sulla necessità di introdurre un nuovo codice deontologico
Il Gazzettino del 04/11/2008 ed. UDINE p. V
Udine
Un nuovo codice deontologico per gli infermieri per orientarli nella complessa gestione delle attività quotidiane di assistenza: su questo tema si confronteranno oggi pomeriggio, a partire dalle 14.30 nella sala Astra del cinema Visionario di via Asquini, infermieri, assistenti sanitari e studenti universitari in occasione del convegno organizzato dal Collegio Ipasvi di Udine.
Per introdurre l'argomento (sul quale, nella prima parte, si soffermerà anche la presidente del Collegio udinese Fabia Bassan) verranno proiettate alcune scene di film come Lo scafandro e la farfalla, pellicole che evidenziano problematiche personali e professionali affrontate quotidianamente in molte strutture per il servizio alla salute. I film forniranno gli spunti per la tavola rotonda e il successivo dibattito al quale parteciperanno lo psichiatra Marco Bertoli, il giornalista Gianpaolo Carbonetto, don Pierluigi Di Piazza e il ricercatore pedagogista Davide Zoletto.
Travolta da auto mentre attraversa
«Ma bisogna aumentare gli stipendi»
La Provincia di Lecco del 04/11/2008 p. 20
Codurelli: «In Lombardia solo 1.800 posti, ne servono 13 mila negli ospedali»Nelle corsie degli ospedali è penuria di infermieri. Il deputato lecchese del Partito Democratico, Lucia Codurelli, sollecita il ministrero del Welfare a «favorire una politica d'incremento delle assunzioni di personale infermieristico stanziando risorse finanziarie adeguate affinchè i livelli contrattuali siano soddisfacenti e in grado di competere con l'offerta delle strutture private».Secondo i dati forniti dall'Ipasvi (Federazione nazionale collegi infermieri), mancano 40 mila infermieri. Secondo i parametri dell'Ocse, il rapporto ottimale tra infermieri e abitanti iè 7 ogni 1000, mentre in Italia il rapporto infermieri-abitanti è di 5,4 ogni 1000, e in Europa è di 8,2; in Lombardia gli infermieri iscritti all'albo sono 51.600, cioè circa 5 ogni 1000 abitanti: per raggiungere il parametro stabilito dall'Ocse ne mancano all'appello ben 12.800. «Nella provincia di Lecco, in particolare - dice la deputata - si registra un'allarmante carenza di infermieri, nel principale ospedale della provincia di Lecco si è fatto addirittura ricorso a personale infermieristico "esterno"». Rispetto al passato - osserva ancora Codurelli - la professione dell'infermiere è diventata meno attraente e non esiste più quel riconoscimento sociale gratificante, mentre le retribuzioni sono piuttosto basse. «Negli ultimi 5 anni c'è stato un aumento del 31,4% nelle immatricolazioni ai corsi di laurea infermieristica ma i posti messi a disposizione sono di gran lunga inferiori alle richieste di iscrizioni ed i 7 mila laureati all'anno non riescono a coprire il turn-over fisiologico tra chi entra e chi va in pensione. In Lombardia non c'è una corrispondenza numerica nei corsi programmati nelle università. «Di conseguenza nei sette atenei lombardi sono messi a disposizione solo 1800 posti a fronte di una reale necessità di circa 13.000 infermieri negli ospedali della Regione».04/11/2008
Infermieri: una due giorni di convegno
Messaggero Veneto del 05/11/2008 ed. Pordenone p. 5
Sarà Sacile venerdì e sabato prossimi, 7 e 8 novembre, la città in cui si daranno appuntamento gli infermieri del Friuli occidentale per affrontare un tema interessante, in parte poco comprensibile ai non addetti ai lavori, ma che grande impatto ha sulla qualità dei servizi sanitari offerti ai pazienti. Il convegno, che si svolgerà al Teatro Zancanaro, è stato organizzato dal Collegio degli infermieri, Ipasvi, della provincia di Pordenone, e ha come titolo "La professione infermieristica e l'accreditamento all'eccellenza delle strutture sanitarie". «L'accreditamento all'eccellenza - spiegano dall'Ispasvi - punta ad affermare la cultura del miglioramento continuo della qualità nei contesti sanitari. Gli infermieri sono gli attori principali di questi progetti, visto che oltre il 60% degli operatori nelle strutture sanitarie è costituito da infermieri. L'accreditamento rappresenta dunque per la professione un'opportunità i responsabilizzazione e di riconoscimento». Nel corso del convegno è prevista anche una tavola rotonda alla quale parteciperà l'assessore regionale Kosic, i direttori generali e rappresentanti politici.
