelle aggressioni. Si sa solo che, a parere dell'accusa, ci sono stati alcuni episodi di violenza. Nel maggio scorso, sarebbero stati acquisiti documenti importanti al fine dell'indagine direttamente dalla sede dell'Ulss 20. Sul loro contenuto, si può solo ipotizzare che si trattasse delle cartelle cliniche dei pazienti, vittime della violenza degli infermieri. Sarebbero stati raccolti tutti i documenti, relativi all'attività dei tre infermieri. Sull'identità degli indagati, c'è il massimo riserbo degli inquirenti. Si tratterebbe, però, di persone ora non più in servizio in quei settori perchè in pensione o perchè destinati ad altri impieghi. Si sarebbero giustificati, a dire il vero, durante la fase delle indagini. Avrebbero detto che la loro violenza era giustificata dall'evitare guai ad altri pazienti che stavano per essere aggrediti. Se l'udienza preliminare si concluderà con il patteggiamento, non ci sarà mai un processo che chiarirà come sono andati veramente i fatti.
Aggiornamento sulle stomie per 35 infermieri del «Sant'Elia»
La Sicilia del 25/11/2008 ed. Nazionale p. 34
v. p.) È previsto per la giornata di venerdì 28 novembre, nella sala convegni dell'ospedale "Sant'Elia" un corso di aggiornamento sulle stomie destinato a 35 infermieri impegnati nelle unità operative di chirurgia generale e d'urgenza, sala operatoria di chirurgia, urologia e rianimazione. Il corso, diretto dal primario del reparto di chirurgia del nosocomio nisseno Silvio Morini, è organizzato in collaborazione dall'azienda ospedaliera "Sant'Elia" e dall'azienda "Hollister Spa" e rientra nel percorso di formazione previsto dal Ministero della Salute sull'educazione continua in medicina. Come relatori interverranno il dott. Nicolò Lo Cascio, responsabile di zona della "Hollister Spa" il dott. Piero Termini, medico chirurgo dell'azienda ospedaliera "Sant'Elia", il dott. Carlo Fidale, enterostomista del Policlino Universitario di Messina, il dott. Antonino Mangione, infermiere del reparto di chirurgia generale e d'urgenza del "Sant'Elia" e la dott.ssa Maria Antonietta Sardo. Il dott. Mangione aprirà la scaletta degli interventi parlando di "Igiene e apparecchiature delle stomie - Stoma Care". L'intervento del dott. Termini verterà invece sul "Trattamento chirurgico delle complicanze stomali e sulla classificazione delle stomie". Il dott. Carlo Fodale parlerà invece della "Classificazione delle stomie urinarie e dell'assistenza ai pazienti nelle fasi pre e post-operatorie" oltre a relazionare sugli aspetti burocratici che regolano la fornitura di materiale protesico. I corsisti svolgeranno anche un'esercitazione pratica sull'educazione alla gestione della stomia.
Per le cure alla fine della vita manca una regìa
Il Sole 24 Ore Sanita' del 25/11/2008 N. 46 25 NOV.-1 DIC. 2008 p. 31
Operatori e ospedali si muovono in ordine sparso: servono formazione Famiglie lasciate troppo spesso sole e reti di servizi anche nel supporto a casaCome si fa fronte, in ospedale e sul territorio, alle esigenze dei malati in punto di morte e delle loro famiglie? A un tema tanto delicato e trasversale risponde l'indagine triennale promossa in Veneto dal Comitato regionale di bioetica con la collaborazione del Centro regionale trapianti, dell'Osservatorio regionale per le cure palliative e dei 19 Comitati aziendali per la pratica clinica. La ricerca è stata appena presentata a Monastier in un convegno di bioetica. Ma il lavoro non termina qui: «La Regione - spiega infatti Giampietro Rupolo, dirigente Piani e programmi socio-sanitari del Veneto - organizzerà entro maggio una conferenza di consenso sulla gestione dei percorsi di fine vita nelle strutture. Così da mettere a punto, entro il prossimo autunno, un progetto obiettivo a cui possano conformarsi tutti i centri». E di linee guida condivise, stando ai risultati dell'indagine, c'è gran bisogno. I focus group sulla dignità del morire condotti con operatori di ogni estrazione professionale - che completavano le risposte a un questionario sintetizzate nei grafici in pagina - sono illuminanti. Il primo elemento che colpisce è che ancora oggi gli operatori sono colti impreparati dall'evento morte. Mancano guidelines per affrontare la terminalità del malato e gli operatori si muovono in ordine sparso. Prevalgono tecnicismo e tendenza alla