La Stampa del 22/11/2008 ed. TORINO p. 63
Protestano 300 infermieri neolaureati: «In vista del rinnovo delle cariche, il Collegio Infermieri della provincia di Torino ha deciso di non convocare più il Consiglio che dovrebbe provvedere alla nostra iscrizione. Così nessuno potrà partecipare ai prossimi bandi di concorso al Mauriziano, al Gradenigo e al Martini. Mentre ovunque si denuncia la carenza cronica di infermieri ci viene di fatto negata la possibilità di lavorare, rinforzando gli organici». I 300 infermieri hanno diffidato formalmente il Collegio e il suo presidente Giuseppe Rovelli, che risponde: «Quanto prima provvederemo all'iscrizione di tutti coloro che ne faranno richiesta, avendone i requisiti, compresi i nuovi laureati. Vorrei però ricordare che, a termini di legge, si hanno tre mesi di tempo per provvedere all'iscrizione al Collegio Ipasvi di appartenenza». In questo clima di incertezza e polemica, all'ospedale San Giovanni Bosco si è deciso di superare l'ostacolo con un provvedimento significativo: «Per il prossimo concorso accetteremo le autocertificazioni degli infermieri neolaureati, che potranno fornirci in un secondo momento i documenti dell'avvenuta iscrizione».\
«Regolari le assunzioni dei precari»
Il Tempo del 22/11/2008 ed. Lazio Nord
Wanda Cherubini «Vogliamo ristabilire un clima di serenità tra i lavoratori della Asl». Questo lo scopo della conferenza stampa indetta ieri dai sindacati in merito alla stabilizzazione degli oltre 300 lavoratori precari all'interno dell'Azienda. «Vogliamo riportare la serenità tra il personale della Asl - ha esordito Angelo Sambuci della Uil - e difendere le trattative sindacali. La nostra Ausl è stata la prima a riuscire a stabilizzare tutti i suoi precari, grazie agli accordi regionali». «Siamo d'accordo che tutto il precariato debba essere sanato» - gli ha fatto eco Filippo Perazzoni dell'Ipasvi. «Gli accordi stipulati con la Regione - ha precisato Sergio Riccardi della Cgil - sono stati corretti e precisi». Vittorio Ricci della Fials ha aggiunto: «Se poi nei numeri ci possa essere stato qualche caso particolare di parentela - ha precisato - sfido a verificare se negli altri enti pubblici non ci sia una certa percentuale che abbia comunque una parentela». «È vergognoso avere tanto precariato nella sanità» - ha tuonato Aurelio Neri della Rdb. «Il 15 marzo 2007 - ha ricordato Mario Malerba della Cisl - c'è stato l'accordo tra i sindacati e la Regione e da quel momento a Viterbo abbiamo attivato le procedure di stabilizzazione dei precari. Siamo per l'internalizzazione delle attività, che porterà ad un risparmio annuo di 386 mila euro».
Aperti 23 «Puntoinsieme»
La Nazione del 22/11/2008 ed. Lucca p. 8
SONO STATI inaugurati ieri i 23 «Puntoinsieme» presenti sul territorio dell'Azienda USL 2: 14 sono nella Piana e 9 nella Valle del Serchio. L'unica cerimonia si è svolta nella sede di viale Giusti. I «Puntoinsieme» sono rivolti agli anziani non autosufficiente. Vi si trovano le risposte per poter gestire al meglio l'intero percorso assistenziale: sociale e sanitario. Sportelli dunque di prima accoglienza e ascolto creati dalla Regione Toscana. La rete dei «Puntiinsieme» è frutto dell'impegno di Azienda Usl e della Conferenza dei sindaci, in particolare tramite il lavoro delle due articolazioni zonali. Hanno sottolineato l'importanza dell'iniziativa il direttore dell'Azienda Usl Oreste Tavanti, il presidente della Conferenza dei sindaci Giorgio Del Ghingaro, l'assessore regionale al bilancio Giuseppe Bertolucci, l'assessore al sociale del Comune di Lucca Angelo Monticelli, l'assessore provinciale al sociale Mario Regoli, il presidente dell'Ordine dei medici Umberto Quiriconi e il presidente del Collegio Ipasvi Maria Cristina Orsi, oltre ai responsabili di molti dei 23 sportelli presenti a Lucca e in Valle del Serchio. Nel territorio dell'Azienda Usl questi sportelli costituiscono una rete di accoglienza collegata con i 2 «Punto unico di accesso e centrale operativa per l'assistenza distrettuale». Le 14 sedi di «Puntoinsieme» della Piana si trovano a Lucca, in viale Giusti; a S.Anna; nel centro; Lucca, a S.Vito; presso i servizi sociali comunali; al servizio sociale di Ponte e Moriano. A Capannori, in piazza Moro; a Marlia; a S.Leonardo in Treponzio; a Montecarlo presso i servizi sociali comunali e al Turchetto; ad Altopascio, Pescaglia e Villa Basilica presso i servizi sociali comunali. I 9 «Puntoinsieme» della Valle del Serchio si trovano presso i comuni di: Bagni di Lucca, Barga, Borgo a Mozzano,Coreglia Antelminelli, e presso i centri socio-sanitari di Fornaci di Barga, Fornoli, Gallicano, Piazza al Serchio, oltre alla centrale di Castelnuovo.
La doppia faccia della sanità:
troppi medici, pochi infermieri
Giornale di Brescia del 23/11/2008 p. 45
Secondo uno studio dell'Ocse, In Italia mancano 60.000 infermieri mentre abbondano i medici ROMAL'Italia è il Paese dei camici bianchi, con il più alto numero al mondo di medici per abitanti, mentre c'è carenza cronica di infermieri, figure professionali sempre meno reperibili sul mercato. Una situazione che rischia di avere gravi ripercussioni sul sistema pubblico di assistenza e che va dunque «risolta al più presto». A fotografare l'emergenza è il Rapporto Ocse 2008 sulle risorse umane italiane in ambito sanitario, che avverte: l'assunzione di personale paramedico straniero potrebbe rappresentare una soluzione, se l'eccessiva burocrazia italiana non rendesse tale procedura estremamente difficile. La sanità rischia il collasso La popolazione italiana è una delle più vecchie al mondo: quasi il 20% supera i 65 anni e nel 2050 circa l'8% degli italiani avrà più di 85 anni. Il sistema sanitario italiano, al momento, afferma l'Ocse, «potrebbe non essere in grado di far fronte a questi cambiamenti, in particolare per quanto riguarda l'assunzione del personale paramedico». Si calcola infatti che la carenza di infermieri, soprattutto al Nord, aumenti ogni anno a causa dello squilibrio tra i pensionamenti (17.000 l'anno) e le assunzioni (8.000 l'anno). L'Italia ha il più alto numero al mondo di medici per abitante: più di 600 ogni 100.000 abitanti nel 2005. I medici appartenenti alla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) sono circa 370 mila, di cui un terzo lavora negli istituti pubblici. Inoltre, secondo l'Ocse, la competizione tra medici nel settore pubblico è molto alta e spesso i più giovani devono aspettare a lungo prima di ritagliarsi un posto di lavoro. D'altra parte, l'Ocse sottolinea come il mercato del lavoro italiano in ambito sanitario soffra di una «cronica mancanza di fondi, scarse opportunità di carriera e nepotismo, risultando poco attraente per professionisti stranieri». Il settore infermieristico deve far fronte al problema opposto. L'Italia ha meno infermieri che dottori (348.415 nel 2005), la maggior parte dei quali (70%) lavora in strutture pubbliche. Secondo la Federazione collegi infermieri (Ipasvi), nel 2006 la carenza era di circa 60.000 unità. Servirebbero gli stranieri, ma... La carenza di infermieri, sottolinea l'Ocse, «potrebbe essere in parte colmata dall'assunzione di personale estero. Ma a causa della competizione con altri Paesi, che offrono salari più alti e condizioni di lavoro migliori, il numero di infermieri stranieri in Italia è ancora molto basso: 6.730 nel 2005, di cui un terzo proveniente dall'Unione europea». Gli infermieri che arrivano hanno mediamente tra i 20 e i 39 anni e provengono da Romania (60%) e Polonia (25%). Malgrado la forte domanda, l'Italia, conclude l'Ocse, «rimane un Paese poco attraente per gli infermieri stranieri: lo stipendio non è competitivo (circa 1.600 euro al mese), le politiche di immigrazione sono sfavorevoli e la scarsa diffusione della lingua italiana all'estero rende la comunicazione più difficile». ©