Italia sempre più off-limits per i camici bianchi stranieri
Il Sole 24 Ore Sanita' del 04/11/2008 N. 43 4-10 NOVEMBRE 2008 p. 14
Ci sono solo 6mila infermieri e non più di 2.500 medici iscritti all'Ordine Troppa burocrazia, ostacoli e stipendi poco appetibiliPer lavorare in Italia, anzi nella Sanità italiana, non si fa certo la fila: solo l'1% dei dottori che lavora nel nostro Paese parla straniero, il 2% tra gli infermieri. Troppo pochi i posti di lavoro disponibili per chi ambisce a lavorare nelle corsie dei nostri ospedali. Di medici, si sa, ne abbiamo troppi e vantiamo un primato assoluto: abbiamo 6 dottori ogni mille abitanti. Le carenze ci sono solo per qualche specializzazione: anestesia e radiologia tra tutte. Ma la situazione potrebbe ribaltarsi nel giro di 5-10 anni quando serviranno nuove forze per prendere il posto dei tanti medici che andranno in pensione. Un fenomeno che riguarda anche altri Paesi ( vedi articolo in basso ). Per ora, comunque, gli spazi sono stretti, ancora di più per chi viene dall'estero. Situazione completamente opposta è quella che riguarda gli infermieri: qui le carenze sono croniche. Le stime parlano di almeno 50-60mila infermieri che mancano all'appello. Ogni anno 15mila-17mila vanno in pensione, mentre solo in 8mila prendono il loro posto. Ma anche qui, tra burocrazia, ostacoli e vincoli vari, l'accesso in Italia degli infermieri stranieri, nonostante ce ne sia bisogno, è in salita. E riguarda soprattutto il settore privato. A fare i conti sull'immigrazione sanitaria in Italia è l'Ocse in un «working paper» pubblicato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico a inizio ottobre. Che in queste settimane sta prendendo in esame più di un Paese per capire quali sono i "colli di bottiglia" che impediscono lo spostamento dei "cervelli in camice bianco". E l'Italia è sicuramente tra i Paesi con meno personale sanitario straniero visto che in Francia, Germania e Inghilterra medici e infermieri di altre nazionalità sono tra il 5 e il 10% di tutta la forza lavoro della Sanità. Troppi medici italiani. Nel 2005 l'Italia contava 370mila dottori iscritti all'Ordine, di cui circa un terzo lavorava nel settore pubblico. La concorrenza è molto serrata (basti pensare che nel 1998 solo il 45% di chi si era laureato in Medicina 3 anni prima, indossava il camice bianco). Sempre nel 2005 i medici iscritti all'Ordine e nati all'estero erano 12.527, in pratica il 3,4% di tutto il corpo medico. Ma i numeri reali sono molto inferiori: secondo un censimento fatto sempre dalla Fnomceo, nel 2006 il numero di medici stranieri effettivi (con un'altra nazionalità rispetto a quella italiana e non solo perché nati all'estero) era di 3.525 (in pratica l'1%) di cui 1.562 provenienti da Paesi europei. Secondo il ministero della Salute - spiega l'Ocse nel suo studio - l'ostacolo maggiore per i medici stranieri è la lingua. Ma anche il riconoscimento dei diplomi di laurea per chi ha studiato all'estero è spesso molto lenta e piena di ostacoli. E se il ministero impiega circa un anno per certificare la validità di un diploma, servono anche 5 anni per mettere insieme tutti i documenti che servono. Inoltre l'esame per i medici che hanno studiato all'estero si tiene solo ogni 6 mesi (l'alternativa è quella di iscriversi al sesto anno di medicina, dare 7 esami e ottenere direttamente un diploma di laurea italiano). Pochi infermieri, tanta burocrazia. In Italia ci sono 348.415 infermieri, di questi circa il 70% lavora nel settore pubblico. Secondo l'Ipasvi ne mancano più o meno 60mila. E nonostante le università abbiano fatto crescere in modo esponenziale i posti disponibili dei corsi universitari (nel 2006 circa 13mila contro i 10mila del 2003) la carenza resta sempre molto alta. Secondo i dati dell'Ipsavi nel 2005 gli infermieri stranieri iscritti nel registro professionale erano 6.730, di cui un terzo dai nuovi Paesi Ue (principalmente la Polonia) e un altro terzo da Romania e Bulgaria (entrati anch'essi successivamente nell'Unione). Insomma un numero esiguo. E anche i dati sui riconoscimenti dei titoli di studio parlano chiaro: sempre nel 2005 il ministero ha riconosciuto i diplomi di 4.994 infermieri di altri Paesi. Perché, dunque, nonostante ci sia bisogno, l'Italia è così irragiungibile anche per gli infermieri? L'Ocse segnala diverse ragioni. Innanzitutto la burocrazia: tanti gli adempimenti prima di comunciare a lavorare (dal riconoscimento del diploma, al visto, dalla residenza a un contratto di almeno 2 anni, oltre all'iscrizione all'Ipasvi che richiede anche il superamento di un test d'italiano). Non attirano neanche gli stipendi bassi (circa 1.600 euro al mese) rispetto ad altri Paesi europei. Oggi, avverte l'Ocse, il reclutamento è in mano ad agenzie private e cooperative che "affittano" il lavoro soprattutto a cliniche e case di cura. Poche invece le iniziative nazionali e regionali culminate in accordi ad hoc con altri Paesi (soprattutto dell'Europa dell'Est) per portare in Italia i tanto agognati infermieri. Marzio Bartoloni
I dottori stranieri chePaesi Paesi Paesi Medici e dentisti Medici e dentisti Medici e dentisti Fonte: Fnomceo, 2006 Albania 163 Argentina 28 Bielorussia 3 Benin 3 Bolivia 6 Brasile 24 Bulgaria 16 Camerun 98 Chad 6 Cile 5 Cina 20 Colombia 20 Sud Corea 1 Croazia 27 Cuba 14 Ecuador 5 Egitto 25 Etiopia 10 Giappone 2 Giordania 84 India 17 Iran 341 Iraq 13 Israele 92 Kenya 5 Libano 161 Macedonia 4 Marocco 4 Nicaragua 1 Nigeria 30 Pakistan 5 Paraguay 3 Perù 14 Rep. Ceca 8 Moldavia 20 Rep. Serba 14 Rep. Slovacca 9 Romania 94 Russia 44 San Marino 3Titoli da infermiere riconosciuti nel 2005
Stop al mercato delle salme
La Repubblica del 05/11/2008 , articolo di LAURA ASNAGHI ed. Milano p. 06