fuga, a fronte di un'insofferenza, percepita nel malato, verso interventi sanitari considerati lesivi della dignità. E morire a casa non presenta minori difficoltà: a parte nicchie virtuose di volontari, pazienti e famiglie sono soli. Davanti a tanta inappropriatezza, la ricetta è dunque chiara: formazione adeguata e adozione di protocolli comuni. (B.Gob.) La morte non è un evento contemplato nell'organizzazione degli ospedali, sia dal punto di vista di come sono strutturati i reparti e le stanze sia dal punto di vista del personale. Sebbene si tratti di un evento non imprevedibile e in certi reparti piuttosto frequente, l'impressione è che ogni volta si improvvisi, che non si sia sviluppata una riflessione comune su come affrontare questo evento, su come comportarsi quando un paziente sta per morire. Tutto è lasciato «alla creatività o iniziativa o al buon senso del singolo operatore». Non è stabilita alcuna linea di azione comune rispetto alla comunicazione con il paziente e la sua famiglia né rispetto agli interventi da attuare. Emerge continuamente dai racconti di medici e infermiere l'atteggiamento di omertà e fuga degli operatori sia da una riflessione comune sul morire che da una relazione con il morente e la sua famiglia. In alcuni casi il malato viene trasferito in una stanza singola e "dimenticato" o più spesso separato dagli altri pazienti da un paravento dietro il quale è scarsamente salvaguardata l'intimità con i familiari. Per quanto riguarda chi lavora sul territorio, emerge una netta distinzione tra chi sta "dietro le quinte" - a esempio organizza l'assistenza domiciliare - e chi, invece, si trova quotidianamente immerso nella realtà domestica della morte: è il caso di un'infermiera domiciliare che tra un cambio e una flebo riesce a strappare anche qualche minuto per l'ascolto e l'accoglimento della sofferenza del malato e dei familiari a un'agenda serrata (venti minuti a prestazione), costruita sul modello del "lavoro a prestazioni". Questo modello è ricondotto a un approccio medico, specialistico, che «si limita a prestazioni di carattere infermieristico o sanitario» e viene contrapposto a una "visione globale", in cui «il paziente e la famiglia vengono presi in carico». Cosa si intende per "morte dignitosa"? A questa domanda gli operatori non hanno dato una risposta univoca: è emersa piuttosto una costellazione di significati che include il controllo del dolore, il rispetto della volontà del malato, il confine dei trattamenti, la possibilità per i familiari di stare accanto al proprio caro in un contesto di intimità. Intrappolato tra le richieste dei familiari e le ragioni degli operatori, il punto di vista del morente risulta pressoché assente. La sedazione. Sembra esservi accordo sul fatto che morire dignitosamente significhi morire senza dolore. Questo è il principale desiderio del malato e della sua famiglia, condiviso anche da medici e infermiere. Si riconosce che «il trattamento di sedazione è un trattamento assolutamente utile e anzi irrinunciabile», mentre «quando si tratta di togliere la coscienza a una persona» qualcuno solleva delle perplessità. La volontà del morente. Per alcuni l'idea di morte dignitosa comporta il rispetto delle volontà espresse dal morente, discorso questo complicato perché vede talvolta contrapposte la volontà del morente con quella dei familiari, la pratica medica e/o la normativa vigente. Non si tratta solo della questione dell'eutanasia, velatamente accennata da un operatore, ma anche della volontà a esempio di morire a casa propria. Il contesto. In generale si concorda sul fatto che la buona morte in ospedale sia quella confortata dalle persone care, in un ambiente tranquillo e protetto che ricrei in qualche modo l'atmosfera di casa. Sebbene da qualcuno la stanza singola sia considerata la situazione ottimale, perché pone il morente e i suoi familiari nella condizione di stare insieme in tranquillità, tuttavia spesso si traduce nell'isolamento del morente da parte del personale sanitario. La pratica di saltare la stanza dove si trova una persona per la quale non ci sono più speranze di guarigione è riportata frequentemente e riguarda, non solo i medici, ma anche il personale infermieristico. Se si muore in una stanza a più letti, in genere si utilizzano i paraventi, mentre le tende