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La richiesta di prestazioni assistenziali di qualità e personalizzate è sempre più in aumento; si accresce pertanto anche il livello di competenza e responsabilità dell'infermiere nei confronti della persona assistita; i tempi esigono professionisti preparati, capaci di confrontarsi in équipe multidisciplinari e che sappiano dare garanzie sulle proprie azioni, in quanto consapevoli delle conseguenze che possono derivare dalle loro decisioni e dal modo di condurre gli interventi

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mercoledì, novembre 12

Rassegna Stampa - 12-11-2008


Infermieri sempre più giovani

La Stampa del 12/11/2008 , articolo di LAURA SECCI ed. AOSTA p. 53

AOSTA
Trecentomila euro. E' quanto l'amministrazione regionale ha stanziato per la formazione del personale infermieristico. Lo ha reso noto ieri l'assessore alla Sanità, Salute e Politiche sociali della Regione Albert Lanièce nella cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico del corso di laurea in infermieristica. «Per l'anno 2008-2009 - ha aggiunto - sono stati stanziati 90 assegni di studio, 47 per gli studenti del primo anno e 43 per quelli degli anni successivi, a copertura parziale o totale delle spese di alloggio e di formazione». Sono 370 mila gli infermieri che in Italia sono iscritti all'albo professionale, 860 in Valle d'Aosta. Di questi, 111 sono stranieri. «In Valle d'Aosta la sanità è uno dei fiori all'occhiello - ha ricordato il presidente della Regione Augusto Rollandin - e in particolare il nostro ospedale regionale. Per questo motivo investiamo nella formazione di personale altamente specializzato che, se vorrà, sarà impiegato nelle strutture socio-assistenziali». Sono 66 gli studenti iscritti al corso di laurea in infermieristica, di cui 65 valdostani (42 di Aosta) e uno proveniente da fuori Valle. «Questo corso - ha concluso Rollandin - è l'unico caso in cui le richieste formative sono al di sotto delle attese, offrendo quindi agli studenti una certezza d'impiego». Una particolarità nell'iter formativo degli studenti iscritti è la loro provenienza. «Se nel resto d'Italia - ha evidenziato il coordinatore del corso Mery Stellino - i ragazzi che frequentano il corso di laurea infermieristica provengono per la stragrande maggioranza da istituti tecnici, in Valle d'Aosta il bacino maggiore è rappresentato da studenti del liceo di scienze sociali, con 22 iscritti e del liceo classico, 15». Negli ultimi anni, si è abbassata notevolmente l'età media degli studenti, da 28 nell'anno accademico 97/98 a 21 nell'anno appena iniziato. Gli abbandoni sono passati da un 30% del primo anno, con punte del 33% nel 2004/2005 al 9% dell'anno accademico 2007/2008. Il vescovo di Aosta Giuseppe Anfossi ha evidenziato il carattere etico della professione di infermiere «che va esercitato mettendo a fuoco il quadro di riferimento etico a cui rivolgersi, se si segue l'insegnamento della Chiesa, oppure no». Anfossi ha poi sottolineato la necessità di definire l'identità di una professione che, negli ultimi anni, è stata elevata a un grado di responsabilità maggiore rispetto al passato. «Non è più una professione ausiliaria - ha sottolineato Carlo Poti, direttore di area territoriale dell'azienda sanitaria locale - ma l'infermiere è di supporto al medico, non alle sue dipendenze e spesso ha un rapporto più stretto con il malato del medico stesso».



Aggiornati i principi della professione

La Stampa del 12/11/2008 ed. AOSTA p. 53

Il 1° febbraio 2009 entrerà in vigore il nuovo codice deontologico per gli infermieri professionali. L'ultimo era del 1999, il primo del 1960. Tra le novità contenute nei 51 capitoli, ci sono insieme con la tutela del malato, il rispetto della sua libertà di scelta, i principi bioetici che negli ultimi dieci anni hanno modificato il grado di responsabilità degli infermieri. Contenuti nel nuovo codice, tengono conto dei grandi temi che dominano la cronaca, le questioni dei limiti della vita, della morte e della malattia che accrescono il ruolo e le responsabilità dei 360.000 professionisti sanitari italiani. Estrema importanza alla tutela della volontà dell'assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita (articolo 37) e che l'infermiere non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall'assistito (articolo 40). \



Aggredisce l'infermiere e scappa

Il Tempo del 12/11/2008 ed. Frosinone

Carlo Nalli CEPRANO
Si reca al pronto soccorso, chiede una siringa e poi, inspiegabilmente, aggredisce un infermiere. È accaduto nella notte fra lunedì e ieri, al presidio sanitario «Ferrari» di Ceprano: un giovane tossicodipendente, verso le due di notte, è entrato nel punto di primo soccorso e, dopo aver chiesto una siringa ad un infermiere, non ha nemmeno aspettato che quest'ultimo chiamasse il medico di turno: ha avuto uno scatto d'ira e lo ha assalito, e successivamente è scappato, senza poter essere identificato. Tanto spavento per il paramedico, che guarirà entro due giorni; la vicenda, però, fa di nuovo discutere perché il presidio sanitario di Ceprano, che copre un vasto bacino di utenza col suo primo soccorso, non ha un'appropriata vigilanza nelle ore notturne. La portineria, infatti, conclude il suo turno alle 20 e da quell'ora l'ingresso della struttura resta incustodito. Già diverse volte i dipendenti ed i rappresentanti sindacali avevano sollecitato l'assunzione di un sorvegliante, una guardia giurata che possa proteggere infermieri e medici da episodi come quello accaduto l'altra notte. Speriamo che i locali responsabili della sanità prendano in considerazione questa ipotesi: il personale che presta servizio nelle ore notturne deve poter lavorare al riparo da questi rischi, e lo stesso vale anche per i pazienti, che hanno il diritto di essere assistiti in strutture sicure e controllate.



Case di riposo cittadine sull'orlo del baratro

Il Giornale di Vicenza del 12/11/2008 p. 37

di Chiara Bonan La popolazione invecchia, gli anziani non autosufficienti aumentano, le famiglie non sono più in grado di tenerli con sé e le case di riposo scoppiano. L'analisi di Pietro Fabris, presidente delle case di riposo Isacc di Bassano, è lucida e non lascia spazio a dubbi. «È necessario rivedere la programmazione regionale adesso per prevedere al più presto la costruzione di altre case di riposo - sottolinea Fabris - perchè nei prossimi anni la situazione peggiorerà, con un numero di anziani in lista d'attesa sempre crescente e l'impossibilità da parte delle strutture esistenti di far fronte alla richiesta, nonostante il Veneto sia già una delle regioni più sensibili al problema». Oltre 200 stanno aspettando di ottenere un posto nelle strutture Isacc, che sono attualmente al completo con 400 ospiti: 280 nello stabile di Villa Serena, 120 tra la residenza Pazzaglia e lo Sturm. «Non è una bella situazione - conferma il senatore - da parte delle autorità regionali c'è una forte propensione a sostenere l'assistenza domiciliare, che però funziona solo per anziani che non hanno patologie particolarmente gravi. Anche la soluzione delle badanti non è definitiva, perchè è attuabile solo quando la persona è sana e non richiede assistenza sanitaria specifica. Nei casi di malattia l'ospedale si occupa della fase acuta, le residenze sanitarie assistite (Rsa) gestiscono il periodo post ricovero (al massimo tre mesi), ma alla fine l'anziano deve tornare a casa, e se la famiglia non può occuparsene non resta che la casa di riposo». Le residenze per anziani, che già sfruttano il massimo della capienza consentita, sono destinatarie di un contributo regionale assegnato ai singoli pazienti. «Il problema - spiega il presidente dell'Isacc - è che anche noi abbiamo una percentuale di non autosufficienti che non percepisce la quota. Nel nostro caso si tratta di un 5 per cento sul totale ma per altre case di riposo la situazione è più difficile: per non alzare la retta dei residenti la differenza viene compensata incidendo sul bilancio della struttura». Ad appesantire la situazione la cronica carenza di personale infermieristico: l'aumentare della proporzione di utenti non autosufficienti accresce le necessità sanitarie e di conseguenza la richiesta di figure specializzate, che diventa sempre più faticoso trovare. «Le autorità regionali e sanitarie devono trovare una soluzione a questa situazione - ribadisce Fabris - autorizzando le università ad ammettere più iscritti nelle scuole per infermieri e trasferendo in periferia, per esempio a Bassano, delle sedi di queste facoltà. Per il momento noi siamo costretti a rivolgerci all'estero: da noi lavorano infermiere romene, polacche, moldave, e da pochi giorni anche tre peruviane». «Nonostante tutti i problemi, l'importante - conclude il presidente - è che gli anziani ricoverati ricevano un'assistenza adeguata: badare a tutti non è facile. Devo però dire che il personale di cui disponiamo è ottimo, e che il servizio che danno agli utenti è fatto anche con il cuore, e in molte occasioni. Di questo posso ritenermi soddisfatto».