Niguarda, la cura dei morti appaltata all'esterno Sette infermieri furono arrestati per il racket "Affideremo l'incarico a degli esperti"S TOP agli scandali, la cura delle salme andrà a personale specializzato scelto con regolare gara d'appalto. È quanto deciso all'ospedale Niguarda, che ha bandito un concorso per esperti in "tanatologia" dopo l'arresto di sette infermieri che intascavano lauti compensi dalle pompe funebri cui segnalavano i decessi dei malati. Un racket che il 16 ottobre fa ha portato all'arresto di 41 persone tra imprenditori, infermieri di vari ospedali addetti alle camere mortuarie e dipendenti di agenzie funebri, accusati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione del segreto d'ufficio. Un vero e proprio "mercato delle salme" fu definito dal pm Grazia Colacicco.«Vogliamo estirpare alla radice il grave problema del business illecito sui morti - spiega Pasquale Cannatelli, il direttore generale dell'ente- ecco perché abbiamo pensato di appaltare all'esterno il servizio. Saremo il primo ospedale milanese a sperimentarlo».Nella gara che sarà bandita con procedura d'urgenza (l'obiettivo è di partire con gli addetti entro la fine di novembre) si cercano esperti di "tanatologia" con compiti specifici. Ma quali sono? «La materia è molto delicata - spiega Cannatelli - perché riguarda il trattamento delle salme dal momento del decesso in corsia, che comprende il rito della ricomposizione, della vestizione e dell'esposizione nella camera mortuaria dell'ospedale. Tutto questo deve essere fatto da personale esperto ma anche di specchiata professionalità e onestà».È proprio in questa fase, infatti, che gli infermieri fanno le soffiate alle imprese di pompe funebri per accaparrarsi laute bustarelle e favorire il loro operato. E visto che al Niguarda i morti, in un anno, arrivano a 1.300 è facile capire perché questo ente è da sempre considerato tra gli ospedali più appetibili dal racket del "caro estinto". «Da noi il racket ha colpito più volte - ammette Cannatelli - ma adesso abbiamo deciso di stringere le maglie e fare in modo che la corruzione non possa più infiltrarsi in corsia». Esclusa l'ipotesi di utilizzare personale interno, l'ospedale ha scelto di puntare su un appalto. Insomma, un servizio al di sopra delle parti, che sostenga i parenti in questi difficili momenti, evitando qualsiasi forma di speculazione. «L'ospedale si deve prendere cura dei morti nella fase iniziale - ricorda Cannatelli - poi saranno i familiari a scegliere a quale impresa di pompe funebri affidare i funerali. E a questo proposito saremo noi a fornire ai parenti l'elenco completo delle imprese di settore che operano nell'area di Milano e provincia».Gli esperti di "tanatologia" che prenderanno servizio in ospedale sono 7 e dovranno garantire un servizio 24 ore su 24, per 365 giorni l'anno. Per questa operazione l'ospedale investirà circa 200mila euro. «Certo saremo i primi a Milano a esternalizzare questo servizio - sottolinea Cannatelli - il nostro obiettivo è fare terra bruciata intorno al business del racket, per evitare che si possano verificare altri scandali».I sette infermieri inquisiti sono ancora agli arresti domiciliari ma se questa misura cautelare dovesse essere revocata «non torneranno certo in camera mortuaria dopo quello che è successo saranno collocati in servizi dove non potranno fare altri danni».Nell'ambito dell'inchiesta da segnalare che il tribunale del riesame ha respinto la richiesta di revoca degli arresti a Riccardo D'Antoni, dell'impresa Varesina.PER SAPERNE DI PIÙ www.ospedaleniguarda.it www.ospedaledeibambini.it www.omceomi.it
Foto: CA' GRANDA Ogni anno sono 1.300 i morti all'ospedale di Niguarda
Torrette, telefoni bollenti: 15 denunce
Il Messaggero del 04/11/2008 ed. ANCONA p. 38
Troppe chiamate private, c'è chi ha speso più di 2.000 eurodi MARINA VERDENELLITelefonate private a spese dell'ospedale. Non una o due, per sapere come stanno i figli. Ma fino a un importo di duemila euro a dipendente, nei casi più gravi. Nei guai quindici tra medici e infermieri dell'Azienda Ospedali Riuniti, denunciati dai carabinieri del Nas. Controllando i tabulati di un anno e mezzo, i militari hanno scovato dipendenti che chiamavano con troppo disinvoltura amici e parenti. Spese telefoniche a carico della sanità pubblica anconetana che, secondo l'indagine pubblicata ieri dal Sole 24 Ore, non naviga certo in buone acque. Di fronte all'inchiesta del Nas, i vertici di Torrette si trincerano dietro un secco «No comment, sarà l'indagine della magistratura a fare chiarezza». Interviene invece il Nursind, il sindacato degli infermieri. «Se qualcuno ha sbagliato - commenta Enzo Palladino, componente del direttivo provinciale e nazionale del sindacato - è giusto che paghi, ma vanno verificate le effettive responsabilità. I controlli erano nell'aria e la stessa azienda ha più volte avvisato i dipendenti di non abusare dei telefoni pubblici».L'inchiesta. Scattata alcuni mesi fa, ha portato il Nas a controllare voce per voce i tabulati delle telefonate di ciascun reparto. Un controllo non casuale ma avviato dopo l'arrivo di bollette telefoniche stratosferiche che gli Ospedali Riuniti, vale a dire Umberto I, Lancisi e Salesi, si sono trovati a pagare. I carabinieri hanno focalizzato l'attenzione sui dipendenti, infermieri e medici compresi i primari delle unità operative, che avevano superato i 300 euro di telefonate nell'ultimo anno e mezzo. Controllati i numeri ai quali le chiamate erano dirette, si è scoperto che spesso corrispondevano a cellulari di familiari: mogli, mariti, genitori, insegnanti dei figli. In altri casi si è arrivati a telefonare anche ad agenzie di viaggio, palestre e alberghi di rinomate località turistiche. Qualcuno ha telefonato anche all'estero, a numeri fissi. Tutte chiamate che, stando al Nas, nulla avevano a che fare con il lavoro di medico e di infermiere. Le persone che ne avrebbero abusato sono in tutto 15, su 200 dipendenti fino ad ora controllati. Il reato contestato è quello di truffa e peculato. Ma il numero degli inquisiti potrebbe allargarsi. Le verifiche sono ancora in corso e si estenderanno anche agli altri. Il l'Azienda Ospedali Riuniti conta più di 3 mila dipendenti. Alcuni infermieri erano già finiti sotto inchiesta perché accusati di svolgere la doppia professione vietata nel pubblico impiego.Il Nursind «Ogni dipendente - spiega Palladino - ha due codici personali che deve digitare prima di effettuare la telefonata. Uno è per le chiamate di servizio e uno è per le chiamate private. Il costo di queste ultime viene detratto ogni mese dalla busta paga. Può succedere, come è accaduto a me, che qualcuno usi il codice di un altro e faccia al suo posto le telefonate. Io ero in ferie quando dall'ospedale chiamavano, con il mio codice per le telefonate di servizio, in Libano. L'assenza dal lavoro per fortuna dimostrarono che il mio codice era stato usato da altri».