Secondo uno studio dell'Ocse, In Italia mancano 60.000 infermieri mentre abbondano i medici ROMAL'Italia è il Paese dei camici bianchi, con il più alto numero al mondo di medici per abitanti, mentre c'è carenza cronica di infermieri, figure professionali sempre meno reperibili sul mercato. Una situazione che rischia di avere gravi ripercussioni sul sistema pubblico di assistenza e che va dunque «risolta al più presto». A fotografare l'emergenza è il Rapporto Ocse 2008 sulle risorse umane italiane in ambito sanitario, che avverte: l'assunzione di personale paramedico straniero potrebbe rappresentare una soluzione, se l'eccessiva burocrazia italiana non rendesse tale procedura estremamente difficile. La sanità rischia il collasso La popolazione italiana è una delle più vecchie al mondo: quasi il 20% supera i 65 anni e nel 2050 circa l'8% degli italiani avrà più di 85 anni. Il sistema sanitario italiano, al momento, afferma l'Ocse, «potrebbe non essere in grado di far fronte a questi cambiamenti, in particolare per quanto riguarda l'assunzione del personale paramedico». Si calcola infatti che la carenza di infermieri, soprattutto al Nord, aumenti ogni anno a causa dello squilibrio tra i pensionamenti (17.000 l'anno) e le assunzioni (8.000 l'anno). L'Italia ha il più alto numero al mondo di medici per abitante: più di 600 ogni 100.000 abitanti nel 2005. I medici appartenenti alla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) sono circa 370 mila, di cui un terzo lavora negli istituti pubblici. Inoltre, secondo l'Ocse, la competizione tra medici nel settore pubblico è molto alta e spesso i più giovani devono aspettare a lungo prima di ritagliarsi un posto di lavoro. D'altra parte, l'Ocse sottolinea come il mercato del lavoro italiano in ambito sanitario soffra di una «cronica mancanza di fondi, scarse opportunità di carriera e nepotismo, risultando poco attraente per professionisti stranieri». Il settore infermieristico deve far fronte al problema opposto. L'Italia ha meno infermieri che dottori (348.415 nel 2005), la maggior parte dei quali (70%) lavora in strutture pubbliche. Secondo la Federazione collegi infermieri (Ipasvi), nel 2006 la carenza era di circa 60.000 unità. Servirebbero gli stranieri, ma... La carenza di infermieri, sottolinea l'Ocse, «potrebbe essere in parte colmata dall'assunzione di personale estero. Ma a causa della competizione con altri Paesi, che offrono salari più alti e condizioni di lavoro migliori, il numero di infermieri stranieri in Italia è ancora molto basso: 6.730 nel 2005, di cui un terzo proveniente dall'Unione europea». Gli infermieri che arrivano hanno mediamente tra i 20 e i 39 anni e provengono da Romania (60%) e Polonia (25%). Malgrado la forte domanda, l'Italia, conclude l'Ocse, «rimane un Paese poco attraente per gli infermieri stranieri: lo stipendio non è competitivo (circa 1.600 euro al mese), le politiche di immigrazione sono sfavorevoli e la scarsa diffusione della lingua italiana all'estero rende la comunicazione più difficile». ©
Giornale di Brescia del 23/11/2008 p. 45
ROMAIl Governo «intervenga, con misure ad hoc e maggiori investimenti» per far fronte alla «emergenza della carenza di infermieri in Italia». A chiederlo è la presidente della Federazione dei collegi degli infermieri (Ipasvi) Abnnalisa Silvestro, commentando i dati del Rapporto Ocse 2008: «Se non ci saranno azioni concrete - ha annunciato Silvestro - ricorreremo ad eclatanti azioni di protesta». «Governo, Ministero e Regioni nulla stanno facendo - ha affermato Silvestro - per trovare una soluzione, anche se tutti prendono atto di una carenza ormai drammatica». Tra le richieste dell'Ipasvi quella, ad esempio, di «aumentare il numero di posti all'università, indicazioni alle Regioni per riempire i posti vacanti e maggiori investimenti per il settore». I professionisti stranieri, ha rilevato la presidente Ipasvi, «possono aiutare ma non rappresentano una soluzione strutturale». Una situazione «drammatica» che rischia di «mettere a rischio la sicurezza di pazienti e degli stessi infermieri, costretti - ha denunciato Silvestro - a prolungare i turni di lavoro». ©
Aperti 23 sportelli «PuntoInsieme»
per l'assistenza a chi ha più di 65 anni
Il Tirreno del 22/11/2008 ed. Lucca p. 5
LUCCA. Avete in famiglia un anziano non autosufficiente e non sapete come gestire la situazione? Adesso è possibile rivolgersi al "PuntoInsieme", sportello di prima accoglienza e ascolto creato dalla Regione Toscana. Sono quasi 300 gli sportelli a disposizione delle famiglie toscane, distribuiti in maniera capillare nelle varie realtà. Sul territorio dell'Asl 2 gli sportelli presenti sono 14 nella Piana di Lucca e 9 nella zona Valle del Serchio.Hanno sottolineato l'importanza dell'iniziativa il direttore dell'Asl 2 Oreste Tavanti, il presidente della Conferenza dei sindaci Giorgio Del Gingaro, l'assessore regionale al bilancio Giuseppe Bertolucci, l'assessore al sociale del comune di Lucca Angelo Monticelli, l'assessore provinciale al sociale Mario Regoli, il presidente dell'Ordine dei medici Umberto Quiriconi e il presidente del Collegio Ipasvi Maria Cristina Orsi, oltre ai responsabili di molti dei 23 sportelli presenti a Lucca e in Valle del Serchio.I 9 Punti Insieme della Valle del Serchio (comune di Bagni di Lucca, comune di Barga, comune di Borgo a Mozzano, sede Pua di Castelnuovo Garfagnana, comune di Coreglia Antelminelli, Centro socio sanitario Fornaci di Barga, Centro socio sanitario Fornoli, Centro socio sanitario Gallicano, Centro socio sanitario Piazza al Serchio) sono collegati e fanno capo alla centrale di Castelnuovo.Le 14 sedi di "PuntoInsieme" della Piana di Lucca (Lucca, distretto viale Giusti; Lucca, Centro socio sanitario S. Anna; Lucca, Css Lucca centro; Lucca, Css S. Vito; Lucca, Servizi sociali comunali; Lucca, Servizio sociale di Ponte e Moriano; Capannori, Css piazza Moro; Capannori, Css Marlia; Capannori, Css S. Leonardo in Treponzio; Montecarlo, Servizi sociali comunali; Montecarlo, Css Turchetto; Altopascio, Servizi sociali comunali; Villa Basilica, Servizi sociali comunali; Pescaglia, Servizi sociali comunali) sono collegati e fanno capo alla centrale di Lucca.Gli orari di apertura sono diversificati nelle varie sedi, ma in ogni centro il servizio è assicurato almeno per tre giorni alla settimana.Ogni "PuntoInsieme" si avvale di operatori dipendenti, in media due per ogni sede, anche con ruoli diversi (sanitario, sociale, amministrativo) individuati presso le varie strutture, che accolgono le domande di segnalazione per persone non autosufficienti attraverso la compilazione di una scheda.L'obiettivo prioritario è quello di semplificare l'accesso ai servizi dei cittadini, evitando loro viaggi inutili da una struttura all'altra (anche per chi si presenta fuori orario rispetto a quello ufficiale del "PuntoInsieme").Allo sportello i cittadini trovano un operatore che riceve la loro segnalazione e compila una scheda con tutti i dettagli sullo stato di salute della persona per la quale si richiede sostegno.Le richieste vengono poi esaminate dall'Unità di valutazione multidisciplinare (Uvm), un gruppo di esperti composto da un medico di distretto, un assistente sociale e un infermiere professionale.Di volta in volta l'unità potrà essere integrata dal medico di medicina generale dell'assistito e da specialisti ed operatori della riabilitazione.R.L.