Mancano infermieri:
ferme da quattro mesi
le nuove sale operatorie costate 7 milioni

Il Piccolo di Trieste del 12/11/2008 ed. Nazionale p. 26

di GABRIELLA ZIANISono costate 7 milioni di euro e quattro anni di lavoro le tre nuove sale chirurgiche di Cattinara. Inaugurate con sfarzo a luglio assieme alla Terapia intensiva e alla sala di risveglio post-operarorio, da quel giorno sono chiuse. Inattive e silenti. «Se ne avessi, mi strapperei i capelli» è la battuta che sfugge al direttore generale Franco Zigrino, ieri diretto a Milano all'Istituto europeo dei tumori di Veronesi per parlare di qualità ed eccellenza, e dunque dell'accreditamento con la Joint commission.L'azione è rimasta inchiodata all'evidenza: infermieri per far funzionare le sale operatorie non ce n'erano a luglio, non ci sono oggi, e forse saranno disponibili appena entro metà dicembre, dopo 5 mesi, e a prezzo di una complicata architettura organizzativa. «Abbiamo cercato perfino gli interinali - racconta il manager -, ma se ne sono presentati pochi, 29 a fronte di 35, e soprattutto questi ingressi sono stati vanificati da parallele cessazioni di personale in organico, così i nuovi hanno solo tappato i buchi». Per tenere insieme il sistema sono stati conservati in servizio anche gli operatori socio-sanitari risultati idonei ma fuori graduatoria al concorso che ne ha immessi 40. «Teniamo in soprannumero quelli che non superano il limite dei 3 anni di precariato - dice Zigrino - per servire i reparti con minore complessità e poter spostare gli infermieri in aree più delicate».Si aspettano con ansia i prossimi laureati in Scienze infermieristiche. Saranno assunti al volo. Ma, novellini, non potranno andare in area chirurgica. Dunque, nuovi traslochi: altri più esperti verranno ruotati qui, i giovani ne prenderanno il posto. Se anche l'operazione andasse a segno, «non potremo ugualmente attivare tutti i letti - prosegue il direttore sanitario Luca Lattuada -, ma solamente 8 su 12 nella ''recovery room'' e 13 su 16 della Terapia intensiva». Sempre più degli attuali, ma il beneficio per i cittadini potrebbe anche risultare invisibile. Appena attivate queste sale, chiuderanno per ristrutturazione le vecchie, quindi gli spazi a disposizione resteranno gli stessi. E soprattutto è ancora impossibile azionare il bisturi dopo le 14.30, salvo sporadiche occasioni.Così in lista d'attesa ci sono anche 200 pazienti. Aspettano dai 6 mesi in su per essere operati. Possono saltare la fila solo se, malauguratamente, intanto peggiorano. Precedenza hanno i tumori (intervento entro un mese) o altre indifferibili urgenze. «Ma aumentare pazienti e sedute - commenta Lattuada - significa ampliare tutti i servizi di supporto, dalla Radiologia all'Anatomia patologica, alle degenze, con più medici e ancora più infermieri». Dunque, impossibile, «anche perché nel frattempo Cattinara ha aumentato l'attrazione di pazienti esterni, nel piano 2009 diremo tutto ciò alla Regione, ma è anche un fatto di costi - prosegue il direttore sanitario -, oggi 15 persone con tumore costano in farmaci 800mila euro, se andiamo a 20 siamo a un milione e 200mila».«E per fortuna i nostri medici sono bravi a usare consapevolmente farmaci vecchi e nuovi - considera invece Zigrino aggiungendo che mai un direttore generale proibirà a un medico la prescrizione di una medicina perché cara -, così la proiezione del nostro disavanzo risulta pari a un quarto di quello di Udine e a un terzo rispetto al Cro».La chirurgia dirotta il più possibile sulla «day surgery» (operazioni senza degenza) dove l'attesa è attestata sui 3 mesi. «Facciamo i salti mortali - dice un chirurgo - appena si apre un posto anticipiamo un paziente, ma qui non sforare l'orario è ormai l'obiettivo principale delle équipe...». Conferma Zigrino: «Gli infermieri chirurgici non accettano di sforare l'orario anche se possono recuperare ore libere fino alla giornata intera, e non accettano più il compenso sulle ore aggiuntive, che è di 28,30 euro lordi all'ora. Pare poco. Abbiamo proposto alla Regione di alzare il compenso a 35-40 euro. O di poter fare una contrattazione aziendale. Altri spazi di manovra - conclude il direttore - non ce ne sono, salvo dire che gli infermieri non sono complessivamente pochi, ma male distribuiti, qualcuno per esempio mi spiega perché a bordo del 118 devono viaggiare in due?».