fisse «come si vedono nei telefilm americani», considerate da alcuni più decorose e rispettose della privacy, non sono a disposizione «perché costano troppo». Il confine dei trattamenti. Perché i medici a un certo punto non rinunciano a praticare interventi che hanno come unica conseguenza quella di prolungare la fase terminale in condizioni sempre meno dignitose? Da quanto riferito dagli operatori sanitari emerge l'idea che il cosiddetto accanimento terapeutico sia il risultato di una serie di reazioni a catena che sembrano avere come nodi centrali, da un lato la negazione della morte a livello sociale e dall'altro la comunicazione medici/pazienti (e/o i loro familiari) . È opinione diffusa che l'accettazione della morte si sia fatta sempre più difficile. I familiari premono perché sia fatto tutto il possibile, anche quando le condizioni del paziente non lasciano spazio a ulteriori interventi. Questa pressione di familiari sempre meno disposti ad accettare l'inevitabilità della morte, viene per altro sempre più spesso esercitata anche attraverso azioni legali. Da questo punto di vista quindi l'accanimento terapeutico sarebbe il risultato del diffuso rifiuto di accettare l'ineluttabilità della morte, che si tradurrebbe in una richiesta pressante di interventi da parte dei familiari a cui i medici non saprebbero opporsi e da un atteggiamento difensivistico messo in atto dai medici stessi nei confronti di eventuali denunce. La seconda reazione a catena sarebbe scatenata dal tipo di comunicazione dei medici che accompagna l'iter del paziente nel sistema sanitario. Al malato non viene spesso spiegata a chiare lettere la gravità della sua situazione e lo stesso vale per i parenti, per cui il fare qualcosa diventerebbe una necessità indotta delle aspettative suscitate da una comunicazione che lascia continuamente spazio alla speranza. I motivi di questa comunicazione non del tutto o per niente sincera sono di tre caratteri: psicologico, professionale e organizzativo. Da un lato, il medico non è sempre in grado di sopportare il carico emotivo legato alla comunicazione di fine vita, che viene quindi continuamente procrastinata e delegata ad altri, tanto che sempre più spesso le rianimazioni si trovano a doversi confrontare anche con familiari di pazienti con una lunga storia di malattia. Dal punto di vista professionale il paziente che muore è un fallimento per il medico, soprattutto nei reparti chirurgici e si cerca di fare di tutto per evitarlo. L'accanimento terapeutico infine è anche il risultato dell'impostazione aziendalistica dell'assistenza e della necessità di rispettare determinati tempi e paramentri. Si muore sempre più spesso in rianimazione anche perché nessun reparto vuole più farsi carico del morente. La decisione del medico in merito a cosa dire al malato e ai suoi familiari coinvolge necessariamente anche il resto del personale, le infermiere in primis, che si vedono a loro volta costrette ad assecondarli senza una chiara consapevolezza di che cosa sia stato detto e a chi. L'assistenza al malato da parte di queste figure si fa, in queste condizioni, più difficile. Oltre a interventi chirurgici senza speranza, a rianimazioni impossibili, rientra nelle forme di accanimento anche la nutrizione artificiale quando non fa che nutrire la malattia oppure le speranze dei familiari senza dare alcuna prospettiva di vita dignitosa al malato. Dignità della morte sarebbe anche «lasciare a una persona un corpo di cui non vergognarsi, da non farsi schifo». E se talvolta la decisione di non intervenire è relativamente facile, come di fronte all'arresto cardiaco di un paziente neoplastico terminale - nel qual caso "non si muove una foglia, si aspetta» - in altri casi lo è meno. I luoghi del morire. Sebbene vi sia una forte pressione, a livello regionale e di Ulss, perché si muoia a casa, i servizi del territorio non sembrano essersi attrezzati. Il malato a casa viene poco supportato e per il tempo strettamente necessario all'espletamento delle prestazioni assistenziali. I vincoli economici e organizzativi sembrano spingere sempre di più nella direzione di un'organizzazione "a prestazione". Si eliminano le reperibilità notturna, del sabato e della domenica, il telefono delle persone reperibili non viene fornito alla famiglia che si deve quindi