«Infermieri, nessun problema per le iscrizioni»
Cronaca Qui Torino del 22/11/2008 p. 10
Il presidente del Collegio Ipasvi di Torino, Giuseppe Rovelli, rispetto all'articolo "Impossibile iscriversi all'Albo, niente lavoro agli infermieri" intende fare alcune precisazioni. «Le notizie riportate non corrispondo del tutto a verità. Da alcuni giorni stiamo ricevendo le comunicazioni preoccupate di alcuni infermieri neolaureati che paiono convinti di non poter essere iscritti al Collegio Ipasvi. Si tratta di una convinzione errata. Il Collegio ha ricevuto tutta la documentazione dei neolaureatie quanto prima provvederà all'iscrizione. Ricordiamo che a termini di legge l'iscrizione può avvenire entro tre mesi dalla presentazione della domanda e vorremmo tranquillizzare i neolaureati che non esiste alcun problema riguardo le iscrizioni». «Mi rendo conto della grande carica che i nuovi giovani laureati hanno nell'affrontare la professione e mi complimento per il bel risultato che hanno conseguito alla conclusione del loro percorso di studi. Vorrei però rammentare che nell'ultimo Consiglio di Collegio, del 4 novembre, abbiamo deliberato l'iscrizione di 40 nuovi giovani infermieri. E nel prossimo deliberemo l'iscrizione di chi ha presentato domanda, naturalmente dopo averne valutato i requisiti. Mi domando perché, ora, sia improvvisamente esplosa questa immotivata preoccupazione. Dubbi che devono esser fugati anche alla luce dell'iniziativa dell'AslTO2 la quale ha affermato quanto segue: "AslTO2 è in grado di tranquillizzare i giovani infermieri precisando che, per i concorsi da essa banditi saranno ammessii candidati che autocertificheranno di aver presentato al Collegio degli Infermieri domanda di iscrizione. È naturalmente posta condizione di sostituire l'autocertificazione con il certificato non appena possibile". Mi preme sottolineare, infine, che l'attività del Collegio Ipasvi, nonostante l'imminenza delle elezioni che rinnoveranno il Consiglio Direttivo, non è affatto bloccata».
L'ospedale S. Spirito assume nuovi addetti Sostituiranno
il personale che da febbraio passerà nell'hospice
La Stampa del 22/11/2008 , articolo di FRANCA NEBBIA ed. ALESSANDRIA p. 59
CASALE MONFERRATOAssunzioni verso fine anno o inizio 2009 all'ospedale Santo Spirito. Saranno infatti assunti 6 infermieri professionali e 6 Oss (operatori socio sanitari) per sostituire coloro, già dipendenti del nosocomio, che verranno impiegati nella struttura dell'hospice che aprirà ufficialmente a febbraio. Oltre a questi, l'equipe prevede psicologi, due medici, fisioterapisti e personale amministrativo, già in forza all'ospedale. Oltre, naturalmente, personale volontario di Vitas.«I dipendenti che saranno impegnati all'hospice - dice il direttore sanitario, Gianfranco Ghiazza - hanno già seguito particolari corsi di formazione e, data la delicatezza del settore di cui si occuperanno, è opportuno impiegarli in quel reparto. Gli infermieri che saranno sottratti ai vari reparti saranno invece essere sostituiti con nuovo personale».Intanto però si sta affrontando il problema di Pediatria, che in primavera (marzo/aprile) avrà nuovamente la degenza, che era stata abolita anni fa. Anche in questo caso serviranno nuovi infermieri e la dirigenza sta esaminando il problema dal punto di vista logistico, nel senso che «ci sarebbero economie di esercizio - come spiega Ghiazza - se il reparto continuasse a rimanere accanto al nido, che già impiega personale formato per assistenza all'infanzia».Entro fine gennaio verranno intanto esaminate le candidature che sono state presentate per i primariati di Medicina e Cardiologia, che - a detta del direttore sanitario - sono comunque tutte di ottimo livello. Un medico in più, esperto nel settore epidemiologico, verrà assunto al Centro di ricerca, prevenzione e sorveglianza per l'amianto. Manterrà i rapporti con il servizio regionale epidemiologico e nello stesso centro entreranno due borsisti, uno con competenze giuridiche (per raccogliere tutta la documentazione relativa a sentenze che riguardino l'amianto), l'altro con competenze mediche per raccogliere a livello internazionale tutte le informazioni sulle ricerche sul mesotelioma e le mallattie correlate all'amianto.
Ospedale, chirurgia da potenziare
Il Messaggero del 22/11/2008 , articolo di RENZO BERTI ed. UMBRIA p. 44
In forte crescita il numero di interventi. E ora cresce anche l'organicoUna crescita costante quella dell'attività operatoria dell'ospedale San Matteo degli Infermi. Con numeri che, nel caso dell'ortopedia, lo scorso anno sono stati superiori persino a quelli dell'ospedale di Foligno. Anche quest'anno, l'unità di chirurgia e quella di ortopedia, senza contare quella di ginecologia, effettueranno nelle sette sale operatorie in attività oltre tremila interventi. Uno standard di primissimo livello che costituisce la migliore garanzia contro i presunti pericoli di ridimensionamento dell'ospedale spoletiono. E che porterà ad una riorganizzazione dell'attività del blocco chirurgico con un potenziamento degli attuali organici. «Attualmente dobbiamo fare i conti con una carenza di organico nel settore paramedico ed infermieristico -dice il direttore sanitario del San Matteo degli Infermi, Luca Sapori- E quindi c'è la necessità di recuperare personale per potenziare quello in dotazione alle unità di chirurgia e di ortopedia che sono in sofferenza per la crescita esponenziale dell'attività operatoria. Un dato che dimostra gli elevati standard qualitativi raggiunti dall'equipe del dottor Casciola e da quella del dottor Ottaviani».Già, ma come sarà recuperato personale infermieristico considerando che le graduatorie dell'ultimo concorso sono ormai chiuse? In un modo molto semplice: recuperando risorse umane all'interno dello stesso presidio applicando il turn-over laddove è possibile. Il piano della direzione di presidio prevede di recuperare cinque unità all'interno dell'attività chirurgica di ginecologia. Una mossa che, all'inizio, aveva suscitato qualche malumore tra il personale assegnato alle sale operatorie coordinate dal dottor Martines. Malumori che ora stanno rientrando. «L'attività infermieristica può essere svolta efficacemente anche dal personale ostetrico che -dice Sapori- sarà potenziato adeguatamente attraverso nuove assunzioni in organico». Insomma, le esigenze di un futuro ormai prossimo, legato anche allo sviluppo di nuove specializzazioni chirurgiche come quella oncologica, saranno risolte con un ritorno al passato quando nel reparto di ginecologia ed ostetricia, in ossequio al nome, operavano solo ed esclusivamente ostetriche e non infermiere come è poi avvenuto negli anni più recenti.