Pronto soccorso anche al Maggiore
i pazienti spostati con il bus-navetta

Il Piccolo di Trieste del 12/11/2008 ed. Nazionale p. 26

Dopo anni di martellante azione di convincimento sui cittadini affinché abbandonassero l'idea di usare l'ospedale Maggiore e soprattutto il Pronto soccorso (trasformato l'aprile scorso in Centro prime cure solo per malanni non gravi) ora il Pronto soccorso di Cattinara soffocato di pazienti e con l'indice di aumentato accesso più alto del Friuli Venezia Giulia piega la testa e riporta la gente a valle, all'ospedale di città.Lo fa con un'ambulanza-navetta attiva dalle 9 alle 20 dove il paziente cui siano state riscontrate patologie a giudizio dei medici abbastanza lievi viene alloggiato in compagnia di un infermiere-autista della Sogit. Il quale sarà dotato di un telefono per tenersi in contatto coi medici e sarà anche il latore della documentazione clinica. Non appena arrivato al Maggiore, l'infermiere-autista dovrà consegnare l'incartamento all'infermiere dell'altro ospedale. Il paziente, dice l'Azienda ospedaliera, «potrà essere accompagnato da un parente».Dietro questa operazione di traslochi c'è una sorta di rimprovero proprio al cittadino, il quale si sta dimostrando uno scarso medico di se stesso, e dunque sbaglia bersaglio e risponde male all'organizzazione pensata per lui: deve andare al Maggiore se la sua situazione non è grave, e a Cattinara se è grave. Purtroppo la gente spesso conosce la propria situazione solo dopo essere stato esaminato da un medico, e non prima. Così dovrà fare adesso il doppio viaggio, che il Pronto soccorso di Cattinara annuncia come «un ulteriore snodo operativo volto a garantire ai cittadini accertamenti e cure più rapidi e appropriati, specie quelli radiologici». «Qualora al Maggiore si riscontrino tempi più brevi per visite ed esami l'operatore del Pronto soccorso - si dice - , al corrente in tempo reale della situazione nell'altro polo ospedaliero grazie alla postazione informatica, avrà il compito di stabilire l'opportunità di trasferire il cittadino in condizioni di autosufficienza e non critiche».In trasferta andranno la piccola traumatologia risolvibile a livello ambulatoriale, le contusioni, le distorsioni, le piccole ustioni e ferite, le punture d'insetti, i morsi di animale, le emergenze oculistiche, odontoiatriche o dermatologiche «che da sempre fanno riferimento al Maggiore». Si tratta di circa 30-40 pazienti al giorno.Tutto ciò di fatto riattiva le funzioni del vecchio ospedale, e soprattutto sgrava Cattinara. Lo dicono le cifre: da maggio a settembre al Maggiore si sono presentate 78 persone al giorno contro le 147 di Cattinara, per un totale di 225 cittadini al dì, contro i 212 dello scorso anno. «I tempi d'attesa - precisa l'Azienda ospedaliera - sono però calati passando a Cattinara da 18 a 13 minuti e da 8 a 6 al Maggiore». (g. z.)



La Cgil: qualità degli ospedali affossata dal decreto Brunetta

Il Piccolo di Trieste del 12/11/2008 ed. Nazionale p. 26

Il dispositivo del governo prevede un'assunzione ogni nove pensionamenti«La qualità dell'assistenza sanitaria negli ospedali triestini è a rischio. Ogni nove rapporti lavorativi cessati, ogni nove infermieri o ausiliari che causa fine del contratto o a seguito di pensionamento resteranno a casa, verranno sostituiti da un'unica persona. Uno ogni nove: così prevede il decreto Brunetta».Un pericolo, quello evidenziato dalla Cigl, che andrebbe ad incidere sul rapporto numerico tra infermieri e pazienti. «L'organico è già sottodimensionato - spiega Rossana Giacaz della segreteria funzione pubblica sanità - a tal punto che infermieri e operatori sono costretti ad andare a lavorare ammalati, a coprire con ore di straordinario la gestione dell'ordinario. Eppure, i nostri direttori generali non avanzano perplessità di fronte al provvedimento del governo che prevede di ridurre di un nono il personale del pubblico impiego. Nel calderone finisce pure il personale sanitario che andrebbe trattato con un occhio di riguardo». Un monito ad intervenire la Cigl lo lancerà con una lettera aperta ai direttori generali dell'Ass affinché chiedano alla Regione di aumentare le risorse da destinare alla realtà triestina. «I vertici dell'Ateneo hanno saputo alzare la voce per difendere i tagli che li stanno sacrificando - sottolineano la Cigl - mentre quelli dell'Azienda se ne stanno zitti». Esclusi i medici, nei due nosocomi triestini lavorano 2.400 persone, mille nel comparto dell'Ass e 700 al Burlo Garofolo.«Durante i pomeriggi un reparto di medicina ha solo un infermiere e un'Oss per 40 pazienti, - riferisce Fabio Pototschnig, segretario provinciale Fials - e alcuni infermieri hanno un anno di ferie da recuperare. Su un fabbisogno di 93 Oss, ne sono state assunte solo 43. C'è gente che, viste le condizioni di lavoro, si licenzia dopo pochi giorni». Il pericolo è che a venir meno sia la qualità dell'assistenza sanitaria. «Per tamponare la situazione - avvisa Pierpaolo Brovedane, medico in reparto di terapia intensiva e rappresentante della Cigl medici - si modificheranno gli standard qualitativi: verranno adattati alle risorse a disposizione e non al fabbisogno. A Lubiana c'è ormai un rapporto superiore infermieri-pazienti». I sindacati mal digeriscono anche il termine con cui Brunetta ha apostrofato i dipendenti del pubblico impiego: «Se nei nostri ospedali ci sono fannulloni vogliamo che i dirigenti facciano nomi e cognomi».Laura Tonero



I primi infermieri made in Livorno

Il Tirreno del 12/11/2008 ed. Livorno p. 8

Concluso il corso di laurea iniziato tre anni fa
LIVORNO. Sono arrivati al traguardo i primi 33 infermieri "made in Livorno", ossia i ragazzi che hanno frequentato il primo corso di laurea triennale in scienze infermieristiche presso il nostro ospedale, quello inaugurato nel 2005. Un corso di laurea vera e proprio, frutto di un decentramento sperimentato con successo, e quindi proseguito, dall'ateneo pisano. Per Livorno questa operazione ha significato non solo il coronamento di un'antica aspirazione ma anche riprendere, portandola ai massimi livelli, la tradizione della scuola professionale per infermieri che fu chiusa a metà degli anni'90.Quella che era comunemente chiamata "scuola convitto" e che formò generazioni di infermieri, prima come corso regionale biennale, poi come sede di tirocinio per il diploma universitario ed infine come sede decentrata del tirocinio e delle materie professionalizzanti per il corso di laurea. Una laurea che in questi giorni ha conseguito un primo gruppo dei 33 aspiranti infermieri. Emozionati, felici, in trasferta a Pisa per discutere la tesi perché pur sempre alla Facoltà di Medicina fa capo il corso di laurea in scienze infermieristiche. Emozionata quanto e forse più di loro suor Ernesta, che in questa avventura ha messo tutto il cuore e ora esulta mentre il rettore si complimenta per la preparazione dei ragazzi e mentre ben cinque studenti della prima "pattuglia" se ne sono tornati a casa con un bel 110 e lode. Tra questi c'è Marco Bianchi (tesi di psichiatria), liceo scientifico, poi un'esperienza alla facoltà di Lettere, qualche lavoretto e finalmente la scelta giusta: «Voglio diventare infermiere». Del resto si tratta di una figura professionale molto richiesta e ora, con la laurea, ancora più qualificata, l'interfaccia tra medico e paziente.Insomma, molte cose sono cambiate da quando la Scuola convitto venne istituita a Livorno nel 1960, perché molto diversa era allora la figura dell'infermiere. Alcuni requisiti per l'ammissione appaiono oggi come aneddoti: per l'ammissione alla scuola era richiesta o la licenza di scuola inferiore, o il titolo della scuola di avviamento professionale. Ma, oltre a questo, per la sua natura di "convitto", potevano accedervi "solamente donne, di sana e robusta costituzione, di altezza non inferiore al metro e 55, prive di difetti fisici che potessero menomare il rendimento ed il prestigio del servizio", come recitava un regolamento tratto dalla delibera commissariale n 55 del 12 dicembre 1960.Con il mutare delle esigenze nel mondo sanitario, nel 2000 ecco la nascita della laurea in Infermieristica. In questo processo evolutivo la figura dell'infermiere è cambiata radicalmente, da un punto di vista giuridico e professionale, andando ad acquisire contenuti professionali ben specificati, rispetto ai quali il "professionista infermiere" ha una piena responsabilità nelle decisioni e nelle scelte. Una professione che oggi richiede quindi un elevato livello di preparazione non solo scientifica, ma anche di tipo organizzativo e manageriale, e che sta ottenendo il riconoscimento formale del suo altissimo valore etico, sociale e professionale. Il percorso formativo del "professionista infermiere" richiede pertanto l'integrazione tra le competenze scientifiche possedute dalle Università e la ricchezza di esperienze acquisite nel campo professionale e formativo dal personale delle aziende sanitarie. Ed è in questa ottica che Comune, Università di Pisa, Regione Toscana e Azienda Usl 6 hanno voluto attivare assieme questo corso di laurea in Infermieristica, tutto livornese.