Il primo stricione di protesta
arriva dagli infermieri Assemblea domani pomeriggio
Il Gazzettino del 04/11/2008 ed. TREVISO p. III
(A.V.) Un lungo striscione appeso fuori delle finestre delle aule della facoltà di scienze infermieristiche in via Venier per manifestare il dissenso contro i tagli annunciati all'Università e alla ricerca. Fa la sua comparsa il primo segno di protesta degli studenti universitari trevigiani. Le rappresentanze studentesche dell'ateneo hanno fin dall'inizio detto no a qualsiasi forma di manifestazione e ancora non è chiara da dove sia partita l'iniziativa e quali possano essere gli eventuali collegamenti con l'università di Padova, dalla quale dipende il corso di laurea in scienze infermieristiche. Intanto domani pomeriggio alle 14.30 in aula magna ci sarà un incontro dal titolo: Dove va a finire l'Università che avrà come relatori i professori Antonini, De Cristofaro, Minnei e Solari. L'iniziativa vuole dare l'opportunità agli studenti di capire cosa sta accadendo. «L'incontro non avrà nessun taglio politico o polemico», fanno sapere gli organizzatori.
Finanziati 150mila euro nel corso
dell'anno a tutela delle fasce più deboli
Il Piccolo di Trieste del 05/11/2008 ed. Gorizia p. 5
La giunta punta all'attivazione del servizio per migliorare l'assistenza - Mossa vuole l'infermiere di comunitàdi FRANCESCO FAINMOSSA «Predisposizione dei contatti per la valutazione della possibilità di istituire la figura dell'infermiere di comunità e conseguente ambulatorio territoriale».Dietro questa formula necessariamente «burocratica» contenuta nel bilancio di previsione del Comune di Mossa trova conferma un vecchio progetto della giunta Medeot. Nell'ambito dei Piani di zona c'è - infatti - la possibilità di istituire questa figura: si tratta ora di verificare con gli altri Comuni e con l'Azienda sanitaria isontina la possibilità di concretizzare il progetto. Il servizio potrebbe essere svolto in ambulatori comunali già attivi e a domicilio, per un certo numero di ore settimanali.Il Comune potrebbe mettere a disposizione gli spazi, rimanendo in capo all'Azienda sanitaria le spese per il personale e del mezzo di trasporto per gli spostamenti sul territorio. Non si tratterebbe di un servizio sostitutivo dei servizi assicurati dai medici di base: l'infermiere di comunità assicurerebbe un'assistenza sanitaria a carattere continuativo e di tipo infermieristico, compresiva anche della funzione di raccordo fra il cittadino e le strutture aziendali. L'iniziativa andrebbe, dunque, nella direzione del potenziamento dei servizi territoriali da più parti auspicata con forza. Molti sindaci dell'Isontino sono concordi nel sostenere che - forse - si è perso troppo tempo a dibattere sul nuovo ospedale di Gorizia, perdendo di vista le problematiche del territorio. L'infermiere di comunità va in questa direzione anche se è soltanto il primissimo passo.I progetti che il Comune di Mossa sta portando a compimento nel 2008 nel settore sociale e dell'assistenza sono contenuti nella relazione al bilancio di previsione. Importanti anche gli stanziamenti che sono stati di 150 mila euro complessivi nell'arco dei dodici mesi. «Nel corso dell'ultimo anno, particolare attenzione è stata dedicata ai servizi socio-assistenziali anche attraverso la costante e puntuale partecipazione alle conferenze dei sindaci per la predisposizione - ha sottolineato di recente il sindaco Pierluigi Medeot - del nuovo Piano di zona, strumento attraverso il quale possono essere fornite risposte concrete alle esigenze di assistenza del territorio».