«Un sistema per 'allertare' polizia e pompieri»
Il Resto del Carlino del 22/11/2008 ed. Modena p. 7
E' LA TEMPESTIVITÀ degli interventi, in molti casi, a permettere di salvare la vita alle persone. E' per questo che il 118 è organizzato in maniera 'chirurgica' con mezzi e operatori dislocati in ogni angolo della provincia. Modena soccorso può contare su 13 ambulanze con infermiere, due con il medico e tre ad equipaggio misto. Ci sono anche due auto mediche, un elicottero con base a Pavullo e 41 ambulanze con soccorritori volontari. Sono proprio loro, i volontari, i fiori all'occhiello del nostro sistema di emergenza che, insieme al personale istituzionale, garantiscono l'aiuto richiesto in varie parti del territorio. «La nostra organizzazione - aggiunge Marilena Campisi, responsabile del 118 - è caratterizzata dalla presenza di volontari che vanno a integrare gli operatori istituzionali. Si tratta di una realtà importante che ci permette di coprire in modo capillare il territorio». Il personale di Modena Soccorso è caratterizzato da un organico vasto, fatto di 120 operatori tra medici, infermieri, autisti e coordinatori, ai quali bisogna aggiungere il personale di pronto soccorso disclocato nei vari Comuni e l'esercito di volontari. Esiste poi un rigido protocollo di intervento, che permette di portare il paziente nell'ospedale giusto. Per esempio, i traumi gravi vengono centralizzati all'ospedale di Baggiovara dove esiste un trauma team, mentre per quanto riguarda gli infartuati, sono dirottati negli ospedali dove esistono i laboratori di emodinamica, cioè Baggiovara e Policlinico. «Chi sente i tipici dolori da infarto - aggiunge Campisi - chiami il 118. Consigliamo di non andare all'ospedale da soli, perché si rischia di allungare i tempi dei soccorsi. L'aiuto dei medici e degli infermieri arriva sempre prima chiamando l'ambulanza». Il 118 si sta attezzando anche per quanto riguarda gli arresti cardiocircolatori che nell'87 per cento dei casi portano alla morte: le forze dell'ordine e i vigili del fuoco sono già stati dotati di defribillatori, ma il progetto 'codice blu' prevede l'installazione di un vero e proprio allarme che attivi polizia, vigili urbani, carabinieri e pompieri in modo che se l'ambulanza dovesse tardare, ci sia qualcuno addestrato per prestare il primo soccorso. Anche di questo si parlerà il 13 dicembre in un congresso formativo che si terrà a Modena. val. b.
Se la cicogna fa lo straordinario
Il Secolo XIX del 22/11/2008 ed. Savona p. 40
record di nascite al san paolo In meno di due giorni nati 18 bambini. Mancano i letti, mamme ospitate in ginecologiaSavona .C'era un allegro trambusto ieri e l'altro ieri nel reparto di Ostetricia dell'ospedale San Paolo dove, nel giro di poco meno di due giorni, sono nati ben 18 bambini. Un trambusto che oltre a ravvivare l'atmosfera in Ostetricia ha contagiato anche il reparto di Ginecologia dove sono state ospitate alcune delle puerpere dal momento che le camere di ostetricia erano già tutte occupate.Un carico straordinario e inaspettato di lavoro che ha impegnato ma soprattutto fatto la felicità delle cinque ostetriche in servizio, divise tra sala parto e sala travaglio e il personale infermieristico, oltre a pediatri e ginecologi. Per non parlare delle infermiere addette alla nursery costrette a darsi un gran da fare tra bebè piangenti in attesa della poppata, piccoli a cui fare il bagnetto, qualcuno da cambiare e gli altri da sottoporre alla pesata giornaliera.Il massimo della tensione è arrivato nella mattinata di ieri quando praticamente in contemporanea sono nati 5 bambini. Qualche partoriente è stata "ospitata" in sala travaglio dove poi ha dato alla luce il bebè ma vista l'emergenza e il risultato ne è valsa la pena. Tutto è andato per il meglio sia per le mamme, estremamente collaborative e preparate, sia per i bebè.«Eravamo tutti in allerta. Si tratta di un caso eccezionale che ci ha costrette ad un super lavoro ma che ha dato un'enorme soddisfazione - dice Lia Minetti, capo ostetrica che ha fatto venire al mondo oltre 13.000 pargoli - i parti sono andati tutti bene, la maggior parte sono stati naturali, pochissimi i cesarei. Le mamme hanno collaborato e stanno tutte bene. Lo stesso vale per i neonati. La cosa eccezionale è che le mamme si stanno aiutando tra loro. Chi è al secondo o terzo figlio dà consigli e aiuta le altre. E' la tipica solidarietà che si crea tra madri in questi momenti e che nell'occasione è resa ancora più forte dal gran numero di parti così ravvicinati». Ma la capo ostetrica Minetti spezza una lancia anche a favore dei papà che negli ultimi anni sono sempre più coinvolti sia in sala parto sia alle prese con pannolini e cambi. Il loro "lavoro" inizia ai corsi pre-parto, dove sono pienamente coinvolti, passa in sala parto (il momento più difficile e di tensione per il sesso forte che in questo caso dimostra tutta la sua fragilità) e prosegue in reparto e poi a casa. «Anche i papà stanno collaborando - continua la capo ostetrica - e cercano di rendersi utili e dando una mano come possono».Il reparto del padiglione Astengo è insomma diventato una sorta di piccola comunità dove mamme, papà, e personale infermieristico e ospedaliero lavorano per fare fronte all'improvviso aumento dell'indice di natalità cittadino. All'affollamento in reparto corrisponde la stessa situazione alla nursery.«La nursery è bella piena ma non siamo ancora arrivati al punto di dovere mettere due bambini in un'unica culla - scherza la Minetti - scherzi a parte siamo attrezzati ed ogni bambino ha la sua culla e tutto lo spazio che gli serve per il sonnellino». Al contrario di quello che si potrebbe pensare la maggior parte dei bebè sono figli di mamme residenti nella provincia di Savona mentre i bambini stranieri sono soltanto due, uno albanese e uno marocchino. Altro dato in controtendenza è che i maschietti, per ora sono la maggior parte del "gruppo dei 18".«Ci sono altri parti in programma - conclude Lia Minetti - e ci stiamo preparando ad accogliere anche i prossimi nuovi nati». Nel frattempo qualche mamma sarà dimessa e lascerà spazio a nuove puerpere anche se, un altro caso come quello di giovedìè difficile che si realizzi a così poca distanza di tempo. L'addetto all'aggiornamento dei pannelli luminosi del Comune dove compaiono i nomi dei bambini nati nella giornata ha avuto il suo bel da fare ad aggiornare tutti i dati relativi ai neonati dei giorni scorsi. I pargoli venuti alla luce a partire dalla serata di giovedì ed è proprio il caso di dire in ordine di arrivo sono: Erica Marta Samuel, Giorgia, Filippo Samuel, Erica, Matteo, Alli, Lisa Anselmo , Antonio Pietro , Francesco, Andrea e S. elena romanato22/11/2008
L'Italia affollata di medici ma senza infermieri
Il Tempo del 23/11/2008 ed. Nazionale
L'Italia è il Paese dei camici bianchi, con il più alto numero al mondo di medici per abitanti, mentre è carenza cronica di infermieri, figure professionali sempre meno reperibili sul mercato. A fotografare l'emergenza è il Rapporto Ocse 2008 sulle risorse umane italiane in ambito sanitario, che avverte: l'assunzione di personale paramedico straniero potrebbe rappresentare una soluzione, se l'eccessiva burocrazia italiana non rendesse tale procedura estremamente difficile. Che la Penisola abbia medici in abbondanza lo dimostra il fatto che sono più di 600 ogni 100.000 abitanti, nel 2005. I medici appartenenti alla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) sono circa 370 mila, di cui un terzo lavora negli istituti pubblici. Inoltre, secondo l'Ocse, la competizione tra medici nel settore pubblico è molto alta e spesso i più giovani devono aspettare a lungo prima di ritagliarsi un posto di lavoro. Il settore infermieristico, invece, deve far fronte al problema opposto. L'Italia ha meno infermieri che dottori (348.415 nel 2005), la maggior parte dei quali (70%) lavora in strutture pubbliche. La carenza di infermieri, sottolinea l'Ocse, «potrebbe essere in parte colmata dall'assunzione di personale proveniente dall'estero. Ma a causa della competizione con altri Paesi, che offrono salari più alti e condizioni di lavoro migliori, e delle complesse politiche di immigrazione, il numero di infermieri stranieri in Italia è ancora molto basso: 6730 nel 2005, di cui un terzo proveniente dall'Unione europea». Gli infermieri che arrivano in Italia hanno mediamente tra i 20 e i 39 anni e provengono generalmente da Romania (60%) e Polonia (25%). Le assunzioni dall'estero possono essere facilitate tramite contatti diretti tra le istituzioni. La Spagna per esempio, che presenta un esubero di infermieri, ha un accordo con l'Italia. L'unico accordo che coinvolge direttamente le autorità nazionali è quello che l'Italia ha con la Tunisia tramite il ministero del Welfare. Malgrado la forte domanda di personale paramedico, l'Italia, conclude l'Ocse, «rimane un Paese poco attraente per gli infermieri stranieri: lo stipendio non è competitivo (circa 1600 euro al mese), le politiche di immigrazione sono sfavorevoli e la scarsa diffusione della lingua italiana all'estero rende la comunicazione più difficile».