Infermieri indagati, Cgil solidale

Il Trentino del 12/11/2008 ed. Nazionale p. 49

L'accusa è di esercizio abusivo della professione medica
CLES. «Credo che si sia sollevato un gran polverone per nulla»: questo è il primo commento di Michele Olivieri della Cgil alla notizia che ventitrè infermieri della Casa di riposo di Cles andranno a processo. Ne abbiamo riferito in cronaca di Trento nell'edizione di ieri del giornale. Lo sviluppo della vicenda giudiziaria nasce da un precedente del febbraio scorso quando due infermieri della struttura per anziani sono stati condannati a pagare un'ammenda di 300 euro.In breve, i due infermieri sono stati condannati per aver somministrato farmaci agli ospiti della struttura senza la dovuta prescrizione medica. Va precisato che si trattava di farmaci (tranquillanti e analgesici) abitualmente assunti dagli ospiti ma, nei casi contestati, erano stati somministrati su richiesta degli utenti, senza preventiva autorizzazione medica.In febbraio la condanna e, ora, il rinvio a giudizio dei 23 infermieri. Per tutti l'accusa, secondo il pm Giuseppe de Benedetto, è di esercizio abusivo della professione medica: se ne discuterà nell'udienza fissata al tribunale di Cles per il 4 marzo prossimo.Ma il sindacalista Olivieri stenta a credere che la situazione sia così straordinaria. «Si sa benissimo - spiega - che gli infermieri agiscono su delega, più o meno espressa, dei medici... è stato sollevato un polverone per poco». Aggiunge di essere certo che non ci siano stati comportamenti intenzionalmente scorretti: «Immagino che nessun utente abbia avuto danni». Il rappresentante della Cgil si rende però conto della situazione nella quale si trova il personale ed esprime la solidarietà del sindacato, con la disponibilità ad affiancarli, anche legalmente, qualora lo ritenessero necessario.


Lettere e commenti

L' Adige del 12/11/2008 p. 68

Animali maltrattati Ci si indigna troppo poco C ' è qualcosa che non va: tre casi di maltrattamenti ad animali in pochi giorni. Ai fenomeni che si divertono a sparare a rapaci e gatti e a prendere a calci un micetto (tutti e tre hanno sofferto una lunga e dolorosa agonia) consiglio di provare a fare altrettanto con un proprio simile, magari bello grosso, a mani preferibilmente nude; o provare a prendere a calci un cane di taglia grossa, o un mulo e poi vediamo chi ha ragione. Le vere bestie sono quelle che pensano ed agiscono contro poveri animali indifesi, e anche chi vede e si gira a guardare da un'altra parte. Purtroppo ci si indigna sempre troppo poco verso questi atteggiamenti inqualificabili e intollerabili. Daniele Locci - Roncegno Sto cercando testimoni sull'auto «pirata» A Cles il giorno venerdì 9 novembre 2008 ore 17.45 circa in via Trento vengo speronato nella parte sinistra anteriore da una macchina che esce dai vicini supermercati (Regina - Eurobrico). Riparte quasi subito e prosegue verso Cles senza fermarsi. Mentre valuto i danni causati, altre macchine che sopraggiungono mi impediscono ulteriori dettagli del «pirata». Se qualcuno avesse notato altri particolari può telefonare ai carabinieri o a questi numeri: 3392118175 - 0463/754267. Antonio Debiasi Portone poco sicuro ma l'Itea ci ignora S iamo proprietari di appartamento Itea in Trento via Bezzi 6, in uno stabile abitato complessivamente da otto famiglie. Già nel mese di maggio 2000 avevamo chiesto all'Istituto di sostituire la porta d'ingresso dell'edificio, in quanto scardinata e deformata, assumendone la relativa parte ai sottoscritti. Problema «risolto» per l'Itea con un semplice intervento di falegnameria. In data 17 dicembre 2007, con raccomandata, abbiamo segnalato nuovamente all'Itea che la porta, causa ripetuti interventi di ristrutturazione in ben tre appartamenti e relativi traslochi, è ridotta in pessime condizioni, non garantendo la sicurezza necessaria. Nessun riscontro. Quindi, il 6 maggio 2008, per tutelare i comuni interessi, ci siamo rivolti all'Ufficio del difensore civico che, immediatamente, ha scritto al responsabile dell'Ufficio patrimonio dell'Itea. Non essendo pervenuta alcuna risposta alla data odierna, poniamo la questione alla considerazione dei cittadini. Gloria Parotto Diego Renzi - Trento Reumatologia, un grazie al dottor Girardi I n seguito a problemi familiari collegati alle malattie reumatiche, dal 2002 sono iscritta all'Associazione Trentina Malati Reumatici (credo molto nel potere delle associazioni, non dimentichiamo che sono voce di popolo), ho conosciuto il dottor Girardi personalmente e devo affermare che era una gran «bella persona», una persona con la «P» maiuscola. Molto umana primariamente e determinata, pur avendo una morale molto solida, non si fermava di fronte a nulla per raggiungere gli scopi dell'associazione. Per l'associazione ha fatto tantissimo, sicuramente ha avuto una parte importantissima per il riconoscimento ufficiale «dell'unità operativa di Reumatologia», di cui è responsabile il dottor Paolazzi supportato giornalmente da tutta la sua valida equipe medica ed infermieristica. È alle porte l'incontro d'autunno organizzato annualmente dall'associazione in collaborazione con il personale dell'unità operativa di Reumatologia, quest'anno è un incontro davvero speciale «La Reumatologia incontra i malati reumatici del Trentino», sarà un incontro con tutti i medici e gli infermieri dell'unità operativa rivolto ai pazienti affetti da malattie reumatiche, se tutto questo è diventato realtà dobbiamo dire: «Grazie dottor Girardi». Il nostro caro dottore dopo aver fondato l'associazione e dopo anni di attività in prima linea per essa, è stato sostituito da circa un anno dalla dottoressa Marchionne che lo accostava già da diversi anni nelle sue attività, persona di grandi capacità, probabilmente rafforzate grazie al bravo maestro che è stato il dottor Girardi e che saprà sicuramente mantenere ed allargare il suo operato. Daria Rizzoli - Cavalese Adesso Dellai si concentri sui problemi della sanità L unedì 11 novembre mi sono recato con mia figlia presso il reparto di neonatologia dell'Ospedale Santa Chiara per la solita visita di routine. Fin qua nulla di strano, come non mi è nuova la gentilezza del personale infermieristico e medico di reparto che si ferma a chiacchierare e salutare. Professionale e gentilissima anche la dottoressa che visita periodicamente mia figlia e la segue nel suo crescere quotidiano. Nel parlare mi viene raccontato che il reparto è sempre pieno di bambini, anche piccoli o piccolissimi. Al che penso e ringrazio che vi sia un reparto cosi, perché quotidianamente tante vite vengono salvate e le sofferenze dei genitori vengono trasformate con il tempo in gioia. Poi mi viene in mente l'articoletto pubblicato in questi giorni dal dott. Pedrotti (ex primario del reparto) il quale si lamenta delle tante promesse fatte per risolvere i problemi del reparto (spazi insufficienti, attrezzature insufficienti, personale all' osso e quant' altro) ma che nulla è stato fatto. Ecco che allora richiamo alla mente la nuova giunta, quella di Lorenzo III per capirci, alla quale voglio segnalare l'esistenza ed il permanere di questo problema che arriva dal passato e soprattutto a tutte le promesse fatte un anno fà che sono rimaste ancora evase. È vero, è solo uno dei tanti problemi, ma credo sia ora di correre ai ripari, anche perché questi bambini con tanta fretta di nascere, sono in continuo e forte aumento mentre la struttura di cui e dotato il Santa Chiara è rimasta ferma all'inizio degli anni 90. Pertanto neo-eletto presidente, prenda atto che la sanità è piena di piccole o grandi problematiche (vedi anche part-time infermieri) e inizi a risolverle o perlomeno a tamponare la dove è da tanto che non si investe o la dove tante promesse sono state celebrate, ma nulla è stato concretamente fatto. Luca Frapporti Padre Fabio a Sanzeno testimonia il Vangelo C on riferimento all'articolo apparso sull'Adige di martedì 28 ottobre «Sul voto scontro tra parroco e Lega», mi sento in dovere, anche nella mia qualità di amministratore comunale, di precisare quanto segue. La presenza a Sanzeno in questo ultimi anni dei Padri conventuali (e, fra essi, di padre Fabio Scarsato) sta rappresentando per la comunità un'occasione di maturazione, oltreché religiosa, anche civile, sociale e culturale. Infatti le numerose attività messe in campo dai Padri nel settore giovanile (dai campi estivi all'oratorio) consentono ai nostri ragazzi di incontrarsi, conoscersi meglio, utilizzare con intelligenza il tempo libero, gettare le basi di relazioni migliori e più sincere per il futuro. Senza dimenticare l'impegno nel campo culturale, che ha dato vita, in stretta e proficua collaborazione con il Comune, a mostre, convegni, incontri che, da un lato, hanno consentito alla comunità di confrontarsi su temi di attualità legati alla complessità del mondo moderno, e dall'altro hanno permesso di far conoscere ancor meglio Sanzeno e le sue ricchezze culturali all'esterno (e non mi pare cosa da poco). Vorrei però sottolineare, da laico quale sono, un ulteriore aspetto dell'attività dei padri che mi ha colpito: la loro grande umanità ed una concezione del cristianesimo profondamente genuina e calata nella vita quotidiana delle persone. Per padre Fabio, in particolare, testimoniare il Vangelo non significa (come vorrebbero certuni) rinchiudersi in sacrestia, interpretando il proprio ruolo in modo meramente formale ed asettico, ma confrontarsi con i problemi veri della gente, con particolare riferimento a chi è più povero, emarginato, rifiutato da una società egoista ed autoreferenziale. Questo è lo spirito che informa l'opera di padre Fabio (unitamente ai suoi confratelli) e che gli consente di «curare le anime dei fedeli» in modo autenticamente cristiano. Chi non lo capisce o è disinformato o è in palese malafede. Alessandro Branz12/11/2008