rivolgere guardia medica che, non conoscendo la situazione, facilmente suggerisce il trasferimento in ospedale. L'assistenza domiciliare è organizzata in modo rigido e con tempi non compatibili con situazioni in evoluzione e che richiedono risposte in tempi brevi. Il lavoro di chi fa assistenza domiciliare è organizzato a numero di prestazioni, «caso mai un paziente può essere considerato come due prestazioni se è grave» e gli operatori sono incoraggiati a privilegiare l'efficienza a scapito di altri aspetti. La figura del medico di base, nonostante la sua riconosciuta importanza, risulta spesso poco presente se non addirittura assente nell'ambito dell'assistenza al morente, specie nell'opinione dei medici ospedalieri. L'organizzazione dell'assistenza, che dovrebbe "girare intorno al paziente" in realtà "quando si tratta di applicarla è esattamente il contrario...". Le cose cambiano quando interviene un'associazione di volontariato. Ma questo crea una situazione a macchia di leopardo e può addirittura risultare controproducente nella misura in cui maschera un bisogno che è lasciato scoperto dal servizio sanitario e di cui usufruiscono solo i fortunati che dispongono sul territorio di questo tipo di associazioni. In ogni caso le associazioni si occupano spesso solo di malati oncologici, così come gli hospice, facendo dire a qualcuno che il malato oncologico è "privilegiato". Si fa notare come la cultura del morire a casa vada adeguatamente supportata a livello assistenziale perché non finisca per ripercuotersi negativamente su quei familiari che pure vorrebbero tenere il proprio familiare a casa, ma che non sono nelle condizioni per farlo. L'hospice è considerato una situazione comparabile a quella ospedaliera, ma ottimale dal punto di vista strutturale per quanto riguarda la possibilità dei familiari di stare con il proprio caro. Tuttavia, parlando dell'organizzazione territoriale attorno alla morte, si sottolinea l'importanza del "lavoro di squadra" e di mettere in rete tutti coloro che seguono il malato, altrimenti "uno entra all'ospedale, uno sta a casa, uno va all'hospice", viene a mancare una regia e la possibilità di porre il paziente al centro dei servizi. Il ruolo degli operatori. Paradossalmente non è stato facile per gli operatori individuare quale fosse il loro ruolo rispetto al morente. Qualcuno ammette di non sapere «che cosa sarebbe giusto che il medico facesse e l'infermiere facesse». I partecipanti ai focus group ammettono che i medici pongono in atto un comportamento di fuga nei confronti del morente. È compito del medico impostare la terapia del dolore anche se questo compito viene eluso frequentemente, tanto che sono talvolta le infermiere a richiamarli a questa necessità ed eventualmente a svolgere una selezione dei medici più sensibili. C'è da chiedersi perché, pur riconoscendo che uno degli elementi caratterizzanti la morte dignitosa sia l'assenza del dolore, i medici si sottraggano così frequentemente a questo dovere. La comunicazione di fine vita spetta al medico, ma gli infermieri svolgono un importante ruolo di "traduzione" al paziente e ai familiari. Anche per questo si sottolinea l'importanza di concordare all'interno dello staff la linea di condotta da tenere con il malato e con la sua famiglia. Le infermiere sono le prime ad auspicare che si proceda in questo senso e anzi insistono che in queste riunioni sia presente oltre alla caposala, anche l'infermiere, che ha il contatto diretto con i pazienti. Allo stesso modo le infermiere chiedono che prima ancora gli stessi medici concordino fra loro una linea di condotta comune per evitare che al cambio turno ci si trovi con un medico che la pensa in un altro modo e che procede in senso diverso, quando non opposto, rispetto a quello del turno precedente. Quello che viene denunciato, sia dai medici che dalle stesse infermiere è una tendenza all'efficientismo, ancora più evidente nelle infermiere di nuova formazione. Il fatto di avere tante cose da fare è a sua volta considerato un alibi dietro il quale ci si barrica perché «a volte il tempo se si vuole si trova però è molto meglio dire "guarda, ho un sacco di cose da fare!"». Le esperienze che vedono il coinvolgimento dello psicologo sottolineano l'importanza che questa figura sia a sua volta preparata ad affrontare