Infermieri: laurea sudata, posto sicuro
La Provincia di Lecco del 04/11/2008 p. 20
Alta dispersione scolastica: «Non è un corso facile, richiede impegno». Ma non si resta senza lavoroLa laurea in infermieristica continua ad attirare giovani, con una media sostanzialmente stabile di iscritti dal 2001 ad oggi. Unico neo: la dispersione scolastica. Quanti concludono il triennio del corso di Laurea in Infermieristica sono, di fatti, meno di quanti si immatricolano. È il trend che emerge dall'attività del Polo universitario di Lecco, con sede all'ospedale Manzoni, che ha da poco inaugurato il nuovo anno accademico. Le matricole quest'anno sono 45, ma a frequentare il primo anno saranno 54 studenti: 9 riscritti al primo anno per non aver passato lo sbarramento tra il primo e il secondo anno. Gli iscritti al secondo anno sono invece 39, e 38 al terzo anno: numeri che, da soli, dicono la selettività del corso. «In effetti, si tratta di un corso impegnativo: 23 esami più il tirocinio, in 3 anni. Per potersi iscrivere al secondo anno, bisogna passare almeno otto degli undici esami previsti nella prima annualità, e con una valutazione positiva al tirocinio», osserva il responsabile didattico del Polo, Maurizio Sala. «Tanti ? osserva Sala ? si iscrivono pensando di poter conciliare studio e lavoro.Oppure pensano che il corso sia relativamente facile. Ma non è così. Si tratta di un corso di laurea triennale che richiede il massimo impegno». Sforzo che, però, viene premiato: «Chi esce di qui, ha una professionalità sicuramente adeguata ad una professione così delicata». Quanto bisognoso di infermieri sia il mercato, lo dicono i numeri: all'ultimo concorso a numero chiuso della facoltà di medicina e chirurgia di Milano-Bicocca, rispetto al numero esiguo di posti disponibili per fisioterapia (60), ostetricia (40) o medicina (110), quelli per infermieri erano 300, da distribuire nelle cinque sedi del corso di laurea in Infermieristica (Monza, Desio, Lecco, Bergamo e Sondrio). Sono numeri fissati dall'Ateneo in base alle prospettive di inserimento professionale. Delle 45 matricole del polo lecchese, 37 sono femmine e 8 maschi, in prevalenza (36) tra i 20 e i 25 anni (ma ci sono anche 7 iscritti over 31), quasi tutti di nazionalità italiana (41) anche se gli studenti stranieri aumentano ogni anno (4 quest'anno). La maggior parte delle neomatricole arriva da un diploma umanistico-sociale (22) oppure scientifico (10). E in maggioranza si tratta di residenti in provincia di Lecco (24), con una nota originale: «Nove matricole arrivano dalla provincia di Como, dove pure è attivo lo stesso corso di laurea all'università dell'Insubria. Segno forse di un maggior appeal di Lecco in questo campo», osserva il responsabile didattico. Ma qual è la motivazione che spinge i giovani ad orientarsi alla professione infermieristica? «Chi si iscrive è perlopiù entrato in contatto con la professione tramite esperienze di volontariato nelle Croci, o in associazioni, oppure ha un parente infermiere. Anche chi si trova iscritto per le procedure ?ripescaggio?, non avendo scelto infermieristica come prima opzione (accanto a ostetricia e fisioterapia), sceglie di rimanere. Il nostro ospedale indice bandi di assunzione dopo ogni sessione di laurea. È vero: il corso richiede molto. Ma le soddisfazioni, inclusa quella di una professionalità molto richiesta e apprezzata, sono tante». Laura Bosisio04/11/2008
Stress da lavoro in pole position prof e infermieri
La Sicilia del 04/11/2008 p. 44
Tempi duri per i lavoratori, e in particolare per insegnanti e infermieri. Sono loro, infatti, insieme a operatori di call center e forze dell'ordine, le prime vittime di mobbing e stress da lavoro. Quello dello stress da lavoro è un problema crescente, visto che in Europa è tra le cause di malattie 'lavorativè più comuni e colpisce 40 milioni di persone, cioè il 10% della popolazione. E la cifra è destinata a salire a 1 lavoratore su 4 (25%) per colpa delle preoccupazioni innescate dalla crisi finanziaria internazionale. Ad accendere i riflettori sul problema sono stati ieri alcuni esperti riuniti all'Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro). «Il rischio di incorrere in minacce di violenza e mobbing - ha spiegato Sergio Iavicoli, direttore del dipartimento di Medicina del lavoro Ispesl - è più alto nell'istruzione, nel settore sanitario, nella pubblica amministrazione e nella difesa, oltre che nei trasporti, nella comunicazione e nel settore alberghiero-ristorazione. Per gli insegnanti - ha sottolineato l'esperto - il problema maggiore non è nel rapporto con gli alunni, ma in quello con le famiglie e la dirigenza scolastica». L'altra categoria vittima di questo stress è «quella degli infermieri e più in generale di tutti i professionisti dell'aiuto - ha aggiunto Lavicoli - che in alcuni casi arrivano a subire anche violenze fisiche dai pazienti». Le previsioni per il futuro non sono incoraggianti. Secondo Steven Sauter, del National institute for occupational safety and health, l'aumento dello stress psicosociale da lavoro investirà il 2530% della forza lavoro a causa della crisi.
È giallo sul nuovo dirigente
Unione Sarda del 05/11/2008
C'è un giallo dietro la recente nomina di Michele Picogna a responsabile dell'area Nursing (che sovrintende al lavoro infermieristico) della Asl 8. Sul sito internet ufficiale della Regione Sardegna, tra gli atti del bando dell'avviso pubblico (allegato C), c'è il facsimile di una "dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà", per l'identificazione formale dei partecipanti alla selezione. Il documento predisposto indicava come luogo di compilazione Gorizia. Secondo Antonello Liori, consigliere regionale di Alleanza nazionale, «può essere solo una casualità, un errore, un equivoco nell'elencazione dei documenti, ma c'è quanto basta per avanzare sospetti sulla trasparenza del provvedimento regionale che ha conferito l'incarico al dottor Michele Picogna, operante nel Friuli Venezia Giulia». Liori preannuncia un'interrogazione al presidente della Giunta e all'assessore alla sanità. «Dopo l'assessore piemontese e il primario