«Infermieri professionali non scorre la graduatoria Usl3»

La Sicilia del 11/11/2008 ed. Nazionale p. 42

Ringraziando, la vostra rubrica per l'opportunità concessa, vorrei far conoscere la mia situazione lavorativa attuale. Da circa 6 anni, sono stato assunto, con incarichi a tempo determinato, in qualità di Infermiere professionale, nell'Ausl 3 di Catania, circa 2 anni fa la stessa Azienda bandisce un concorso per 63 Infermieri Professionali. L'anno scorso, alla fine dell'iter concorsuale, viene stilata la graduatoria finale del concorso e vengono spedite le raccomandate ai 63 vincitori di concorso, ma di questi solo, circa, 40 accettano l'assunzione, dove sta l'inghippo? Ebbene, sembrerà strano, ma fino a oggi non si è provveduto a far scorrere la graduatoria, in modo, da effettivamente assumere le 63 unità. Cosa ancora più grave, il fatto, che un numero imprecisato di lavoratori assunti con questo concorso, a distanza di un anno, si sono licenziati per tornare alle Aziende Ospedaliere da cui provenivano. A questo punto, mi domando, ma è mai possibile che io e come me tanti altri colleghi, che siamo in graduatoria di questo benedetto concorso, che prestiamo la nostra professionalita' da anche 6-8 anni, dobbiamo veder sfumare la possibilità di avere un contratto a tempo determinato? Si parla tanto di piano di rientro del deficit della sanita' regionale, ma nessuno dice, che da una ventilata riorganizzazione del servizio 118, si e' passato a taglio dei posti letto, all'accorpamento degli ospedali, al ridimensionamento delle Unità operative, ma dove si mettono le esigenze degli utenti e dei lavoratori? ( LETTERA FIRMATA )


«Difendiamo il nostro sciopero»

Messaggero Veneto del 12/11/2008 ed. Gorizia p. 2

Gli infermieri: non ci scordiamo regole ed etica professionali
NurSind Gorizia, il sindacato delle professioni infermieristiche, resta sbalordito dalle innumerevoli segnalazioni che l'Associazione dei donatori di sangue (Advs) fa da alcuni giorni sulle maggiori testate giornalistiche della provincia contestando un malfunzionamento del servizio durante la giornata del 31 ottobre, in occasione dello sciopero nazionale degli infermieri. «Prendere l'occasione dello sciopero, per denunciare una mal organizzazione aziendale mi sembra - afferma il segretario provinciale, Luca Petruz - di cattiva fattura: gli operatori hanno sempre dato il massimo per implementare al meglio la loro "mission" aziendale e il servizio si è sempre messo a disposizione della cittadinanza collaborando con l'associazione».Durante l'attività giornaliera gli operatori che svolgono tale servizio sono 8 infermieri di cui 3 in part-time, che coprono l'attività di raccolta sangue a Gorizia, Monfalcone, Grado, Cormòns e Unità mobile raccolta plasma. In una giornata di sciopero sono precettate due unità infermieristiche, una a Monfalcone e una a Gorizia. L'infermiere presente in servizio effettua le donazioni di sangue ai donatori di sangue intero e l'attività ambulatoriale considerata urgente (plasma exchange-trasfusioni urgenti-somministrazione emoderivati). Il medico nella giornata di sciopero è precettato in reperibilità (un unico medico fra Gorizia e Monfalcone) e quindi può, a sua discrezione, effettuare o meno le donazioni di sangue.«Ora, con tutto il rispetto che noi infermieri portiamo a un'utenza così importante come quella dei donatori di sangue, ricordiamo che: il donatore di sangue è persona sana, in grado di programmare e rimandare la propria donazione tenendo conto del giorno dello sciopero ampiamente pubblicizzato sulla stampa. Il disagio subito dai pazienti malati o anziani nelle varie unità operative o ambulatori in caso di sciopero dei sanitari non è di gran lunga superiore»? si chiede Petruz.«Il donatore a sua volta, in particolar modo nei giorni di sciopero generale, utilizza la giornata di sciopero per effettuare la sua donazione, annullando così il danno economico derivante dall'assenza sul posto di lavoro. I Centri trasfusionali sono sempre particolarmente affollati nei giorni di sciopero: va da sè - aggiunge il segretario del sindacato - che lo sciopero dei personale sanitario crea notevoli disagi».«Carenza di sangue? Emergenza? L'attività di raccolta è programmata. In caso di emergenza vera e propria credo che tutta l'équipe infermieristica si scorderebbe scioperi e recriminazioni di sorta pur di far fronte alle esigenze della popolazione. Non ci scordiamo regole morali ed etica professionale! Ma in questo frangente il sangue non donato in caso di sciopero, non poteva essere donato prima o immediatamente dopo? La domenica non si raccoglie e il giorno di sciopero si deve farlo»?Conclude il rappresentante del Nursind: «Vogliamo solo sancire il nostro diritto allo sciopero senza tante recriminazioni e polemiche».