lo specifico tema della terminalità della vita. In alcuni casi la funzione di sostegno dello psicologo è sostituita dal gruppo nel suo complesso in una sorta di auto-mutuo supporto, che potrebbe presentare qualche rischio di circolarità e di autoreferenzialità. Nell'ambito dell'assistenza a casa nelle fasi terminali un ruolo fondamentale dovrebbe essere svolto dal medico di famiglia che dovrebbe essere sempre presente e "accompagnare l'assistito e la famiglia". Sullo svolgimento di questo ruolo, però, le esperienze risultano diverse a seconda di chi le riporta: se è un Mmg a parlare sembra esso venga espletato, altrimenti se ne denuncia la latitanza. Ed è in particolare all'assenza di questa figura che viene ricondotta la difficoltà della famiglia a far morire il proprio caro a casa. Il paziente straniero. Com'è prevedibile, i problemi sono principalmente linguistici e culturali. Altri problemi potrebbero sorgere in relazione, a esempio, alla compatibilità delle pratiche religiose con le norme attuali, anche se per il momento si è deciso di non affrontarli, trovando rimedi ad hoc. Cosa si dovrebbe fare per rendere più dignitosa la morte? I partecipanti suggeriscono: strutture e attrezzature adeguate; formazione sulla palliazione, sulla comunicazione, sull'accompagnamento del morente; supporto psicologico degli operatori; mobilità degli operatori di area critica; disegno strategico che strutturi iniziative e interventi in una logica unitaria; presa in carico della situazione nel suo complesso a livello di assistenza domiciliare. Le proposte per permettere una morte dignitosa concernono innanzitutto una serie di aspetti strutturali (prevedere "aree per la morte" sia per il morente che per i familiari, anche dopo la morte, e predisporre anche per il trasporto della salma dei canali riservati e obitori accoglienti), ritenuti imprescindibili per permettere anche un diverso approccio in termini di relazione. Sempre gli infermieri e gli Oss di reparti critici rivendicano il diritto alla mobilità. Chi si trova a operare in questi reparti si sente alla fine ostaggio degli stessi. Il trasferimento non viene concesso perché sono reparti in cui nessuno vuole andare e questo va a scapito della buona relazione e dell'accompagnamento partecipato alla morte. In merito alla preparazione degli operatori, i partecipanti lamentano l'assenza di una formazione a monte, ma, ancor più, di una sul campo. L'hospice fa eccezione, ma la formazione, in questo caso, si struttura soprattutto nei termini di auto-formazione e selezione a priori del personale sulla base di caratteristiche personali e motivazione. Laddove una formazione viene offerta si sottolinea come la partecipazione coinvolga chi è più interessato, con il rischio che chi ne avrebbe più bisogno. Come modalità formative si suggeriscono quelle interattive (a es. con role playing) e per piccoli gruppi. Pur con tutte le riserve avanzate, l'aspetto formativo può assumere un ruolo fondamentale se inserito all'interno di un piano più generale che ne garantisca integrazione e continuità. Molte iniziative sono infatti sentite come "buttate lì". In questo vuoto formativo si fa pressante la richiesta di sostegno psicologico che esprime in parte una reale necessità ed è in parte da ricondurre a una impreparazione di fondo ad affrontare i risvolti psicologici dell'accompagnamento alla morte, aggravata dalla rigidità del sistema. In termini organizzativi una delle risposte prospettate per affrontare l'evento morte in modo quantomeno coerente tra i diversi operatori è rappresentata dalle riunioni di équipe, che in alcuni reparti sono quotidiane mentre in altri più estemporanee e spesso più legate alla comunicazione e condivisione della terapia in corso che alla scelta e condivisione dell'approccio da avere con il paziente. Tuttavia in generale si ribadisce la necessità di un disegno strategico complessivo, che fissi delle linee di indirizzo e delle priorità, all'interno del quale collocare coerentemente le diverse proposte. Per quanto riguarda il morire a casa, si sottolinea l'importanza di mettere nei fatti il paziente al centro di una rete di servizi che si faccia carico della situazione complessiva del paziente e della sua famiglia. Pagina a cura di: Camillo Barbisan (Bioeticista); Marco Bonetti Dirett. Osservatorio