'Gli organici sono carenti'
La Nazione del 23/11/2008 ed. Viareggio p. 5
Le ostetriche ipotizzavano standard di sicurezza scarsi e pericoli
iN UNA LETTERA protocollata la metà dello scorso mese di giugno e inviata ai vertici della Asl, le ostetriche dipendenti a tempo indeterminato dell'Asl 12 Versilia all'ospedale denunciavano la carenza di personale e dichiaravano di non poter assistere adeguatamente in sicurezza le pazienti quando si trovano contemporaneamente più donne in pretravaglio, travaglio parto e puerperio. A giugno la lettera sfogo arrivò sul tavolo del direttore generale Sassoli, di quello sanitario Latella, del responsabile amministrativo Rapalini e ai vertici di ostetricia e ginecologia, informati per conoscenza. I casi ravvicinanti dei tre decessi di piccoli non erano ancora avvenuti ma letto ora quell'esposto fa sicuramente riflettere perchè si sottolineavano già i problemi legati alla carenza di organico che sono poi emersi dopo le tragedie. LE OSTETRICHE, che naturalmente si sono firmate, prendevano atto dalla mancata riorganizzazione del servizio di assistenza alle pazienti a fronte di un aumento del numero dei parti (1633 nel 2007 contro i 1216 di quattro anni prima), trend consolidato nel 2008. E puntavano l'indice sul fatto che «le colleghe in congedo per maternità non sono state sostituite da figure dello stesso profilo professionale oltre che sulle difficoltà lavorative che giornalmente vengono affrontate a scapito della sicurezza e della qualità delle attività e delle condizioni correlate all'evento parto-nascita». E nella loro analisi le ostetriche facevano riferimento agli ultimi standard assistenziali secondo i quali «l'ottimizzazione del lavoro sarebbe quello di garantire ad ogni donna gravida presente in sala parto un'ostetrica secondo quel criterio che in gergo viene chiamato 'one to one'». E veniva detto che «in corso di travaglio-parto l'obiettivo è garantire un livello appropriato di assistenza nel caso in cui subentrino problemi che pongono l'indicazione di un taglio cesareo da effettuarsi in condizioni di emergenza-urgenza». Veniva anche ricordato nella lettera che un decreto dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro cità testualmente che «per un'adeguata assistenza al travaglio e al parto si prevede questo personale: ostetrico-ginecologo, neonatologo e/o pediatra con competenze in patologioa neonatale, anestesista, ostetrica, infermiera per l'assistenza diretta delle donne degenti, infermiere pediatrico e/o infermiere con competenza pediatriche. E ancora che la presenza dell'ostetrica, degli infermieri deve essere garantita 24 ore su 24 in modo continuativo e in numero sufficiente ad assicurare l'assistenza complessiva al nido e al rooming-in». Vista tutta questa premessa la lettera si concludeva con la dichiarazione «di non poter assistere adeguatamente in sicurezza le pazienti quando si trovano contemporaneamente più donne in pretravaglio, travaglio, parto e puerperio».
Italia, troppi medici ma pochi infermieri
Eco di Bergamo del 23/11/2008 p. 9
L'Italia è il paese dei camici bianchi, con il più alto numero al mondo di medici per abitanti, mentre è carenza cronica di infermieri, figure professionali sempre meno reperibili sul mercato. A fotografare l'emergenza è il Rapporto Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) 2008 sulle risorse umane italiane in ambito sanitario, che avverte: l'assunzione di personale paramedico straniero potrebbe rappresentare una soluzione, se l'eccessiva burocrazia italiana non rendesse tale procedura estremamente difficile. La popolazione italiana è una delle più vecchie al mondo: quasi il 20% supera i 65 anni e nel 2050 circa l'8% degli italiani avrà più di 85 anni. Il sistema sanitario italiano, al momento, afferma l'Ocse, «potrebbe non essere in grado di far fronte a questi cambiamenti, in particolare per quanto riguarda l'assunzione del personale paramedico». Si calcola infatti che la carenza di infermieri, soprattutto al Nord, aumenti ogni anno a causa dello squilibrio tra i pensionamenti (17.000 l'anno) e le assunzioni (ottomila l'anno). Viceversa, l'Italia ha il più alto numero al mondo di medici per abitante: più di seicento ogni centomila abitanti nel 2005.
Oltre 55mila interventi per il 118
Gazzetta di Modena del 22/11/2008 ed. Nazionale p. 17
Un aumento del 2%. La casa resta il luogo "più pericoloso"Quando una vettura piace e inanella successi per le sue prestazioni, è perchè, oltre ad una moderna carrozzeria, ha un ottimo motore. E il merito va a chi costruisce il motore, pezzo per pezzo, i riconoscimenti vanno a chi progetta, a chi studia, a chi si impegna e anche a chi guida, al pilota che sceglie la strada giusta. Questa vettura si mette in moto con una chiave particolare: è un numero, il 118. Chilometraggio nel 2008 sino a novembre? Ben cinquantacinquemila29 richieste d'intervento, il 2% in più dell'anno scorso. Un grande team di centodiciottisti e volontari.Descrivere Modena soccorso in cifre può sembrare riduttivo. Sono centoventi i centodiciottisti (nove medici, settatancinque infermieri, quarantatrè autisti, i restanti responsabili e coordinatori di servizio) che fanno capo alla centrale cittadina. Ma questa cifra è una punta di un iceberg perché non tiene conto delle diramazioni che il 118 ha su tutto il territorio provinciale, di quella miriade di volontari che sono l'anima delle associazioni convenzionate con il servizio, di tutto il personale attivo in ospedale pronto ad intervenire su sollecitazione della centrale, dell'insieme di persone, medici e infermieri, che vengono mobilitati non solo sul territorio, all'esterno, per strada ma nelle stesse strutture sanitarie. Il pronto soccorso che si attrezza per ricevere quel paziente con quel tipo di emergenza, il medico, l'equipe medica, la sala operatoria, il reparto che viene "acceso" perché sta arrivando quel ferito: in tanti vengono coinvolti, parecchie persone diventano protagoniste di un film di azione che ha sempre un unico titolo, salvare una vita. E tutto inizia da una telefonata.Il set di questo film è costituito da una popolazione di 665mila "comparse" (252 abitanti per chilometro quadrato) di cui il 20% ha più di 65 anni. Il 6% è costituito da stranieri. Da ricordare le 40-50mila persone di passaggio sulle autostrade e i picchi in Appennino in estate e in inverno. Nove i "centri di produzione-raccolta" del materiale girato, ovvero gli ospedali, dalla Bassa alla montagna.La troupe è composta da tredici ambulanze con infermiere, due ambulanze medicalizzate con medico e infermiere, tre con personale misto (volontario, infermiere o medico), due automediche con medico e infermiere, 41 ambulanze con soccorritori del volontariato in convenzione con le associazioni, tre basi di elisoccorso (Bologna, Parma, Ravenna) con equipe, un elicottero a Pavullo.Bene, si gira. Arriva la telefonata: chi chiama parla ad un centralino che fa da filtro, ascolta, si fa spiegare, poi passa la chiamata al box emergenza dove il personale specializzato capisce, capta la gravità, la tipologia dell'intervento e di conseguenza gli interventi che a catena devono susseguirsi. E quindi scatta l'ambulanza. In media ogni giorno le chiamate sono 170 con picchi in alcuni casi di duecento, duecentoventi.Fortunatamente solo il 24%, statistiche alla mano, è un codice rosso, cioè di elevata criticità presunta. La metà è un codice giallo (gravità intermedia), il 18% codice verde (gravità lieve) e 8% codice bianco (in prevalenza trasporti intraospedalieri urgenti). L'analisi dei dati evidenzia che nel 68% dei casi in codice rosso sono intervenuti mezzi istituzionali del 118 (ambulanze o automediche).Ma qual è la tipologia della chiamata? Il pensiero va sempre all'incidente stradale eppure nel 75% dei casi, la Centrale operativa è intervenuta per problemi di natura internistica, legati all'apparato cardiocircolatorio, respiratorio e di tipo neurologico (infarti ed ictus).Solo nel 25% dei casi, invece, si è trattato di interventi effettuati a seguito di eventi traumatici. La casa il luogo da cui provengono più richieste d'intervento: le chiamate, rispetto al dato complessivo sono infatti il 60% del totale, ben 27.714. La strada rappresenta il secondo luogo più rischioso con 7.488 interventi richiesti, pari al 16% del totale, e nel 70% dei casi si è trattato di traumi a causa d'incidente. Seguono poi i luoghi pubblici con 1.963 chiamate, i luoghi di lavoro (1.256), gli impianti sportivi (481) e la scuola (355).Modena Soccorso ha avuto quest'anno alcuni rinforzi: il parco mezzi si è ampliato, sono state aggiunte sette ambulanze, una a Vignola, tre alla Centrale 118, una a Finale, una a Sassuolo e una a Carpi. L'investimento totale è stato di 450.000 euro. Un aiuto anche dall'alto: è in avanzata fase di sperimentazione il sistema che sfrutta le potenzialità della tecnologia Gprs. Un sistema di controllo satellitare Gprs su alcuni mezzi di soccorso per localizzare da dove viene la chiamata ma soprattutto per individuare la posizione delle ambulanze libere.