L'ingresso in una casa di cura

Donna Moderna del 12/11/2008 N.46 - 19 NOVEMBRE 2008 p. 112

Tutti le chiamano "casa di riposo" o "istituto di cura". Nei Piani sanitari regionali, invece, le strutture che assistono anziani parzialmente o non autosufficienti sono indicate come Rsa (Residenza sanitaria assistenziale) o Centro ser vizi alla persona. Trasferire il genitore anziano in una struttura di questo tipo, per i figli è sempre una scelta sofferta. «I sensi di colpa non portano da nessuna parte. Piuttosto, bisogna impegnarsi per trovare il centro che offre più ser vizi possibili, come se ci si trasferisse in una casa più confortevole. Perché la vita va avanti anche quando c'è bisogno di assistenza continua» spiega Delio Fiordispina, direttore della residenza per anziani e centro diurno Villa Serena, gestita dal Comune di Montaione (Fi). Ogni Rsa può essere gestita dal Comune, dall'Asl locale o da cooperative sociali, enti religiosi e società private. Ecco come fare domanda. Il percorso: la scelta del posto Il primo passo è quello di rivolgersi al proprio medico di famiglia o a un assistente sociale. A questo punto, come quando si fa richiesta per l'assistenza domiciliare (vedere a pagina 108), l'Unità di valutazione geriatrica ha il compito di testare il grado di non autosufficienza dell'anziano. Dopo aver ottenuto la cosiddetta "impegnativa (oppure voucher) di residenzialità", si può compilare la domanda di ricovero. Sulla quale serve l'esplicito consenso da parte dell'anziano o di un familiare che si prende cura di lui. Se la struttura è pubblica. Prima di fare la domanda di ricovero, è bene verificare che la casa di riposo pubblica sia convenzionata con il Ser vizio sanitario nazionale. In questo caso, infatti, gli anziani possono usufruire delle cosiddette "quote di rilievo sanitario", rivolte ai cittadini non autosufficienti. Il vantaggio è che le spese sono più basse perché lo Stato contribuisce con un aiuto che può arrivare fino a 60 euro al giorno. In pratica, chi ottiene l'impegnativa di residenzialità, paga da 45 a 50 euro circa al giorno, a seconda della struttura. Lo svantaggio è che i posti pubblici sono pochi e si entra in base alle disponibilità dei letti. Al momento della domanda, quindi, si viene messi in lista di attesa, secondo un ordine che tiene conto di tre aspetti: la data in cui è stata fatta la domanda, se si è o no residenti nel Comune in cui sorge la struttura, la gravità dei problemi dell'anziano. Se la struttura è privata. In genere si prende in considerazione l'eventualità di una casa di riposo privata quando è molto urgente trovare una soluzione. E non si può aspettare di arrivare in cima alla lista di attesa. Lo svantaggio, però, è che, in questo caso, la retta si paga per intero. In pratica, si può spendere una cifra che va da 60 fino a 90 euro al giorno. La domanda: come muoversi I documenti. Insieme alla richiesta di ammissione (completa dei dati anagrafici del paziente) occorre consegnare alla casa di riposo anche tutti i documenti medici: ricoveri recenti, esami di laboratorio, cartelle cliniche e così via. In più, ser ve la certificazione del medico curante circa lo stato clinico del paziente. I colloqui. La domanda di ricovero è accompagnata da uno o più incontri con l'assistente sociale o con un operatore socio-sanitario della struttura. In queste occasioni, occorre spiegare nel dettaglio quali sono le caratteristiche psicologiche dell'anziano, la qualità delle relazioni famigliari e parlare dei propri timori circa l'eventuale sensazione di disagio o il trauma da distacco che il famigliare potrebbe subire. «Allo stesso tempo, questi incontri sono utili anche per i figli e i famigliari dell'anziano» spiega Damiano Mantovani, presidente dell'Associazione nazionale manager del sociale. «Attraverso una serie di domande, infatti, possono farsi un'idea della qualità e quantità dei ser vizi offerti dalla casa di riposo, del regolamento interno, della preparazione del personale e così via». Per esempio: quanti sono i medici e gli infermieri a disposizione? C'è la palestra o la piscina per la riabilitazione e la ginnastica? Quanti animatori si alternano per le attività ricreative e i laboratori? La struttura è dotata di spazi all'aperto? Raccogliere più informazioni possibili, infatti, è l'unico modo per mettersi al riparo da eventuali brutte sorprese». Se l'anziano è gravemente malato o non autosufficiente, infine, gli addetti della casa di riposo faranno anche una visita a casa o nell'ospedale in cui è ricoverato. I consigli: cosa valutare 1. Leggere la Carta dei Servizi. Ogni Rsa ne ha una ed è bene esaminarla per conoscere i ser vizi garantiti e le regole di convivenza. Come gli orari in cui si può fare visita, a che ora si mangia e quali attività ricreative si organizzano. 2. Verificare quanto personale c'è. «Ogni Regione stabilisce il numero minimo di professionisti. La Toscana, per esempio, è tra quelle che ne richiede di più: un infermiere ogni 10 anziani non autosufficienti, un terapista e un animatore ogni 40, e un operatore socio-sanitario ogni due. In Lombardia, invece, è obbligatorio che nello staff del centro ci sia anche del personale medico. Altrove, invece, in caso di bisogno ci si rivolge a un ambulatorio esterno» spiega Delio Fiordispina, direttore della residenza per anziani e centro diurno Villa Serena, del Comune di Montaione in provincia di Firenze. 3. Valutare gli spazi. Una struttura troppo grande può disorientare un anziano. Non a caso, molte Regioni stabiliscono un limite di 120 posti letto. Gli ambienti, poi, non devono ricordare l'ospedale: gli arredi dovrebbero essere in legno e le camere personalizzabili dagli ospiti. Per le stanze, infine, ci sono dimensioni minime stabilite dai regolamenti regionali. In genere, si va da 18 metri quadrati per una camera doppia ai 12 della singola. 4. Informarsi circa gli extra. Altri dettagli da non trascurare sono: la varietà del menu, se c'è il telefono diretto in camera (magari, anche il nome sulla porta) e che la posta non sia aperta prima dal personale. «Così gli anziani si sentono benvoluti, e non solo degli ospiti» conclude Delio Fiordispina.Un modello da copiare
Il buon esempio di MontaioneMontaione è un piccolo comune in Provincia di Firenze con una particolarità: oltre il 25 per cento dei suoi 3.600 abitanti ha più di 65 anni. Proprio per questo, il sindaco Paola Rossetti ha pensato di adattare il centro storico, alle loro esigenze. E nel 2005,è nato il progetto Montaione d'argento . Di che si tratta. Prima di tutto è stata creata una commissione speciale formata da medici e infermieri, assistenti sociali e vigili urbani che si incontra periodicamente per valutare la situazione degli anziani del posto. E che, a seconda dei problemi, discute su come migliorare la loro qualità della vita. Così, negli ultimi tre anni, la gran parte degli arredi urbani è stata sostituita, diventando più accessibile per gli over 65. Negli uffici postali, poi, sono state aggiunte delle poltroncine, mentre sono sparite tante barriere architettoniche, in modo da facilitare il passaggio delle carrozzelle sui marciapiedi. E nei giardini delle scuole ci sono delle panchine per permettere ai bambini di trascorrere più tempo con i loro nonni. Non è finita. Con l'Auser, l'associazione di volontariato che promuove l'invecchiamento attivo della terza età, sono stati messi a punto anche servizi come la consegna dei medicinali e dei pasti a domicilio, un servizio utile soprattutto d'inverno, visto che da queste parti nevica molto.