cure palliative e lotta al dolore Regione Veneto); Alessandra Feltrin (Centro trapianti - Regione Veneto); Sabrina Cipolletta (Psicologa ricercatrice - Università di Padova); Mauro Niero (Prof. metodologia della ricerca Università di Verona); Nadia Oprandi (Psicologa ricercatrice Università di Verona) Strutture e logistica. Il problema che si rileva più frequentemente è l'assenza di spazi idonei e di tempi adeguati a vivere in modo degno l'esperienza della morte e della perdita. Si muore in camere con molti letti o in corridoio dietro un paravento, in modo tale che né il morente, né i suoi familiari, possono essere tutelati nel bisogno di esprimere la propria sofferenza fisica e/o emotiva, che risulta esposta agli occhi e alla sensibilità dei pazienti, operatori e frequentatori dell'ospedale. Anche gli obitori risultano spesso inadeguati ad accogliere i familiari e le loro esigenze, perché obsoleti o perché le nuove strutture non hanno previsto stanze per i parenti e per l'esposizione della salma
Questioni relative al morire nei luoghi di cura�? Organizzazione assistenza. La dimissione del morente è un evento ancora piuttosto raro. Se si muore ancora troppo spesso in un letto d'ospedale, anziché a casa propria, è a causa di un problema culturale, ma forse anche per questioni legate all'organizzazione dei servizi territoriali, all'educazione delle famiglie e alla pianificazione degli interventi. Sembra di poter rilevare che la dimissione del morente dovrebbe essere proposta, incoraggiata e organizzata con cura molto più spesso di quanto attualmente accade. Simili considerazioni valgono per i ricoveri in hospice �? Formazione del personale. Il personale sanitario sembra aver �? perduto la capacità di confrontarsi con l'evento morte e si sente sguarnito rispetto alle richieste di assistenza e sostegno che derivano dal morente e dai familiari che subiscono la perdita. Privi di una specifica formazione, i sanitari finiscono col pensare che queste esigenze non siano un preciso obiettivo assistenziale e quindi non rientrino nel loro ruolo �? Approccio di cura. La carenza di personale e di tempo, il privilegiare gli aspetti "tecnici" della cura, riduce i momenti da dedicare all'accompagnamento e al supporto dei pazienti e delle famiglie, con l'esito che queste persone sono lasciate sole e spesso sentite come presenze ingombranti o improprie nei reparti ospedalieri. Al contrario, uno dei bisogni fondamentali dei familiari nel momento della perdita è quello di poter stare accanto al morente e al defunto. Affine a questo aspetto è la constatazione che la pratica dell'igiene e della ricomposizione della salma in alcune realtà non viene eseguita in reparto, ma il cadavere arriva in obitorio senza essere preparato al trasferimento, con evidente mancanza di rispetto per la dignità del defunto �? Informazione. Risulta carente, all'interno delle nostre strutture sanitarie, l'informazione sugli aspetti procedurali assistenziali relativi alla morte. I familiari hanno bisogno di essere informatirispetto ai modi, ai tempi, ai percorsi; tuttavia la possibilità di accedere a tali informazioni è resa difficile dalla mancanza di referenti e di canali di comunicazione specifici. Talvolta, per esempio, i familiari non vengono informati che sul cadavere del loro congiunto viene eseguito il riscontro diagnostico, oppure non sanno come richiedere l'accompagnamento religioso Privacy dei congiunti. L'ampio risalto che i mezzi di comunicazione riservano alle notizie provenienti dal mondo sanitario, richiede che gli operatori considerino accuratamente le ricadute che le loro dichiarazioni possono provocare. Se questo è evidente e normato per gli ospiti delle strutture sanitarie, di non minore intensità è il rispetto dovuto al defunto e ai suoi familiari. Si rende pertanto opportuno verificare la necessità di esplicitare adeguate modalità di comunicazione Multiculturalità. Un richiamo a parte, in quanto trasversale ai precedenti ma specifico nei contenuti, merita il problema della multiculturalità e la inadeguatezza delle strutture di cura rispetto ai bisogni, alle pratiche, alle tradizioni legate al morire e alla morte nelle altre culture e religioni, che ora si esprimono nel nostro territorio. Questo aspetto di novità richiede interventi strutturali e organizzativi, iniziative formative, strategie comunicative e approcci assistenziali specifici