psichiatra triestino, anche il responsabile del personale infermieristico della Asl arriva dal Nord est, e più precisamente da Gorizia. Possibile che nessun sardo fosse in grado di presentare un curriculum adeguato all'incarico da assegnare? E come mai non è stato indetto un regolare concorso pubblico? A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Alla Sanità c'è bisogno di trasparenza, soprattutto quando si affidano incarichi di notevole importanza per la Sardegna e i suoi abitanti». Il primo a contestare la nomina del medico friulano è stato Nazareno Pacifico, consigliere regionale del Partito democratico, che ha presentato un'interpellanza indirizzata a Renato Soru e Nerina Dirindin per chiedere lumi su una vicenda che, secondo l'esponente di centro sinistra, «è uno schiaffo, un oltraggio alle professionalità sarde che lavorano nelle strutture sanitarie dell'Isola da anni». Pacifico ha criticato la scelta della Asl di selezionare un dirigente sulla base dei soli titoli, senza prevedere un concorso. «Non ci sono ragioni di carattere giuridico e temiamo che la scelta sia dovuta a motivi che esulano dal merito dei candidati essendo affidata alla sola discrezionalità della Commissione esaminatrice. Che stranamente ha scelto un candidato che è stato catapultato nell'isola da chissà quale suggeritore». Ora i sospetti aumentano, dopo la denuncia di Liori. 05/11/2008
La formazione "leva" della cooperazione
Il Sole 24 Ore Sanita' del 04/11/2008 N. 43 4-10 NOVEMBRE 2008 p. 31
Dal 2000 è in vigore una convenzione tra l'Università di Torino e il Nazareth Hospital, situato in una splendida posizione a 1.850 metri di altitudine, circondato dalle colline del caffè e del tè a Nord-ovest di Nairobi. A pochi chilometri di distanza sorgono due grossi centri agricoli: Banana Hill, cresciuta in maniera vorticosa e disordinata, in cui la disoccupazione raggiunge il 70% e Limuru, caratterizzata da sentieri in terra rossa battuta e situata sulle prime pendici della Rift Valley. Kibera e Koroghocho, le grandi baraccopoli di Nairobi sono lontane. Non lontane sono le problematiche degli slum. Miseria, stato di salute precario (l'Africa è un continente malato: il 30% della popolazione è affetto da Aids, tubercolosi e malaria), elevata mortalità, delinquenza imperversano anche nel paesaggio paradisiaco intorno al Nazareth Hospital. Numerose sono le aggressioni notturne lungo la strada che dall'ospedale scende verso Nairobi. Non infrequente è l'accesso in Ps di pazienti feriti da colpi di machete, in seguito a car-jacking. L'ospedale, fondato nel 1964 dalle suore della Consolata, è attualmente amministrato da una congregazione di suore indiane ed è dotato di 180 letti e di un centro per la prevenzione e il trattamento dei malati di Aids, considerato il migliore del Kenya. Il complesso operatorio include un ambulatorio di endoscopia che si avvale di strumenti forniti dall'Università di Torino, una sala per piccoli interventi, la "day surgery" e due sale principali, una con 2 letti, per far fronte a un'eventuale urgenza, in genere un cesareo, durante la normale seduta operatoria. Le camere operatorie non sono oscurate, per consentire un po' di illuminazione in caso di blackout energetico. L'ospedale è fornito di generatore che si attiva qualche minuto dopo la scomparsa della corrente. Capita non infrequentemente di dovere condurre un intervento chirurgico con la sola luce solare o, di notte, con una torcia elettrica puntata sul campo da un infermiere. Non ci sono anestesisti, ma tre tecnici di anestesia, molto esperti e abituati a operare in condizioni ben diverse da quelle a cui siamo abituati. Non essendo disponibili monitor, il paziente durante l'intervento viene controllato in base a semplici rilievi clinici. Ogni anno vengono eseguiti 1.500 interventi "maggiori", tra cui circa 650 cesarei. In ambulatorio afferiscono in media 160 pazienti al giorno e sono prenotati gli interventi chirurgici di elezione, ma molto spesso il paziente non si presenta nel giorno stabilito, perché non riesce a reperire i pochi soldi richiesti per il ricovero. Il pronto soccorso è attivo 24 ore su 24. Anche di notte è possibile eseguire radiografie. L'unico tecnico dell'ospedale vive nel compound ed è reperibile 365 giorni all'anno. L'insegnamento e l'addestramento devono costituire un obiettivo prioritario di un progetto di cooperazione, al fine di innescare un processo di autosviluppo, che consenta l'autonomizzazione professionale di medici, tecnici e infermieri che operano nei Paesi in via di sviluppo. Nell'ambito della convenzione, è stato elaborato un sistema didattico "hub and spoke", nel quale il Nazareth Hospital funge da centro propulsivo e provvede alle esigenze formative degli ospedali periferici. Il progetto è interamente finanziato da Comdata, azienda torinese, che ha costruito, all'interno del compound, un training center, fornito delle attrezzature più moderne, un college che ospita 96 allievi e un centro congressi. Nel 2006 è stato avviato un master in Infermieristica, rivolto a 40 allievi, provenienti da tutto il Kenya e successivamente il Nursing council ha approvato l'istituzione di una scuola per infermieri. È evidente l'importanza di fornire professionalità qualificata agli infermieri in un Paese nel quale, per i proibitivi costi di iscrizione all'Università, i medici sono pochissimi. Il progetto include anche programmi di educazione continua, rivolti ai medici e agli infermieri dell'ospedale, "training on the job" per chirurghi e ginecologi, addestrati da docenti universitari kenioti e italiani, corsi intensivi teorico-pratici sulle urgenze mediche, chirurgiche e traumatologiche, basati sulle linee guida internazionali e rivolti a personale sanitario di dispensari e ospedali rurali e stage formativi di chirurgia tropicale per specializzandi italiani, stimolati a utilizzare e affinare le conoscenze cliniche, a causa della carenza di mezzi diagnostici sofisticati. Il mese scorso abbiamo inaugurato l'unità di terapia intensiva, con 4 posti-letto, collegata al blocco operatorio. La rianimazione consente di superare la principale criticità dell'ospedale: il trattamento dei pazienti con problemi chirurgici complessi che non potevano essere operati per l'impossibilità di garantire un adeguato monitoraggio post-operatorio. Giorgio Olivero Professore associato di Chirurgia Dipartimento Discipline medico-chirurgiche - Università di Torino