Anziani, assistenza domiciliare addio
Il Centro del 22/11/2008 ed. Pescara p. 4
Dallo scorso giugno il servizio è stato sospeso senza spiegazioni - La denuncia di un cittadino che ha chiesto a Geriatria un sostegno per i suoi genitoriPESCARA. La Asl ha sospeso il servizio di ospedalizzazione domiciliare degli anziani. La denuncia arriva da uno dei tanti cittadini che hanno chiesto al reparto di Geriatria dell'ospedale civile assistenza per i propri genitori. Nessuno ha saputo spiegargli, ma dallo scorso giugno sono rimasti soli quei circa 20 nonni che prima potevano contare sull'assistenza casalinga di due medici e di alcuni infermieri. Insomma, la possibilità di essere curati tra le mura familiari della propria casa. Con un notevole risparmio per la Asl: un posto letto in ospedale costa tra i 600 ed i 700 euro al giorno.Ed è sempre un posto letto di fortuna ricavato tra le corsie perennemente al collasso del reparto di Geriatria, dal quale dipendeva il progetto sperimentale avviato con fondi regionali nel 2005 nell'ambito di un piano di deospedalizzazione precoce. Vale a dire una manovra per ridurre i ricoveri tramite la cosiddetta ospedalizzazione domiciliare di quei pazienti dimessi prima della loro completa guarigione.Tre anni dopo, invece, il reparto di Geriatria è costretto a lavorare costantemente sotto pressione, giorno dopo giorno con un numero di posti letto al di sopra delle proprie capacità di ricovero, fissate in 45 degenze. Più di qualcosa, insomma, non è andato secondo le previsioni.Ai pazienti anziani affetti da patologie non curabili con una semplice terapia domiciliare, ma che non impongono necessariamente il ricovero, non resta che l'ospedalizzazione, con tutte le conseguenze psicologiche del caso (oltre al rischio di contrarre ulteriori infezioni) e quelle economiche per le casse vuote della Asl.Carenza di fondi, giochi politici o rimbalzi di competenze: in ogni caso, non esisterebbe neanche una comunicazione ufficiale dell'interruzione del progetto sperimentale e della sua mancata istituzionalizzazione all'interno del reparto di Geriatria, il cui personale riusciva, seppur faticosamente, ad assicurare ai pazienti a domicilio gli stessi identici servizi prestati dalla Asl in condizione di ricovero.L'anziano curato nell'ambiente confortevole della propria casa poteva infatti beneficiare delle stesse terapie mediche e antibiotiche dispensate in corsia e consegnate gratuitamente a domicilio, ma anche di esami e radiografie eseguiti in ospedale con il trasporto dell'ambulanza.Terapie e indagini cliniche che oggi le famiglie sono costrette ad accollarsi, dal punto di vista economico ma anche da quello pratico e organizzativo, i cui risvolti spesso fanno sì che l'anzianità dei propri cari sia vissuta come un trauma.In seno al progetto di deospedalizzazione domiciliare, di cui era responsabile l'allora primario di Geriatria, Giuseppe Guizzardi, era assicurata anche la copertura assistenziale di dodici posti letto presso la clinica De Cesaris di Spoltore.Degenze esterne alla Rsa monitorate da medici e infermieri della Asl, supportati dal personale della residenza sanitaria assistica, e destinate a quei pazienti che a casa non potevano contare su un adeguato supporto familiare all'ospedalizzazione domiciliare.Monica De Panfilis
Dirigenti dell'Ass: infermieri, rilevante l'azione sul territorio
Il Piccolo di Trieste del 22/11/2008 ed. Nazionale p. 19
Scambio di lettere tra i primari medici sul caso delle sale operatorie e la mancanza di infermieri. Sedici dirigenti dell'Azienda sanitaria rispondono con un lungo testo a quello reso pubblico nei giorni scorsi da un gruppo di colleghi ospedalieri, che lasciavano intendere come l'Azienda ospedaliera soffra per mancanza di infermieri mentre quella territoriale si avvantaggia del trasferimento di professionisti. «Rifiutiamo l'idea stessa di un ''conflitto di interessi'' tra le nostre due Aziende, non farebbe che ledere gli interessi del cittadino facendo intravedere un'inesistente lotta di potere tra corporazioni o parti del sistema sanitario - scrivono i primari territoriali -. Non sarà certo ''il territorio'' a negare la rilevanza delle sale operatorie e delle rianimazioni», tuttavia «deve esistere pari dignità e massima collaborazione nell'interesse dei cittadini, che meritano e ci chiedono alleanze, parsimonia, prudenza, saggezza, non competizioni, mentre a noi ''dirigenti'' spetta valorizzare e rendere sempre più credibile la nostra appartenenza a un sistema sanitario pubblico, la prima responsabilità per ciascuno di noi è impiegare al meglio le ingenti risorse che la collettività ci assegna». Il testo è firmato da Maria Grazia Cogliati, Paolo Da Col, Emanuela Fragiacomo, Angela Pianca, Giuseppe Dell'Acqua, Roberta Balestra, Marina Brana, Andrea Di lenarda, Giorgio Mustacchi, Vittorio Antonaglia, Roberto Mezzina, Pasquale Evaristo, Matteo Impagnatiello, Elisabetta Pascolo Fabricci, Daniela Vidoni e Maurizio De Vanna. I mittenti ricordano: «Da 10 anni la politica regionale è il rafforzamento del ''territorio''». Rammentano che la scarsità di infermieri è un problema «datato e nazionale». Ricusano gli argomenti dei colleghi coi numeri: «Il presunto esodo di infermieri dall'ospedale al territorio nel 2008 è stato di 15 unità, a fronte di un organico infermieristico complessivo in Azienda ospedaliera di circa 900 unità; oggi gli infermieri all'Azienda sanitaria sono 461, ed erano 474 nel 1994; in 10 anni il tasso di ospedalizzazione era di 270 per 1000 cittadini, oggi è di 160, mentre gli ultra-ottantenni sono quasi raddoppiati e l'ospedale ha 200 letti in meno». Dunque, si afferma, un'importante parte di sanità si è spostata sul territorio. Infine i medici dell'Azienda sanitaria invitano a «far vincere non il migliore, ma il migliore buon senso» e a una migliore conoscenza reciproca: «Saremo lieti di accompagnarvi a visitare i nostri servizi domiciliari e residenziali - dicono ai colleghi - . Siamo certi che per molti di voi costituiranno una sorpresa». (g. z.)