Friuli, Regione assicura-tutti
Il Sole 24 Ore Sanita' del 25/11/2008 N. 46 25 NOV.-1 DIC. 2008 p. 16
Risparmi di oltre il 15% - Colpa grave coperta per medici e infermieri
Definizione dei sinistri col turbo, costi a picco e rischio "colpa grave" coperta per due terzi dei medici e un terzo degli infermieri di un'intera Regione - il Friuli Venezia Giulia - che nel panorama nazionale continua a distinguersi per l'unicità del modello di risk management adottato: la gestione assicurativa centralizzata di tutto il Servizio sanitario regionale. Mutuato dal mondo anglosassone - in particolare dal sistema di gestione complessivo dei rischi sperimentato in Scozia - e appaltato alla società di brokeraggio Willis che ne è stata l'ideatrice creatrice, il modello friulano - introdotto nel 2005 - si fonda sul reperimento di una polizza unica per la copertura della responsabilità civile verso terzi e verso gli operatori (Rct/ Rcto) delle strutture sanitarie consorziate. Caratteristica peculiare della polizza unica, il pieno controllo e la piena gestione dei sinistri da parte della Regione tramite il Centro servizi condivisi (Csc) creato nel 2004 e titolare - in base al modello - del monitoraggio e della gestione "in autonomia" dei sinistri di piccola e media entità, con benefici effetti sul premio polizza e con risparmi complessivi di oltre il 15 per cento. Il tutto a fronte di un monte sinistri assestato su 350-400 l'anno, in linea con gli anni precedenti e con una quota di eventi negativi accertata per il 2006 che incide sullo 0,19% dei dimessi. Il meccanismo, ormai a regime, coinvolge tutte le aziende del Ssr friulano - 6 aziende sanitarie locali (Triestina, Isontna, Alto Friuli, Medio Friuli, Bassa Friulana, Friuli occidentale), 3 aziende ospedaliere (Trieste, Udine, Pordenone) e 2 Irccs (il Burlo Garofalo di Trieste e il Centro riferimento oncologico-Aviano) - e presenta numeri consorziali da capogiro. Nella rete di copertura figurano infatti tra l'altro le attività riferite a 23 presìdi ospedalieri; oltre 184mila dimessi; 19.500 dipendenti; 3.150 medici e 10mila infermieri. Proprio a questi ultimi si indirizza la polizza colpa grave voluta dalla Regione per risolvere il rischio di conflitto tra operatore e struttura sanitaria, o meglio di conflitto tra i rispettivi assicuratori, in caso di rischi non coperti dalla polizza aziendale pubblica. Attivato dallo stesso assicuratore (la Hdi Gerling Industrie Versicherung Ag per il triennio 2008-2010) e con le condizioni normative della polizza della struttura, il contratto assicura i rischi relativi alle responsabilità proprie dei singoli, con oneri a carico di questi ultimi, con massimali da 1,5 o 5 milioni di euro. Dopo il primo biennio di gestione centralizzata, la copertura assicurativa per i rischi di responsabilità civile è stata riaggiudicata per il triennio 2008/2010 al costo annuo complessivo di 4.031.000,00 euro (-4% rispetto alla precedente), e con una significativa riduzione della franchigia per sinistro, passando da 500 a 400mila euro (-20%). S.Tod.
La situazione assicurativa di partenzaCro Ass 1 Ass 2 Ass 3 Ass 4 Ass 5 Ass 6 Burlo Ao Ts Ao Pn Ao Ud Zurigo Zurigo Zurigo Lloyd's LIoyd's Azienda Generali Massimali Fondiaria-Sai Premi annuali Policlinico Lloyd's Qbe internacional insurance limited Qbe internacional insurance limited Ergo assicurazioni Fondiaria-Sai, Faro, Lloyd Adriatico, Liguria La franchigia per sinistro va da 100 a 50mila euro, fino a 1,5 milioni di euro. Le franchigie annue vanno da zero a 500mila euro fino a oltre 1 milione di euro I massimali variano da azienda e azienda, partendo da 1,5 milioni di euro a sinistro, passando per i 2,5 milioni, fino a toccare in un caso quota 7,7 milioni Variabilità estrema; superano i 15 mln di euro annui, escluse le franchigie Compagnia Franchigia
L'evoluzione dei sistemi finanziamento dei rischi sanitari
Gestione sinistri:
il prima...Sinistri del 2004 Sinistri del 2005 Dati 10/2007 51% 42% 49% 58% Sinistri in corso di definizione Sinistri analizzati e definiti
... e il dopo
Sinistri del 2006 Sinistri del 2007 Dati 10/2008 75% 48% 25% 52% Sinistri in corso di definizione Sinistri analizzati e definiti
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