Le mille strade dell'assistenza ai Pvs
Il Sole 24 Ore Sanita' del 04/11/2008 N. 43 4-10 NOVEMBRE 2008 p. 30
Nodo cruciale è l'addestramento continuo degli operatori locali per affinare le loro conoscenzeLo spunto l'ha offerto Guido Gasparri, direttore della III Chirurgia generale universitaria ed esofagea dell'Aou Molinette-S. Giovanni Battista di Torino e socio dell'Accademia di Medicina di Torino. E i membri dell'Accademia, istituita da Carlo Alberto con regio biglietto nel 1842 e oggi presieduta da Nicola Riccardino, hanno subito accolto la proposta. Così, il 18 giugno scorso, l'istituzione torinese ha aperto le porte a una seduta pubblica tutta dedicata alle esperienze di medici piemontesi in Medio Oriente e Africa. «Ci è sembrato il modo migliore - spiega il segretario generale dell'Accademia, Giancarlo Isaia - per inaugurare un nuovo filone socio-economico che ci consentirà di intercettare un pubblico più ampio». Per un giorno, dunque, l'Aula magna dell'Università di Torino è diventata il palcoscenico ideale per raccontare le esperienze di dottori piemontesi impegnati in aree difficili. Quelle che presentiamo in queste due pagine sono alcune delle storie raccolte dall'Accademia e accomunate da un unico, fondamentale, filo rosso: la passione per il proprio lavoro di tutti i protagonisti. Che raccontano nei vari contributi la loro personalissima declinazione dell'assistenza oltreconfine. Fatta non solo di cure, prevenzione e interventi chirurgici, spesso realizzati in condizioni proibitive, ma anche di sostegno tecnico e specialistico. Che cerca di portare in quelle terre, dal Burundi al Guatemala, dall'Irak al Sudan, la speranza di un destino diverso e migliore. I camici bianchi che si confessano in queste pagine descrivono realtà complesse di popoli prostrati da guerre intestine, di enormi difficoltà logistiche superate grazie all'entusiasmo di operatori e volontari, dell'esperienza che spesso deve supplire all'assenza di strumentazioni. Ma i contributi qui presentati aprono una finestra anche sulla frastagliata realtà delle organizzazioni piemontesi non governative che operano da anni nei Paesi in via di sviluppo. Come il Ccm, il Comitato di collaborazione medica, nato a Torino nel 1968, che nel 1972 ha ottenuto dal ministero degli Affari esteri l'idoneità per la gestione di programmi di cooperazione nei Pvs. L'organizzazione è attualmente presente in Burundi, Guatemala, Kenya, Mali, Somalia e Sud Sudan, con 21 progetti sviluppati attraverso il contributo di 300 operatori tra medici, infermieri, tecnici e amministrativi. I numeri del Ccm sono assai interessanti: in un anno, nei sette ospedali e nei 95 centri di salute in cui il comitato opera, sono stati vaccinati 52mila bambini e sono state effettuate 300mila visite ambulatoriali, 2.500 operazioni chirurgiche e 25mila analisi di laboratorio. Ma il Ccm non è l'unica realtà piemontese attiva al di fuori dei confini nazionali. Da una missione di medici piemontesi in Africa è nata infatti nell'ottobre 2005 la Onlus Anemon, che si muove grazie al contributo dei soci fondatori e alle elargizioni di quanti vogliono sostenere i piani dell'organizzazione. Che, accanto ai programmi di sostegno sanitario, cerca di sviluppare anche un'adeguata assistenza tecnica e specialistica. Incentivando poi i donatori a visitare le strutture realizzate da Anemon nel tentativo di creare un turismo solidale che supporti queste realtà. La medicina piemontese oltreconfine ruota però anche attorno a convenzioni ad hoc. Come quella siglata dall'Università di Torino e dal Nazareth Hospital di Nairobi. Che getta luce su un altro elemento strategico del lavoro dei dottori che hanno scelto di partire. Perché la loro esperienza non si esaurisce solo nell'assistenza a chi ha bisogno di cure. Ma passa anche necessariamente, come confermano i racconti ospitati in queste pagine, attraverso programmi di educazione continua. Quello che tecnicamente i dottori definiscono "training on the job": lavorare sì, ma trasmettendo contemporaneamente a medici e infermieri locali tutte le conoscenze necessarie a renderli autonomi. Affinché il personale del luogo sia in grado di replicare poi determinate procedure. Così le partnership con gli ospedali africani o di altre aree diventano l'occasione per lanciare master ad hoc o programmi di formazione per medici&Co. C'è infine un altro, e non meno importante, trait d'union che lega queste storie. Ed è il patrimonio umano che ogni medico porta con sé al suo ritorno. E che rappresenta il migliore compenso per le fatiche e le enormi difficoltà connesse a ogni esperienza. In una delle sue presentazioni, il Ccm ricorda un'affermazione esemplare di Amartya Sen, l'economista indiano, Nobel per l'Economia nel 1998: «Un buon mondo è quello in cui gli sforzi di ciascuno sono indirizzati verso ciò che ha scelto, e non verso ciò che è stato determinato dalla lotteria del destino». Un destino che i dottori piemontesi, presentati in queste pagine, stanno cercando ogni giorno, nel loro piccolo, di cambiare. Celestina Dominelli
I numeri del Comitato di collaborazione medicaIn Burundi, Etiopia, Guatemala, Kenya, Mali, Somalia e Sud Sudan il Ccm è attualmente presente con 21 progetti supportati da circa 300 persone tra medici, infermieri, tecnici e amministrativi di cui 21 in ruoli apicali, 270 in ruoli qualificati e ausiliari In un anno nei 7 ospedali e 95 centri di salute primaria in cui il Ccm opera sono stati vaccinati 52.000 bambini e sono state effettuate oltre 300mila visite ambulatoriali, 2.500 operazioni chirurgiche e 25mila analisi di laboratorio In 1 anno inoltre il Ccm ha beneficiato di missioni volontarie compiute da 46 persone, medici e tecnici, che in media hanno operato nei Paesi a basso reddito per oltre 30 giorni Per la sede di Torino tre persone hanno lavorato volontariamente in ruoli di coordinamento a tempo pieno per 240 giorni annui ciascuno. Altre 25 persone hanno offerto la loro collaborazione a vario titolo per oltre 5mila ore totali L'organizzazione si è avvalsa inoltre della collaborazione di 6 volontari del servizio civile, 4 impegnati nel lavoro di sensibilizzazione in Italia, 2 nell'aiuto alla gestione dei progetti in Africa