Appello ai sindaci lecchesi per fermare la corsa
all'esternalizzazione del servizio infermieristico da parte
dell'azienda ospedaliera lecchese
La Provincia di Lecco del 21/11/2008 p. 21
Appello ai sindaci lecchesi per ?fermare? la corsa all'esternalizzazione del servizio infermieristico da parte dell'azienda ospedaliera lecchese. Si allarga la protesta partita dal Mandic con una petizione di oltre 400 firme, sottoscritta da circa la metà del personale, che conta al Mandic, tra infermieri, oss e medici, circa 800 dipendenti. «Abbiamo portato il problema all'assemblea dei sindaci, oltre che alla commissione dei servizi sociali del Comune di Lecco», sottolinea Walter Quintini, portavoce del dipartimento Sanità di Rifondazione Comunista, sottolineando che alcuni esponenti degli enti locali, tra cui lo stesso sindaco di Merate, Giovanni Battista Albani, hanno già espresso l'intenzione di appoggiare la protesta. Protesta che si sta acuendo anche perché i tempi stringono. Il direttore generale dell'Ao Lecco, Ambrogio Bertoglio, ha confermato la volontà e la necessità di proseguire sulla linea dell'esternalizzazione. Già il reparto di ortopedia di Lecco è affidato in toto alla società Hcm dallo scorso settembre. Scelta che aveva scatenato non pochi dissapori all'interno del reparto. Per Merate le proteste sono più accese: anche perché qui, dicono i dipendenti, il rperato di ortopedia è un fiore all'occhiello per il presidio, e qui vengono a curarsi pazienti da tutta Italia. I nuovi infermieri della Hcm arriveranno, con tutta probabilità, tra due mesi, all'inizio del nuovo anno. Sono in tutto una ventina i dipendenti del Mandic, tra infermieri e oss, (operatori socio sanitari), che verranno spostati dal reparto di ortopedia e trasferiti in altri punti nevralgici (ossia, carenti di personale) dello stesso presidio, come ad esempio il Pronto Soccorso. «In ortopedia tira un'aria decisamente non bella. C'è rabbia, rassegnazione. Ma anche fervore per questa protesta in corso. Qui c'è gente che crede nel lavoro che fa, e per questo fa di tutto per conservare la propria postazione», ci racconta un infermiere del reparto di ortopedia del Mandic. Cosa significherà l'esternalizzazione? «Sicuramente, uno scadimento nella qualità del servizio. È inutile negarlo: i dipendenti di una cooperativa esterna spesso non hanno la preparazione professionale dei dipendenti assunti nel pubblico. E tante volte fanno un doppio lavoro. È chiaro che, rispetto ad uno che ha l'esclusiva per l'ospedale, chi lavora anche altrove, magari facendo due turni, ha più probabilità di commettere errori». Intanto la Rsu dell'ospedale ha fissato per il prossimo 16 dicembre l'incontro con Bertoglio: «Rispetto a chi protesta, ci poniamo l'obiettivo di arrivare comunque ad un accordo con l'ospedale. L'azienda è stata chiara: o il service, o tagliare parecchi posti letto. E di fronte a questa prospettiva che, purtroppo, rischia di diventare un problema sociale, dobbiamo fare i conti anche con l'eventualità del service. Tutelando quanto più possibile i dipendenti».L. Bos.21/11/2008
Chirurgia pediatrica: si apre
Unione Sarda del 22/11/2008
Reparto al via, dopo diciassette anni di attesaIl direttore Antonio Dessanti, dopo quasi due decenni di salti mortali potrà contare su tre chirurghi. Ora il problema più grande è la mancanza della terapia intensiva pediatrica: non se ne parlerà prima di un mese.Dopo diciassette anni, un'inchiesta della Procura (dimenticata in un cassetto), decine di bambini acciuffati per i capelli, caricati su un aereo della Protezione civile e trasportati d'urgenza in un ospedale oltre Tirreno, Sassari ha un reparto di chirurgia pediatrica. Ma al reparto tanto agognato manca qualcosa.Non c'è una rianimazione per i pazienti più gravi, non ci sono gli infermieri e il trasferimento vero e proprio avverrà, forse, fra due settimane. Prima c'è da spostare la banca del seme. Il direttore Antonio Dessanti, dopo quasi due decenni di salti mortali (finora è intervenuto sui bambini confidando nella disponibilità degli altri reparti che mettevano a disposizione i letti per mamme e bimbi) potrà contare su tre chirurghi. Questa è l'unica certezza. Servirebbero anche sette infermieri per turno, ma la disponibilità di personale è un punto di domanda. Ma il problema più grande è la mancanza della terapia intensiva pediatrica. L'attivazione di due posti è nei programmi dell'Azienda mista, ma non se ne parlerà prima di un mese. Fino ad allora il fiammante reparto di chirurgia pediatrica non potrà essere operativo, se non per i casi di routine. Intanto, al terzo piano delle cliniche universitarie, c'è stata l'inaugurazione della nuova struttura: corridoi lucenti, stanze pitturate di fresco con colori pastello, pupazzetti fra i letti per addolcire la degenza dei piccoli. Per l'occasione ci sono anche bibite, stuzzichini, l'assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, i vertici dell'Azienda mista ospedaliero-universitaria, alla loro prima uscita ufficiale, una passerella di professori universitari e politici. Tutti prodighi di sorrisi e strette di mano. Quasi tutti. Poco prima, nell'aula magna della Facoltà di medicina, nel corso di una conferenza stampa convocata per suggellare l'evento, più di un medico si libera dei sassolini nelle scarpe. L'assessore e il direttore generale dell'Azienda, Renato Mura, sventolano cifre e grandi progetti: 123 milioni di finanziamenti, due nuovi padiglioni da costruire entro i prossimi tre anni, ristrutturazioni a tappeto, «per rendere a norma tutte le strutture esistenti», e tre milioni di euro subito per un rinnovamento tecnologico. Proprio quest'ultima dichiarazione spinge in alto la mano del professor Franco Meloni, responsabile del reparto di Otorino laringoiatria del Santissima Annunziata. Si avvicina al microfono e fa due precisazioni: «Da noi il rinnovamento tecnologico non esiste da decenni. Io nel mio ambulatorio ho a disposizione un microscopio del 1978, abbiamo la peggior Tac della Sardegna, e settecento pazienti in lista d'attesa per un'operazione». Dalla platea prende coraggio anche un nonno: «Mia figlia ha partorito nei giorni scorsi nel reparto di Maternità infantile, scusatemi, ma quel posto è una vergogna: c'è un solo bidet per trenta pazienti». Qui l'assessore Dirindin non può tacere: «Mi scuso a nome del servizio sanitario regionale, cose di questo genere non dovranno più succedere».VINCENZO GAROFALO 22/11/2008
II nuovo che avanza
Gestione e Qualità del 21/11/2008 SETTEMBRE /OTTOBRE 2008 p. 42
II Galliera, lo storico nosocomio ligure, guarda al futuro e si prepara a cambiare. In meglio ovviamenteGenova, zona residenziale di Carignano, 18 marzo 1888. Il primo paziente varca la soglia dell'Ente ospedaliero Galliera, sancendone ufficialmente l'apertura. Fin dalle sue primissime origini, la "Opera Pia" - donata alla città della Lanterna dalla cosmopolita Duchessa di Galliera, discendente dell'antica e nobile famiglia genovese dei Brignole Sale - si conferma subito una struttura innovativa. Secondo alcuni, addirittura da considerarsi antesignana del concetto di salute come diritto di tutti, quindi anticipatrice della moderna sanità pubblica. Pur fedele alla tradizione, l'ospedale non ha mai smesso di rinnovarsi: il 2008 è destinato a lasciare il segno, dal momento che sono state prese decisione molto importanti in vista di un avvenire ormai prossimo. Passato, presente e futuro Si protraggono i festeggiamenti per i 120 anni di storia, mediante una lunga serie di eventi e manifestazioni in programma fino alla fine dell'anno, rivolti sia alla comunità scientifica che al pubblico genovese. Tali celebrazioni diventano occasione per guardare al futuro nell'ambito dei progetti di crescita e di