Il sostegno a domicilio

Donna Moderna del 12/11/2008 N.46 - 19 NOVEMBRE 2008 p. 108

Un anziano si sente a proprio agio soltanto a casa sua. «A differenza dei giovani, che sono proiettati all'esterno e verso il futuro, i nonni vivono di ricordi e sono tranquilli se circondati dagli oggetti personali e dalle persone che amano. Ecco perché, mentre l'ambiente famigliare li può predisporre alla guarigione, il trasferimento all'ospedale o in una residenza per anziani li lascia disorientati, rendendoli più fragili» spiega Rossana De Beni, presidente della Società italiana di psicologia dell'invecchiamento (tel. 3474608926, www.sipinvecchiamento.it). Il primo obiettivo dei famigliari, quindi, dovrebbe essere quello di accudire l'anziano non più autosuf ficiente a casa sua. Perché ciò sia possibile, però, una famiglia ha bisogno di aiuto. Vediamo quali soluzioni sono oggi a disposizione di un anziano e dei suoi cari. La domanda: come muoversi Il nostro Sistema sanitario nazionale prevede l'assistenza a domicilio degli anziani. La svolgono, a seconda delle necessità, medici, infermieri, terapisti della riabilitazione e operatori sociali. Che si alternano per favorire il recupero di un anziano che ha subito un ricovero ospedaliero o per garantire assistenza in caso di malattia cronica o invalidità. Per compilare la domanda, i famigliari possono rivolgersi al medico curante o ai Ser vizi sociali della Asl di zona. Fatta la domanda, cominciano i controlli indispensabili per stabilire quali ser vizi sanitari è necessario attivare. A occuparsene è la cosiddetta Unità di valutazione geriatrica (Uvg), una commissione speciale, composta da un geriatra, un assistente sociale e un infermiere. «Attraverso un attento esame multidisciplinare, l'Uvg valuta l'autonomia, i dati clinici e la capacità cognitiva dell'anziano in difficoltà. A questo punto, viene compilata una scheda che stabilisce il grado di non-autosufficienza, sulla base di una scala di punteggio che va da 1 a 17» spiega Damiano Mantovani, presidente dell'Associazione nazionale manager del sociale, formata da direttori e dirigenti di istituzioni pubbliche e private in ambito assistenziale, socio-sanitario ed educativo (tel. 0425594651, www.ansdipp.it). L'Uvg ha anche il compito di tenere sotto controllo la situazione nel tempo, in modo da modificare il tipo di ser vizio se le condizioni dell'anziano migliorano oppure se si aggravano. Per gli anziani soli o senza parenti in grado di assisterli, infine, c'è un'altra possibilità. Quella di chiedere al proprio Comune l'assistenza a domicilio che comprende anche le pulizie domestiche e il disbrigo di pratiche e anche commissioni. È un ser vizio gratuito rivolto a persone con più di 70 anni e con un reddito inferiore a 500 euro mensili. Per avere ulteriori informazioni, basta chiedere ai Servizi sociali del proprio Comune. I più richiesti: Sid e Adi La sigla Sid. Significa Ser vizio infermieristico domiciliare. Si rivolge agli anziani che sono ancora parzialmente autosufficienti e consiste nell'assistenza per assunzione di farmaci, uso del catetere e medicazioni, prelievi del sangue o misurazione periodica della pressione. Al Sid ci si può rivolgere anche per l'assistenza domiciliare di un malato in fase terminale. Nel complesso, si tratta di un tipo di assistenza semplice e non specialistica. La sigla Adi. Vuole dire Assistenza domiciliare integrata: un ser vizio su misura per pazienti affetti da malattie cronico-degenerative che hanno bisogno di un programma di cura prolungato. Oppure per gli anziani che, dopo una frattura, sono momentaneamente costretti all'immobilità. A seconda delle necessità, l'assistenza prevede l'inter vento di infermieri, terapisti della riabilitazione, logopedisti oppure psicologi. Per gli anziani in condizioni disagiate, infine, l'Adi offre anche prestazioni come la pulizia della persona, il disbrigo di commissioni o la consegna dei pasti a domicilio. Un ser vizio che è a pagamento, con tariffe diverse in base al reddito, alla condizione sociale (per esempio, se l'anziano vive solo o in famiglia) e al grado di autonomia.Il centro diurno
Così ci si sente meno soliCe ne sono in tutti i più grandi Comuni. E non vanno confusi con i circoli sociali. Il centro diurno è una struttura pubblica semiresidenziale, aperta dalle 8 alle 20, anche la domenica. Può accogliere fino a un massimo di 30 ospiti, con problemi fisici e bisognosi di assistenza nello svolgimento di alcune attività quotidiane. Ecco come funziona: i famigliari accompagnano l'anziano ogni mattina, poi possono riprenderlo dopo pranzo o alla sera. «Il centro diurno, ogni giorno, garantisce agli ospiti assistenza infermieristica, psicologica e sociale e attività motorie personalizzate, grazie alla presenza di educatori e animatori» spiega Damiano Mantovani, presidente dell'Associazione nazionale manager del sociale. Tra i servizi previsti ci sono anche la mensa, la lavanderia, la cura dell'igiene personale, i laboratori creativi, il disbrigo di pratiche sanitarie o la prenotazione di visite specialistiche. Il costo della retta mensile cambia da una Regione all'altra ed è calcolata in base al reddito. Per conoscere i centri diurni presenti sul territorio, bisogna rivolgersi ai Servizi sociali del Comune di residenza. I quali si occupano anche di spedire la domanda di ammissione. Il collegamento a distanza Se a 20 anni vivere da soli è una conquista, a 70 è una situazione che crea ansia e paure. Per stare più tranquilli, si può richiedere alla propria Asl di attivare il servizio di teleassistenza. In cosa consiste? Nell'avere a disposizione, 24 ore su 24, un operatore che, in base al tipo di richiesta, organizza un intervento diretto. Basta collegare il telefono di casa, tramite un piccolo apparecchio, alla centrale di soccorso. E portare sempre con sé un semplice pulsante. In caso di necessità, lo si schiaccia e, subito, si attiva la chiamata. Quanto costa questo servizio? Dipende dal reddito ma, di solito, è del tutto gratuito per gli over 85 e per chi ha una pensione che non supera i 500 euro mensili. Il telefono amico 800995988. Nove cifre per vincere la solitudine e l'emarginazione degli anziani. Si chiama Filo d'Argento ed è un servizio dell'Auser (la sede nazionale è a Roma, tel. 06 8440771, www.auser.it), l'associazione di volontariato che promuove il cosiddetto "invecchiamento attivo" per la terza età. Le chiamate sono gratuite, senza scatto alla risposta, e si può telefonare tutti i giorni, dalle 8 alle 20. Solo nel 2007 i volontari dell'associazione hanno realizzato più di 500.000 interventi di aiuto. Le persone assistite sono soprattutto donne (il 69,4 per cento) con un'età superiore ai 65 anni e il 77 per cento vive nel Nord. In molti casi, telefonano per cercare compagnia o qualche parola di conforto. In altri, per chiedere aiuto. In questo caso, l'Auser, con le sue 1.500 sedi distaccate e i 40.000 volontari, si attiva per consegnare la spesa a domicilio o ritirare le medicine in farmacia. E ancora, accompagnare l'anziano ai controlli medici.