La ricetta contro la penuria di risorse umane
Il Sole 24 Ore Sanita' del 04/11/2008 N. 43 4-10 NOVEMBRE 2008 p. 14
Da qui ai prossimi 20 anni i Paesi Ocse dovranno fronteggiare un crescente gap di medici e infermieri, carenza per il momento tamponata per lo più dai flussi migratori di professionisti, redistribuiti per osmosi all'interno della stessa area Ocse o arrivati da Paesi in via di sviluppo. Ma l'emergenza nell'immediato futuro potrebbe essere così grave da richiedere - per essere adeguatamente affrontata - una strategia "multi-tasking" fatta di politiche formative, di gestione ottimale delle risorse straniere e di una serie di altri interventi. A tracciare lo scenario attuale e i possibili sviluppi futuri è l'Ocse con il rapporto "The looming crisis in health workforce. How can Oecd contries respond?", fresco di stampa. Il progressivo invecchiamento della popolazione - che pone maggiori e nuove esigenze assistenziali - il pensionamento di tanti professionisti, lo sbarramento ai corsi di medicina previsto in molti Paesi (il numero dei laureati nel 2005 è al di sotto di quello registrato nel 1985), i rapidi progressi tecnologici: ecco i principali fattori che rischiano di far pendere la bilancia delle cure più dalla parte della domanda che da quella dell'offerta. Gli effetti di questo fenomeno sono già visibili. La crescita media della densità di dottori e nurse, argomentano gli esperti dell'Ocse, è bruscamente rallentata negli ultimi 15 anni rispetto al quindicennio precedente. Di più: i trend in calo per i medici sono accompagnati da mutamenti nell'orario e nell'organizzazione del lavoro (grazie anche al massiccio ingresso delle donne nella professione) e da una crescente specializzazione. Contestuali all'aumento dei pensionati. Già nel 2000 diversi Paesi Oecd registravano carenze e pubblicavano stime preoccupanti. Questa situazione si inquadra in un contesto demografico che vede la popolazione giovanile restringersi sempre più: le proiezioni delle Nazioni Unite indicano, per fare un esempio, che la popolazione europea tra i 15 e i 24 anni diminuirà del 25% tra il 2005 e il 2025. In Giappone il declino sarà di circa il 20% e in Corea addirittura del 33 per cento. Cosa fare, dunque? La ricetta madre è fatta di "importazione consapevole" ed "etica" (evitando cioè di diventare dipendenti da altri Paesi e di saccheggiare risorse umane a nazioni dai sistemi sanitari fragili) delle risorse umane dall'esterno e soprattutto di intelligenti e strategiche politiche interne. Corsia, quest'ultima, che sul lungo periodo è preferibile al recruiting internazionale. Gli Usa, con 200mila medici e 280mila infermieri, sono il maggiore "importatore" di operatori sanitari nati all'estero. Su questo fronte, l'Ocse suggerisce politiche di mutuo riconoscimento del diploma acquisito all'estero (ma migliorando un processo che oggi, così com'è, rischia di avallare inefficienze e gap formativi), così come il recupero di operatori formati all'estero e che abbiano già lasciato il mercato del lavoro. Ma come potenziare al meglio, dunque, la forza lavoro interna? La ricetta migliore è, appunto, puntare sull'educazione e la formazione per far crescere la disponibilità di medici e infermieri. Alcuni Paesi si sono già incamminati su questa via, anche tenendo conto che il periodo di formazione dura non meno di cinque anni. Questo processo ha tra le sue controindicazioni un inevitabile aumento del budget dedicato alla formazione, con ricadute sulla spesa pubblica. Per questo gli estensori del rapporto Ocse suggeriscono partnership pubblicoprivate, regolamentate da paletti ben chiari, che consentano un alleggerimento del carico finanziario sui Governi. Se le due soluzioni di breve (immigrazione sanitaria) e di lungo periodo (formazione interna) sono le vie principali da perseguire, dall'Ocse arriva anche una serie di altre possibili soluzioni, ispirate a best practice già sperimentate nel mondo. Al gap di risorse umane che bussa alla porta, in altre parole, gli Stati possono rispondere con una rosa di molteplici misure, da impiegare anche contemporaneamente: incentivare i professionisti a restare al lavoro, rafforzare l'integrazione, sviluppare il mix delle competenze e aumentare la produttività. Il primo punto si traduce spesso nella leva finanziaria: bonus, aumenti di stipendio, agevolazioni familiari e aggiornamento. Ma non c'è una sola via: Governi e strutture sanitarie potrebbero puntare, suggerisce l'Ocse anche su una più efficiente organizzazione del lavoro e sul miglioramento delle condizioni di camici bianchi & co. Ancora: per supplire alla disomogenea distribuzione di professionisti, ne andrebbe incentivato il trasferimento in aree particolarmente disagiate. Fino a oggi gli sforzi in questo senso hanno prodotto risultati di breve durata: perciò i Paesi Ocse si sono progressivamente orientati su altre misure, come la formazione specifica e dedicata ai giovani su tematiche sanitarie caratteristiche di zone rurali e desolate. Un'altra misura consiste nell'attrarre professionisti nelle specialità dove si registra maggiore penuria. Ma l'Ocse sponsorizza anche politiche di pensionamento flessibili, nei tanti Paesi che devono fare i conti con il pensionamento dei "baby boomers"; così come la riqualificazione del ruolo di alcune figure: a esempio il nursing, quando possibile, andrebbe riorientato verso compiti oggi al limite con quelli del medico. Un mezzo è, infine, anche far crescere la produttività, grazie a una serie di ingredienti: dalla diffusione dell'Ict a una migliore coordinazione delle cure, a programmi di gestione delle patologie croniche, fino ai pagamenti a risultato, come quelli introdotti tra i general pratictioner inglesi. Barbara Gobbi
Nessun commento:
Posta un commento