sviluppo, da tempo nei piani della direzione dell'ospedale. Nel rispetto della continuità e con il fermo proposito di perseguire sempre l'innovazione, si cerca ora di adeguare le strutture, e naturalmente le prestazioni, alle necessità di oggi, sia quelle dei pazienti che degli operatori. Tanto è vero che di recente è stato siglato dalle autorità locali, alla presenza del Presidente dell'ente, il cardinale Bagnasco, il protocollo d'intesa che sancisce il via libera alla realizzazione di una vasta opera di rinnovamento. Sono previsti 3 anni di lavori a partire dal 2011, per un costo totale che si aggira sui 160 milioni di euro, di cui 53 provenienti dalle casse regionali e un'altra parte dalla valorizzazione di quanto il Galliera andrà a dismettere, nonché dall'accensione di un mutuo. Se in tutti questi anni l'ente ospedaliero ha avuto modo di affermarsi come struttura di eccellenza nel panorama sanitario regionale, sia dal punto di vista della qualità delle cure che per quanto riguarda gli elevati livelli della tecnologia medica adoperata e la professionalità degli operatori, il meglio deve ancora venire. Cosa cambierà L'idea è quella di un "ospedale verde", ovvero rispettoso dell'ambiente, che punti a ridurre significativamente sia le emissioni inquinanti che il consumo energetico. Soprattutto si ha in mente un modello gestionale meno farraginoso e più modulare, attento alle mutate esigenze dei pazienti e alla crescente complessità delle cure. L'area su cui sorgerà la nuova struttura ha un'estensione complessiva di 60mila metri quadri, ed è composta da terreni che sono già di proprietà dell'ospedale (attualmente destinati a parcheggio). Spazi ed edifici non funzionali al progetto verNuova formula ranno alienati o destinati diversamente: alcuni reparti dismessi ospiteranno sicuramente nuove attività di funzione pubblica (verosimilmente, foresterie per studenti e per parenti dei malati, alloggi protetti per assistere persone disagiate, nonché residenze per anziani). Per quanto riguarda gli edifici in odore di vendita, la loro destinazione d'uso verrà resa nota a tempo debito dagli acquirenti, sulla base dei vincoli posti dal Comune di Genova, grazie anche al coinvolgimento della Provincia e della Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici della regione. Ma torniamo all'assetto del nosocomio che verrà. I numeri resi noti dall'azienda parlano di 8 piani, 5 esterni e 3 seminterrati, a cui si aggiungono altri 2 piani sotterranei destinati al parking, in grado di ospitare circa 1.200 veicoli. Le piastre funzionali saranno in totale 3: la più estesa - la seconda ospiterà il Pronto soccorso, gli ambulatori e i servizi; la prima piastra sarà quella con i laboratori, la diagnostica, la farmacia, l'anatomia patologica, le camere mortuarie ed altri servizi; nella terza troveranno spazio le terapie intensive, il blocco operatorio, il day hospital, il day surgery, gli studi medici, la didattica e la reception. I posti letto saranno in totale 480, di cui 340 per la degenza ordinaria, distribuiti su una superficie di poco più di 12mila mq, e 140 destinati alla riabilitazione, per una superficie di 8mila mq. La vera novità, al di là dell'aspetto esteriore e dell'impostazione strutturale, sarà di tipo organizzativo. Forti di una nuova cultura dell'assistenza, ci si orienterà verso un modello ospedaliere pianificato "per intensità di cura": spariranno i reparti e altre forme di rigide compartimentazioni in favore di aree omogenee, in cui il personale medico e infermieristico coopererà e lavorerà in gruppo, attenendosi ai protocolli diagnostici e terapeutici. Il mutamento di prospettiva sarà radicale: da un ospedale medico-centrico si passerà ad un'interpretazione dell'assistenza più marcatamente paziente-centrica. Porre il malato al centro di ogni azione siFormazione innanzitutto gnifica, principalmente, seguirlo in tutto il suo percorso clinico. Date queste premesse, rivestiranno un ruolo fondamentale i tutor o "case manager". C'è chi li ha definiti esperti del vivere meglio. Fatto sta che queste figure professionali, nate già una trentina di anni fa negli Stati Uniti e di recente sbarco anche in Italia, uniscono competenze specialistiche e responsabilità sociale. Con l'obiettivo di valutare i singoli bisogni specifici e di coordinare le risorse disponibili, garantendone un'appropriata utilizzazione. E non è cosa da poco. Le più importanti esperienze intemazionali confermano che il "case management" sia un modo di operare economico ed efficiente per raggiungere con efficacia gli obiettivi di assistenza individuale. Là dove applicato, non solo il paziente non viene mai lasciato solo con i su problemi, ma l'assistenza erogata non è mai disaggregata e tanto meno antieconomica e inutile. Nella fattispecie del Galliera, il tutor sarà un medico gsneralista supportato dal corpo infermieri e da équipe di specialisti, 3on i quali condividerà la responsabilità dell'operato per la tutela dell'assistito. Ovviamente, come spesso accade quando si ha a che fare con un cambiamento organizzativo e soprattutto culturale, la costante formazione del personale rivestirà un ruolo fondamentale. Si era detto in precedenza - e qui 10 ribadiamo - che il nuovo nosocomio non avrà più dipartimenti né strutture complesse: ciò significa che l'organizzazione sarà incentrata su livelli di intensità di cura, 3 a voler essere più precisi. 11 livello ad intensità più bassa (il terzo) è quello relativo alle cure intermedie, alla riabilitazione, alla continuità assistenziale temporale, alle cure domiciliari, agli Mmg e ai pediatri di prima scelta. Il secondo livello, ad intensità media, interessa le degenze mediche e chirurgiche, mentre il livello "uno" ad alta intensità di cura, riguarda, ad esempio, unità come quella di Terapia intensiva respiratoria, di Terapia intensiva coronarica e ancora, di Terapia intensiva medica. Il grado di complessità verrà definito durante gli incontri tra il tutor e le équipe assistenziali e specialistiche, tenendo conto dei bisogni individuali di ciascun assistito, stabilendo quindi anche gli eventuali cambiamenti dei livelli di assistenza durante la permanenza nell'ospedale. A ciascun livello di assistenza corrisponde, come responsabile, un direttore clinico, da cui dipendono i vari case manager, impegnati fianco a fianco ai medici specialisti riuniti in team e alle strutture diagnostiche, quali laboratori piuttosto che radiologia Pet/Tc. Dal momento che il coordinamento deve essere totale, tutor e team specialistici collaboreranno inevitabilmente sia con gli infermieri (a cui è affidata la gestione dei livelli di assistenza) che con i tecnici responsabili dei servizi. D'altronde, la buona organizzazione è quella dove regna l'armonia. ^
La Provincia di Cremona del 23/11/2008 p. 5
ROMA - L'Italia è il Paese dei camici bianchi, con il più alto numero al mondo di medici per abitanti, mentre è carenza cronica di infermieri, figure professionali sempre meno reperibili sul mercato. Una situazione che rischia di avere gravi ripercussioni sul sistema pubblico di assistenza. A fotografare l'emergenza è il Rapporto Ocse 2008. L'Italia ha il più alto numero al mondo di medici per abitante: più di 600 ogni 100.000 nel 2005. Il settore infermieristico deve far fronte al problema opposto, con meno infermieri che dottori (348.415 nel 2005). La carenza di infermieri, «potrebbe essere in parte colmata dall'assunzione di personale proveniente dall'estero. Ma a causa della competizione con altri Paesi, che offrono salari più alti e condizioni di lavoro migliori, e delle complesse politiche di immigrazione, il numero di infermieri stranieri in Italia è ancora molto basso.
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