Sinergia tra pubblico e privato nella sanità:
una bella realtà al servizio dei cittadini

Il Sole 24 Ore - CentroNord del 12/11/2008 CENTRONORD p. 19

Èuno di quegli argomenti che danno origine a interminabili discussioni - e a ogni livello, dal tavolino del bar ai piani alti della politica dell'economia - alla fi ne delle quali, il più delle volte, ciascuno degli interlocutori resta della propria opinione, formata su personali esperienze, ideologie, pregiudizi. Sono discussioni che, in pratica, si limitano a girare intorno al problema, senza mai volere (o forse potere) affrontarlo alla radice. L'argomento è sempre di moda: Pubblico o Privato? E ancora più di moda - o meglio cogente, perché ne va della vita di ciascuno, intesa sia come qualità del vivere che come esistenza stessa della persona - è la sfera alla quale questa eterna questione è applicata: la Sanità. Sanità nel suo duplice signifi cato di "stato del corpo", sinonimo di buona salute, e dell'insieme di organismi, uffi ci ed enti preposti alla salute pubblica. Per fortuna che, al di là delle prese di posizione e delle interminabili discussioni, ci sono realtà che, in questo campo, stanno attuando - senza tanti clamori che, se danno visibilità, rischiano però di distogliere dai veri obiettivi - una felice e virtuosa integrazione tra il sistema pubblico e quello privato, avviando verso la soluzione annose situazioni di precarietà, che solo fi no a pochi anni fa sembravano proprio, fi siologicamente, "senza soluzioni". Uno dei campi in cui si attua questo connubio è quello di un'"emergenza" strisciante, spesso dimenticata dai "non addetti ai lavori" e da quelli che, fortunatamente per loro, non ne sono direttamente coinvolti come "pazienti", e riguarda i disturbi renali - le nefropatie - e la dialisi artifi ciale. Anche se negli ultimi decenni di passi avanti, nel campo della nefrologia, ne sono stati fatti molti - e da gigante - il costante aumento dell'"esercito" dei dializzati richiede una capillare diffusione territoriale di centri diagnostici e di assistenza, con strutture specializzate in regola con le normative, dotate di personale competente e di apparecchiature all'avanguardia. Non a caso, l'insuffi cienza renale, con tutti i disturbi ad essa collegati, sta assumendo sempre di più i contorni di una "malattia sociale", coinvolgendo i pazienti, i loro familiari, le strutture pubbliche e private. È chiaro che è questione non solo di garantire la sopravvivenza fi sica, ma anche di assicurare un certo livello di qualità della vita e di attenuare gli inevitabili disagi per il paziente e per tutto l'universo familiare e assistenziale che gli ruota attorno, si tenga presente che, in media, un dializzato si sottopone al trattamento due, tre volte alla settimana, con tutti i problemi di trasporto che ne conseguono, anche quando la struttura sia "centralizzata" rispetto al bacino di utenza. È soprattutto una questione di civiltà. Dove le aziende ospedaliere e AUSL hanno diffi coltà a fare fronte a questa continua "emergenza", nella gestione delle strutture, nel reclutamento del personale specializzato, nella manutenzione degli strumenti, è stato innescata una funzionale sinergia tra il settore pubblico e alcune Società di capitale privato, che sono in grado di assicurare il servizio sul territorio, alleggerendo in termini organizzativi, economici e gestionali il compito delle aziende ospedaliere. Naturalmente, nulla nasce dal nulla e nulla può essere lasciato al caso, soprattutto quando si tratta della salute (e quindi della vita stessa) delle persone. Un campo - meglio, una fi losofi a - che, solo fi no a pochi anni fa, era ancora tutta da esplorare. L'Azienda Sanitaria ha saputo avviare e portare avanti negli anni un progetto d'avanguardia di sperimentazione gestionale pubblico-privato dei centri di dialisi, con lo scopo di individuare la formula di gestione ideale che potesse essere utilizzata su larga scala ed un modello d'eccellenza da esportare in altre realtà nazionali. La sperimentazione ha consentito di individuare modalità organizzative e gestionali per razionalizzare il servizio, isolandone i "punti deboli" e individuando le soluzioni opportune per superarli. Un impegno non da poco, che richiede un certo coraggio e, soprattutto, la capacità di guardare in avanti, ma che è stato fondamentale per giungere alla defi nizione di appositi protocolli e alla redazione di specifi ci capitolati d'appalto. La sperimentazione del servizio integrato pubblico-privato è stata messa in atto dall'Azienda Ospedaliera nella gestione del C.A.L. (i C.A.L. sono i Centri dialisi decentrati di Assistenza Limitata, funzionalmente collegati all'Unità Ospedaliera di riferimento, con un numero di posti dialisi da 3 a 12 e presenza programmata, ma non continuativa, di un medico neforologo). La sperimentazione ha dato una serie di indicazioni utili per l'ottimizzazione del servizio, tra cui l'opportunità di fare evolvere la struttura da C.A.L. in "Centro Dialisi Decentrato ad Assistenza Continuativa" (cioè in un C.A.D., funzionalmente legato al Centro Ospedaliero e caratterizzato dalla presenza di un medico nefrologo per tutta la durata dei trattamenti). Si prevede una gestione del Centro su due turni giornalieri per sei posti letto nei primi due anni e il successivo passaggio a tre turni fi no al completamento dell'appalto, della durata complessiva di nove anni. Il Gruppo Spindial S.p.A., risponde in pieno a questi requisiti, disponendo di personale infermieristico ad elevata specializzazione con esperienza ultradecennale, in grado di gestire in modo autonomo tutte le attività connesse a un Centro Dialisi, comprese le emergenze. Per la gestione del Centro, Spindial S.p.A. mette a disposizione cinque infermieri sui due turni dialitici giornalieri previsti nei primi due anni di gestione, e sei infermieri quando il servizio passerà ai tre turni, impegnandosi, inoltre, nell'addestramento di personale infermieristico specializzato. Un impegno gestionale non indifferente, in quanto si prevede una quantità annuale di oltre 3.700 trattamenti (comprensivi delle tipologie di biofi ltrazione senza tampone nel bagno dialisi, emofi ltrazione on-line e Emodialisi con bicarbonato standard) per la gestione su due turni giornalieri e di oltre 5.600 trattamenti nel periodo di gestione su tre turni. Un'esperienza che si è rivelata molto positiva, in cui sono potute emergere appieno le potenzialità (sia in termini di risparmio che di funzionalità del servizio sul territorio) del sistema integrato tra il Servizio Pubblico e Società private che, si sono dimostrati perfettamente complementari. Una particolarità di questa esperienza è stata l'effi cienza dimostrata, nell'erogazione del servizio, dalla gestione decentrata, con l'affi damento ai privati della logistica e del personale infermieristico, che ha potuto essere addestrato direttamente sulle apparecchiature in dotazione, che utilizzano le tecnologie più avanzate.

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